venerdì 29 giugno 2018

DOMENICA TREDICESIMA


Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”
James Tissot XIX sec. - Da un punto di vista tecnico, questa illustrazione è caratterizzata dalla cura per i minimi particolari del paesaggio e per il vivido realismo delle figure, anche se ciò le rende fredde ed incapaci di suscitare un autentico sentimento di trasporto religioso


Mc 5,21-43
21 Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22 E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23 e lo supplicò con insistenza: La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva. 24 Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25 Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28 Diceva infatti: Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata. 29 E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. 30 E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: Chi ha toccato le mie vesti?. 31 I suoi discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”. 32 Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Ed egli le disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male. 35 Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?. 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: Non temere, soltanto abbi fede!. 37 E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39 Entrato, disse loro: Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme. 40 E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41 Prese la mano della bambina e le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico: àlzati!. 42 E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
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Sap 1,13-15; 2,23-24
Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
Salmo 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato, / non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me. / Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, / mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, / della sua santità celebrate il ricordo, / perché la sua collera dura un istante, / la sua bontà per tutta la vita. / Alla sera ospite è il pianto / e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me, / Signore, vieni in mio aiuto! / Hai mutato il mio lamento in danza, / Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
2 Cor 8,7.9.13-15
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.  Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

Commento alla pericope odierna
1) INTRODUZIONE
Nella prima lettura si fa un’affermazione molto forte e al tempo stesso problematica: Dio non ha creato la morte. E allora chi ne è responsabile? Nella seconda parte della lettura si dice che la morte viene dal diavolo, il quale l’ha fatta entrare nel mondo per invidia (implicitamente si fa riferimento al racconto della caduta di Adamo). Ma si aggiunge un’affermazione un po’ sibillina: ne fanno esperienza, cioè della morte, solo coloro che le appartengono. Secondo l’autore della lettura, non tutti sperimentano la morte, ma solo i malvagi. E certamente non parla della vita o della morte fisica, ma di quella spirituale: chi pecca è già morto, gli manca la vera vita che consiste nel giusto rapporto con Dio e con i fratelli. Chi non pecca invece, anche se muore fisicamente, vive una vita piena che inizia quaggiù e continua dopo la morte. La sua morte fisica è solo apparente; in realtà il giusto è nelle mani di Dio, e nessuno può fargli del male, perché la vita fisica non è tutto. C’è un’altra vita che non viene meno neppure con la morte.
Nella seconda lettura Paolo esorta i cristiani ad essere i primi nelle opere di carità, imitando Cristo che, infinitamente ricco, si fece povero per arricchire noi della sua stessa povertà. Agli occhi dell’apostolo, anche il denaro può essere un mezzo per testimoniare Gesù Cristo e il dono che lui ci ha fatto. Egli ci ha dato tutto, e noi perché dovremmo esitare? Coi suoi doni Gesù ci ha resi partecipi della sua vita, e noi ci rifiuteremo di far comunione con gli altri? L’aiuto economico ai fratelli non è una semplice questione di filantropia: è una professione di fede, una testimonianza evangelica. Ai Corinzi Paolo non chiede di impoverirsi ma di formare l’eguaglianza: come da Gerusalemme è giunta la Grazia del Vangelo che ha arricchito spiritualmente i Corinzi; così, adesso, essi, nel bisogno materiale di quelli, debbono corrispondere sia pure in misura modica. Avvenga quello che accadde nel deserto dove chi raccolse molto ne ebbe solo quanto bastò, e chi raccolse poco ne ebbe quanto bastò.
I due episodi narrati nel vangelo di questa domenica sono collegati strettamente in tutti e tre gli evangelisti che ne parlano: Marco, Matteo e Luca. Ed è sorprendente che l’evangelista di solito più stringato, Marco appunto, si diffonda con molta vivacità (ventitré versetti) e con diversi particolari, sui due fatti, mentre Matteo ne dà un riassunto in otto versetti e Luca si sofferma con sedici versetti.
Il motivo dell’insolita vivacità narrativa di Marco, nonché della sua abbondanza di particolari è probabilmente da ricercare nel fatto che lui riferisce quel che ha sentito da Pietro; e Pietro era, insieme a Giovanni e Giacomo, presente al fatto, dato che solo questi tre discepoli erano stati ammessi nella casa di Giàiro.

2) ANALISI DEL BRANO
21 Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare.
Il susseguirsi degli avvenimenti dà l’impressione di uno spostamento rapido e benché il luogo non sia precisato, si può pensare convenientemente al litorale di Cafarnao.
22 E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi
Il termine archisynágōgos può essere tradotto anche con presidente della sinagoga.
Ogni sinagoga aveva un capo che era coadiuvato e assistito da un consiglio composto dalle tre alle sette persone. L’ufficio consisteva principalmente nella supervisione delle condizioni materiali e nella gestione finanziaria della sinagoga. Poiché qui Marco parla in plurale, non è chiaro se voglia riferirsi all’archisinagogo vero e proprio o ad uno dei suoi collaboratori.
I nomi Giairo e Bartimeo sono gli unici nomi propri che compaiono nei racconti di miracoli. Secondo alcuni, il nome Giairo deriva da parole ebraiche che significano ‘egli illuminerà’ o ‘egli susciterà’, ‘risveglierà’.
L’espressione gli si gettò ai piedi simbolicamente significa riconobbe la sua autorità, dichiararsi disposto ad eseguire la sua volontà, mettersi ai suoi ordini. Qui, però, è soprattutto un atteggiamento di preghiera e di implorazione, non come quello dell’indemoniato che vede Gesù e gli si getta ai piedi.
23 e lo supplicò con insistenza: la mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sarà salvata e viva.
La supplica o richiesta insistente, da parakaléō, è tipica delle richieste di guarigione. Con insistenza è usato da Marco come avverbio. L’azione e la richiesta del capo della sinagoga fanno risaltare ancora una volta la dignità di Gesù; indicano inoltre che in Marco, non tutti i capi giudaici sono contrari a Gesù.
La frase la mia figlioletta sta morendo va tradotta meglio: è agli estremi. In Marco questo padre ha timore, quasi un rifiuto di parlare della morte della figlia. Il diminutivo figlioletta, thygátrion, dà l’idea di uno speciale affetto verso di lei; l’imporre le mani era proprio di un rito molto comune tra gli Ebrei dell’AT, che lo praticavano per le circostanze più svariate, come per impartire una benedizione, per conferire una potestà. Nel NT ricorre frequentemente in relazione alla cura degli infermi. La trad. CEI ha preferito mantenere salvata perché il padre dice che sta morendo, e perciò la richiesta di Giairo è che Gesù la salvi dal potere della morte.
24 Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
E’da notare come Giairo compie la sua richiesta in mezzo ad una folla considerata impura dagli ‘osservanti’ ed invoca un uomo che era considerato fuori dalla sinagoga.
25 Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni
Il dato - da dodici anni - fornisce un altro legame con la storia della figlia di Giairo, che ha appunto dodici anni.
Il suo male doveva consistere in un flusso anormale (emorragia), che non coincideva con quello della mestruazione, ed era considerato – nelle legge del Levitico -  causa d’immondezza legale. Pertanto escludeva, come la mestruazione, dalle relazioni con altri esseri umani. Ciò spiega come la donna si mescoli alla folla per non farsi notare e per non essere costretta a rivelare il suo male.
26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando,
La considerazione suona molto dura nei riguardi dell’arte medica. È da tener presente tuttavia che i medici del tempo usavano metodi piuttosto empirici e medicamenti spesso privi di efficacia.
Dato che nell’antichità solo quelli che disponevano di mezzi finanziari potevano frequentare i medici, e visto che la donna disponeva di risorse proprie, un tempo doveva essere stata persona di un certo livello sociale e abbastanza ricca. La descrizione che fa Marco delle sue condizioni fa risaltare il suo attuale miserevole stato: si trova fisicamente malata, ritualmente impura ed esausta nelle risorse economiche. Né la religione né il suo stato sociale possono offrirle un valido aiuto.
27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello.
Sentendo l'ondata del messaggio di Gesù, la donna si decide a fare il passo decisivo. La legge di Dio, secondo la legge del Levitico (15,19) proibiva ad una donna del genere di toccare chiunque: Il libro del Levitico, dice: Quando una donna abbia flusso di sangue (...) chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera.
28 Diceva infatti: Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata.
Le parole della donna si uniformano alla credenza popolare secondo la quale i guaritori erano dotati di uno speciale potere magico o flusso magnetico, per cui qualunque loro contatto, diretto o indiretto, con l’ammalato, era sufficiente a procurare la guarigione; sarò salvata, è traduzione da sōthsomai, verbo usato per esprimere la sua volontà di ricuperare la guarigione dalla malattia e forse anche la liberazione dalla morte.
29 E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
L’espressione le si fermò il flusso di sangue mette in risalto la subitaneità della guarigione, di cui la donna si rese subito conto.
Il testo letteralmente dice: le si fermò il flusso di sangue, che fa ricordare Lv 12,7 dove è detto che la donna sarà dichiarata purificata dopo essersi sottoposta ai riti di purificazione. Qui non c’è nessun rito. È semplicemente il potere di Gesù che opera la guarigione.
30 E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: Chi ha toccato le mie vesti?.
Un tipico aneddoto miracoloso potrebbe concludersi con il v.29. Ma i vv. 30-34 sono una conclusione ampliata che contiene l’idea del vero significato della storia.
L’immediata percezione da parte di Gesù della forza che era uscita da sé corrisponde alla percezione della donna di essere stata guarita. Nel linguaggio popolare si deve vedere l’indicazione di un potere miracoloso che solo Gesù possedeva. Il termine scelto da Marco, dýnamis, è da lui impiegato quasi sempre in questa accezione.
31 I suoi discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?. 32 Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
Ciò che avviene tra Cristo e la donna malata si svolge in una nicchia ricavata in mezzo alla folla, ed è un segreto a due. Con le parole di uno che era presente, Marco ci descrive Gesù che si guarda intorno per vedere Chi mi ha toccato?.
Contatto, sguardo e dialogo si accendono con l’esclusione della folla e dei discepoli che non capiscono ed ironizzano. Nonostante che abbiano appena assistito al miracolo sul mare in tempesta e alla guarigione dell’indemoniato di Gerasa, sembra che i discepoli non si siano ancora resi conto del carattere straordinario del potere di Gesù.
33 E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità,
La paura della donna non viene tanto dall’avere, lei, in stato di impurità, toccato Gesù, contro il divieto della legge, e dall’averlo fatto di nascosto; non ritrae una disposizione psicologica ma una reazione di fragilità umana alla presenza di un potere al di là del naturale. Tuttavia la gratitudine, che nasce dalla consapevolezza di ciò che le era accaduto, prende il sopravvento sulla paura, sicché ella riesce a dire tutta la verità circa il suo stato anteriore e circa il gesto furtivo compiuto in buona fede.
34 Ed egli le disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male.
La stupenda risposta di Gesù la rassicurerà definitivamente. E’una risposta quadruplice: a) la chiama Figlia, thygátēr; b) è una dichiarazione riguardante la fede; c) c’è un congedo in pace; d) e soprattutto c’è la rassicurazione che è guarita dal suo male.
Secondo la leggenda questa donna si chiamava Berenice o Veronica; avrebbe asciugato il volto di Gesù lungo la via dolorosa verso il Calvario e in seguito avrebbe eretto una statua nella sua città (Bardas o Cesarea di Filippo) per ricordare il miracolo da lei ottenuto.
35 Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?.
Dopo l’interruzione dell’ emorroissa riprende il racconto relativo al capo della sinagoga; questi è ancora con Gesù, in mezzo alla folla che lo attorniava, quando lo informano che la figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?: evidentemente si credeva che Gesù avesse potere soltanto sulle malattie e non sulla morte.
36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: Non temere, soltanto abbi fede!.
In alcune traduzioni contemporanee il participio parakoúsas è reso con ignorando (il che è anche possibile) anziché con udito. Le parole di conforto rivolte da Gesù al padre però suggeriscono che qui udito è più appropriato. Gesù non volle prestare attenzione a ciò che si diceva e quindi, come se non avesse inteso nulla, esortò il capo della sinagoga a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui.
Di per sé, Giairo non dovrebbe temere più, perché ormai è certo della morte della figlioletta a lui così cara. Ma Gesù lo invita a sostituire alla calma che deriva dall’ineluttabile, quella che sgorga dalla fede in Lui, che non deve interrompersi: si tratta di perseverare nella fiducia che aveva avuto quando la fanciulla appariva ormai priva di ogni mezzo di salvezza. Il filo di vita che l’animava ancora, gli faceva sperare l’impossibile da parte di Gesù: ora egli deve continuare in questa speranza, fondandosi esclusivamente su Gesù stesso.
37 E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Il fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo denota come sia la prima volta che Gesù opera un miracolo lontano dalla folla. La scelta di soli tre discepoli (che poi saranno i soli testimoni anche della trasfigurazione e della preghiera nell’orto del Getsemani), potrebbe essere stata dettata dalla confusione che già regnava nella casa, ma anche dal desiderio di avere dei testimoni qualificati, i quali avrebbero attestato in seguito la realtà del fatto che si stava per operare.
38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte.

L’espressione tradotta alla lettera dice: vide il trambusto; infatti oltre ai parenti, amici e vicini, per i quali il pianto poteva essere una spontanea dimostrazione di affetto, in genere per la morte di qualcuno non mancavano mai altre persone che lo facevano soltanto per professione, accompagnandosi con il suono del flauto.
39 Entrato, disse loro: Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme.
Gesù non intende negare che la fanciulla sia veramente morta, come non intende affermare che si tratti di una morte apparente. Del resto non è ancora entrato nella stanza dove giace la fanciulla. Per Gesù, che ha già deciso di operare il miracolo, lo stato presente della fanciulla è soltanto temporaneo e perciò paragonabile ad un sonno. (Per analogia la Chiesa ha sviluppato il linguaggio di Cristo, estendendolo a tutti coloro che si addormentano nel Signore in attesa della resurrezione finale).
40 E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina.
Il comportamento di deridere non può essere quello dei parenti: è provocato sia dalla mancata comprensione dell’esatto significato delle parole di Gesù, che da una certa ostilità verso dì lui, oltre che dalla mancanza della potenza della fede, che del resto già altri grandi profeti d’Israele avevano posseduto.
41 Prese la mano della bambina e le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico: àlzati!.
Il tocco è frequente negli episodi miracolosi: è il gesto abituale delle guarigioni, che tuttavia non implica alcun effetto a sé stante. Tuttavia, poiché l’impurità dal contatto con i cadaveri era la più grave di tutte le impurità, questo tocco è un altro esempio del contravvenire di Gesù ai codici culturali. Ma in questo caso è la parola di Gesù, non il tocco, che opera il miracolo. Talità kum: la parola agnello, talithá, può essere un termine affettuoso, specialmente se rivolto a un bambino.
Nelle storie di guarigione le parole straniere sovente hanno la funzione di formule magiche. Marco tuttavia usa e traduce termini aramaici anche in altri contesti che non hanno nulla a che vedere con le storie miracolose, spesso per dare maggior risalto al proprio punto di vista. Egli, più di ogni altro evangelista, ama ricordare alcune parole nella lingua di Gesù.
Dalla traduzione che lo stesso evangelista fornisce, si vede chiaramente che non si tratta di parole strane e senza significato, di cui ben volentieri si servivano certi taumaturghi dell’antichità per impressionare maggiormente la gente. Per Gesù la parola era semplicemente la manifestazione della sua volontà.
L’imperativo presente alzati da egeírō, verbo della resurrezione, esprime la potenza del dono della vita di Dio, che non è ancora quella definitiva.
42 E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Formalmente questo versetto costituisce la dimostrazione del miracolo. L’insistenza osservata qui sui termini riguardanti la morte e la risurrezione indica che i lettori di Marco devono scorgere in questo racconto un preannuncio della risurrezione di Gesù e del proprio risveglio dal sonno della morte.
Marco annota gli anni della ragazza che sono gli stessi di quelli della malattia dell’emorroissa.
Il valore dei numeri è soggettivo se attribuito ai personaggi: pochi anni di vita per la ragazzina tanti per la malattia della donna; ma come resistere ad esempio alla suggestione di legare queste guarigioni ad Israele (le dodici tribù) e al nuovo popolo che nascerà dalla predicazione dei dodici apostoli? Senza dimenticare il fatto che quella dei dodici anni è l’età legale per il fidanzamento-matrimonio nella legislazione sia romana che giudaica (senza dimenticare che la ragazza è prossima all’età da poter avere figli).
Il grande stupore, in greco ékstasis, è simile a quello che esprime l’emozione delle donne al sepolcro di Gesù dopo l’annuncio della sua resurrezione.
43 E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.-
Il comando di Gesù, secondo una spiegazione ormai classica, è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico. Questo silenzio è perfettamente logico nella prospettiva di Marco: Gesù ha vinto la morte, ma questa sarebbe una ben povera vittoria se si trattasse solo di ridare alcuni anni di vita a una bambina nella sua famiglia. Questo è soltanto segno, anticipo e garanzia della vittoria piena che avverrà con la resurrezione di Gesù; resurrezione che non è la rianimazione di un cadavere, ma vita definitiva nella comunione con Dio. Per questo i testimoni del miracolo devono tacere, come i tre che discendono dal monte della Trasfigurazione, aspettando la piena rivelazione del Dio che risuscita ì morti.
Il dettaglio apparentemente non necessario, e disse di darle da mangiare, ha incuriosito gli interpreti, i quali hanno proposto diverse spiegazioni che vanno dal ricordo della sollecitudine di Gesù alla dimostrazione che la ragazza è veramente viva e non è uno spirito o un fantasma.

venerdì 22 giugno 2018

NATIVITA' di G. BATTISTA


Iacopo Robusti, detto il Tintoretto, (Venezia 1518-1594), dopo Tiziano è stato sicuramente il pittore veneziano più importante del Cinquecento. La sua attività artistica, tutta svolta nella città lagunare, ha riempito Venezia di straordinari capolavori, la cui caratteristica maggiore è stata di essere altamente scenografici e spettacolari, anche grazie alle dimensione sempre monumentale delle sue opere. Le sue enormi tele andarono a decorare alcuni dei principali e più rappresentativi edifici di Venezia, e non solo. 
Mentre Tiziano rendeva la sua pittura sempre più rarefatta e intimistica, Tintoretto si muoveva invece sulla ricerca degli effetti molto più spettacolari, combinando insieme architetture in prospettive decentrate, scorci molto arditi, affollamento di figure, tensione drammatica nei gesti, nonché effetti di luce e di ombre molto suggestivi. Si può dire che Tintoretto conosceva tutti i trucchi del mestiere per rendere le sue immagini accattivanti. Il senso scenografico delle sue opere preannuncia già ampiamente lo stile barocco che di lì a qualche decennio si diffonderà nell’intera Europa.
Mia lapidaria osservazione: l’arte cerca di penetrare i fatti, in piena libertà rispetto alla loro staticità. Cerchiamo anche noi di leggerli dando corso alle nostre aspirazioni più profonde.

Lc 1,57-66.80
57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59 Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. 61 Le dissero: Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome.  62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meravigliati. 64 All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: Che sarà mai questo bambino?. E davvero la mano del Signore era con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

1) PREMESSE DI CARATTERE GENERALE
- Luca ha organizzato il racconto di due annunciazioni (a Zaccaria e a Maria) per parlare della nascita, prima di Giovanni, poi di Gesù.
All’interno di questa cornice c’è l’attesa del vecchio sacerdote Zaccaria, in questa domenica brevemente evocata, e l’attesa di Maria all’interno della sua modesta casa di Nazareth.
La visitazione è stata l’incrocio tra le due madri e tra i due bambini. Le due madri hanno pronunziato due cantici che sono l’interpretazione della loro missione; cantici gioiosi, i cui testi non sono prodotti da chi li recita, ma che hanno un orizzonte preciso: quello dei cosiddetti anawim, i poveri del Signore. il vangelo dell’infanzia di Luca è costellato di questi cantici.
- Accanto a Maria, la madre di Gesù, Giovanni il Battista è il solo santo di cui la chiesa celebri, non solo il giorno della morte (il dies natalis alla vita eterna) ma anche il dies natalis in questo mondo. Di fatto, Giovanni è il solo testimone di cui il Nuovo Testamento ricorda la nascita, ben intrecciata con quella di Gesù.
Ed è proprio questo intersecarsi di vicende che ha portato alla scelta della data del 24 giugno per celebrarne la memoria: se la chiesa ricorda la nascita di Gesù il 25 dicembre, non può che ricordare quella di Giovanni il 24 giugno, essendo essa avvenuta, come testimonia il Vangelo di Luca, sei mesi prima.
- Il parallelismo di queste date contiene una simbologia, almeno nel bacino del Mediterraneo che è stato crogiolo della fede ebraico-cristiana: se il 25 dicembre è la festa del sole vincitore, che comincia ad accrescere la sua declinazione sulla terra, il 24 giugno è il giorno in cui il sole comincia a calare di declinazione, proprio come è avvenuto nel rapporto del Battista con Gesù, secondo le parole dello stesso Giovanni: Lui deve crescere e io diminuire. Giovanni è il lume che decresce di fronte alla luce vittoriosa del Messia.
- Si potrebbe anche dire che il vangelo è la storia sincronica di due profeti, Giovanni e Gesù, con la loro profondissima singolarità nella specifica chiamata e nella sostanziale comunanza nel perseguire i disegni di Dio e nel a servizio del Regno. Eppure man mano i due si distanzieranno sempre più l’uno dall’altro.
- Purtroppo oggi la figura del Battista non ha più il posto che merita. Anche la crescita del culto mariano ha contribuito ad oscurarlo, a discapito della consapevolezza cristologica.
Giovanni è stato un uomo del deserto, luogo di pericolo e di emarginazione sociale, nel quale vivevano persone che non avevano una buona relazione con il Tempio, come era il caso dei monaci di Qumran. Giovanni è stato solo il primo passo di uno spostamento decisivo dalla tappa della Legge e del Tempio alla tappa del Regno di Dio.
- Però ci sono differenze tra Giovanni e Gesù. Riconducendo le differenze tra Giovanni e Gesù all’aspetto centrale, è sicuro che il centro delle preoccupazioni di Giovanni sia stato la conversione dei peccatori, mentre il centro delle preoccupazioni di Gesù è stato la salute dei malati e l’alimentazione (come convivialità) di tutti, specialmente dei poveri e degli esclusi sociali.
- La base di tutto sta nel fatto che Giovanni credeva in un Dio giustiziere e castigatore (Mt 3,12; Lc 3,17), mentre Gesù ha creduto sempre in un Padre assolutamente buono con tutti (Lc 15,11-32).

2) LA PERICOPE ODIERNA
- Il brano del vangelo di questa domenica fa parte dei così detti racconti dell’infanzia di Gesù, che si trovano nei primi due capitoli del Vangelo di Luca. In essi l'evangelista applica un parallelismo, al fine di confrontare Giovanni Battista e Gesù e mostrare la superiorità di quest'ultimo.
Il brano della nascita e circoncisione di Giovanni Battista mette in parallelo i racconti della nascita di Giovanni Battista e della nascita di Gesù.
Luca non persegue intenti di tipo biografico; piuttosto si concentra sull'imposizione del nome e sugli eventi che l'accompagnano. Inoltre il testo è costituito in modo da agganciarsi al racconto dell'annunciazione a Zaccaria.
- Poiché questa domenica cade nel giorno della natività di Giovanni Battista, si celebra la solennità dedicata ad essa, anziché la Dodicesima del T.O.
La domanda che sorge spontanea riguarda il motivo di tale solennità. Infatti, ai personaggi importanti degli albori del cristianesimo si riserva una celebrazione, non per la loro nascita, ma per il loro martirio, come nel caso di Pietro e Paolo. Anche per Giovanni Battista esiste tale celebrazione (29 Agosto). Ma alla sua nascita viene data addirittura maggiore importanza.
Questo ci fa intuire che la nascita di Giovanni presenta della caratteristiche peculiari.
Nell’Antico Testamento possiamo individuare due tipologie di profeti o più in generale di personaggi chiamati da Dio per una missione. a) Alcuni vengono chiamati in un certo momento della loro vita, mentre stanno conducendo una vita normale, da uomini comuni. Svolgono per un dato tempo la loro missione e, una volta terminata, ritornano a condurre la vita di
prima. Questa sembra essere la tipologia più diffusa. b) La seconda tipologia comprende personaggi i quali ricevono la chiamata fin dal momento della loro nascita, o meglio, del loro concepimento. Questo tipo di chiamata si caratterizza per la totale dedizione dei vocati alla missione ricevuta, fino alle estreme conseguenze, essendo stati consacrati fin da quando erano nel seno materno. La loro vita appartiene a Dio e viene dedicata alla missione, fino all’ultimo.

- Così è per Geremia (prima lettura).
Sappiamo bene che lui ha sperimentato, forse come nessun altro, l’apparente inutilità della sua
missione profetica, fino a subire persecuzioni e tribolazioni a causa di essa, e ha espresso a
Dio le sue rimostranze per gli esiti negativi della sua attività. E tuttavia, anche se si lamenta con toni a volte molto amari e senza ricevere spiegazioni da Colui che lo aveva inviato, egli persevera fino in fondo nella sua missione. (Quanto detto può sembrare qualcosa che riguarda pochi. In realtà riguarda ogni cristiano che, redento e riscattato da Cristo, non appartiene più a se stesso, ma a Lui). I cristiani, come afferma Pietro nella seconda lettura, sono il popolo che Dio si è acquistato perché proclamino le opere meravigliose di Lui.


3) ANALISI DEI VERSETTI

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.

Luca, parlando di compimento del tempo del parto, allude al tempo in cui Gesù ha inaugurato un’era di salvezza; e Giovanni Battista l’ha inaugurata fin da quando sua madre Elisabetta, incontrando Maria, l’aveva visto esultare e sussultare di gioia nel suo grembo.
58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
La parentela e i vicini riconoscono l’intervento divino a favore di Elisabetta. La gioia è grande e si diffonde, come nel caso della nascita di Isacco: chi lo saprà si rallegrerà con me, dice Sara in Gn 21,6.
59 Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria.
Il momento centrale del racconto odierno è la circoncisione di Giovanni. La legge prescrive di circoncidere il neonato all'ottavo giorno; con questo rito il bambino maschio è ammesso nella comunità di Israele, entra dunque nell'alleanza di Jahvè e partecipa alle sue benedizioni.
Solitamente nell'AT il nome ai bambini veniva dato alla nascita. Qui appare un’usanza propria dell'ellenismo e del giudaismo più recente. L'intervento dei vicini e della parentela per imporre il nome Zaccaria al bambino appare sorprendente: questo diritto appartiene ai genitori, soprattutto al padre (gli altri possono suggerire). Inoltre il fatto che volessero chiamarlo come il padre, cosa inconsueta nell'AT, potrebbe essere stato suggerito dall'età ormai avanzata di Zaccaria.
60 Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. 61 Le dissero: Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome.  62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meravigliati.
In questa scena centrale, resa più vivace dall'impiego del discorso diretto, l'interesse di Luca si concentra sulla miracolosa imposizione del nome Giovanni. Sia la madre che il padre, senza essersi messi d'accordo prima, indicano lo stesso nome. Storicamente, l'intervento della madre può apparire fuori posto, visto che in generale spettava al padre dare il nome al bambino. Ma nel nostro racconto importa che, sia la madre sia il padre, diano rispettivamente questo nome: ciò serve a mettere in luce l'accordo provvidenziale, visto come un segno dal cielo: Giovanni è un nome che proviene da Dio. [il nome Giovanni proviene dall’ebraico Yo, abbreviazione di Jahweh, e hanan, che significa misericordia: dunque chi porta il nome Giovanni è portatore, non tanto di singole qualità, quanto di un insieme di tratti caratteristici che lo distinguono; è impulsivo e sempre attivo; per lui non esistono la disfatta o la rinuncia; è poco portato per la vita familiare, ma non dimentica, tuttavia, le responsabilità assunte.]
Dal fatto che i presenti facciano cenni a Zaccaria per chiedere il suo volere, implica che egli fosse diventato anche sordo.
64 All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose.
A questo nuovo prodigio, risponde come un ritornello, il timore dei presenti, caratteristico della reazione umana dinanzi a una manifestazione soprannaturale. L’evangelista affermando che la notizia  si diffonde, sottolinea la grandezza e l'importanza dell'evento.
66 Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: Che sarà mai questo bambino?. E davvero la mano del Signore era con lui.
Appare il tema del custodire nel cuore (cf. Lc 2,19.51). I presenti non soltanto sono stati testimoni di fatti straordinari, ma hanno saputo mettersi nell'atteggiamento giusto, accogliendoli tra di loro. E' un discreto invito al lettore ad avere un atteggiamento di fede, a non guardare soltanto da spettatore a questi eventi, ma ad aprirsi al messaggio come farà Maria. Nel corso del racconto, l'attenzione dei presenti si è spostata, raggiungendo l'orientamento voluto da Luca: dalla misericordia divina in favore di Elisabetta alla missione del futuro Battista. E davvero la mano del Signore era con lui: con questa espressione biblica, la vita del futuro profeta viene messa sotto la protezione e la guida di Dio.
80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Questo ritornello conclusivo, preso in prestito da un modello dell'Antico Testamento, è senza grande valore biografico. Giovanni cresce fisicamente e matura spiritualmente in disparte, lontano dalla vita degli altri, ma vicino a Dio, nel deserto, il luogo dove Jahvé può educarlo e prepararlo alla sua missione.
Il deserto è anche il quadro geografico che più si adegua alla figura di Giovanni nella tradizione; là infatti egli ha esercitato la sua attività battesimale. Luca ha così trovato una buona transizione che colma i vuoti di informazioni sull'infanzia del Battista e prepara il lettore all'apparizione di Giovanni nel deserto.
Questo versetto è stato giudicato un buon esempio della tecnica che Luca adopera per allontanare un personaggio dalla scena in modo da puntare la luce del riflettore su un altro. D'ora in poi, infatti, e per tutto il capitolo 2, Giovanni abbandona la scena e Luca riserva la sua totale attenzione alla venuta di Gesù.
Il contatto di Giovanni con la setta degli Esseni nella zona del Giordano e, più concretamente, come membro della comunità essena di Qumran, rimane una semplice congettura. Potremmo riscontrare paralleli tra il pensiero e l’attività di Giovanni e la forma di vita e le aspettative della comunità di Qumran, ma è molto improbabile che Giovanni fosse membro di tale comunità, anche se poteva benissimo aver saputo della sua esistenza e aver subito la sua influenza.

4) UN COMMENTO DI PAPA FRANCESCO

Giovanni ha lavorato anzitutto per «preparare, senza prendere niente per sé». Egli, ha ricordato il Pontefice, «era un uomo importante: la gente lo cercava, lo seguiva», perché le sue parole «erano forti» come «spada affilata», secondo l’espressione di Isaia (49, 2). Il Battista «arrivava al cuore» della gente. E se «forse ha avuto la tentazione di credere che fosse importante, non vi è caduto», come dimostra la risposta data ai dottori che gli chiedevano se fosse il Messia: «Sono voce, soltanto voce — ha detto — di uno che grida nel deserto. Io sono soltanto voce, ma sono venuto a preparare la strada al Signore». Il suo primo compito, dunque, è «preparare il cuore del popolo per l’incontro con il Signore».
Ma chi è il Signore? Nella risposta a questo interrogativo c’è «la seconda vocazione di Giovanni: discernere, tra tanta gente buona, chi fosse il Signore». E «lo Spirito — ha osservato il Papa — gli ha rivelato questo». Cosicché «lui ha avuto il coraggio di dire: “È questo. Questo è l’agnello di Dio, quello che toglie i peccati dal mondo”». Mentre «nella preparazione Giovanni diceva: “Dietro di me viene uno...”, nel discernimento, che sa discernere e segnare il Signore, dice: “Davanti a me... è questo”».
Qui si inserisce «la terza vocazione di Giovanni: diminuire». Perché proprio «da quel momento la sua vita incominciò ad abbassarsi, a diminuire perché crescesse il Signore, fino ad annientare se stesso». È stata questa «la tappa più difficile di Giovanni, perché il Signore aveva uno stile che lui non aveva immaginato, a tal punto che nel carcere», dove era stato rinchiuso da Erode Antipa, «ha sofferto non solo il buio della cella, ma il buio del suo cuore». È stato assalito dai dubbi: «Ma che sarà questo? Non avrò sbagliato?». Tanto che, ha ricordato il Pontefice, chiede ai discepoli di andare da Gesù per domandargli: «Ma sei tu davvero o dobbiamo aspettare un altro?».

5) A PARTIRE DA GIOVANNI, UNA RIFLESSIONE SULL’UMILTA’


L’importanza dell’umiltà non sta tanto nel fatto che essa realizzi positivamente una delle dimensioni del bene umano, quanto nel fatto che essa abbia il compito di preservare le realizzazioni della conoscenza, dell’amore, del lavoro, dalle deformazioni che le privino del loro autentico valore. L’orgoglioso è egocentrico e difficilmente capace di un vero amore; egli considera il lavoro soltanto come una forma di autoaffermazione e non come una modalità di auto-trascendenza che arricchisce il mondo e contribuisce al bene degli altri.

UNDICESIMA DOMENICA T.o. anno b


Van Gogh – sec.XIX -  pittore, figlio di un pastore protestante, commenta con questa
immagine la parabola del Seminatore. Il quadro è un capolavoro. La parte alta ha il sole
al centro, la parte bassa il terreno arato; tra le due parti una siepe di grano maturo. C’è
scambio di colore tra cielo e terra. Il seminatore tiene la mano sinistra sul cuore e sparge
con l’altra il seme, il quale ha lo stesso colore oro del cielo. Lo sguardo è fermo. Incede
proteso in avanti. C’è vitalità piena nel gesto della mano e nella gamba avanzata. Mentre
si muove, pare voglia trasformare il vuoto e il caos che lo assedia in potenze creative.

26 Diceva: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli mette mano alla falce, perché è arrivata la mietitura. 30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
COMMENTO

1) PREMESSA
E’ opinione comune degli studiosi che le parabole raccolte da Marco nel cap. 4 della sua narrazione evangelica siano da collocarsi in un momento di difficoltà del ministero di Gesù.
Inizialmente la parola e i miracoli di Gesù suscitavano entusiasmo, le folle si accalcavano attorno alla sua persona attratte dall’autorevolezza del suo insegnamento e colpite dalla potenza del suo operare. Poi, poco per volta, l’entusiasmo andò calando, le folle si diradarono e attorno a Gesù rimase il ristretto gruppo dei discepoli.
Nel vangelo di questa domenica – racconta Marco - Gesù propone due parabole che hanno lo stesso tema. La prima - vv.26-29 - si può denominare come la parabola del seme che cresce da se stesso. Infatti, anche se il seminatore è addormentato o sta riposando, si dimentica del seme che ha seminato nella terra, in quanto è fiducioso che il Regno di Dio abbia la forza di svilupparsi da se stesso. La seconda – vv.30-34 - spiega il carattere fondamentale del progetto di Gesù: il piccolo è ciò che ha forza e potere di cambiamento e di trasformazione [questo criterio si oppone radicalmente alla comune ossessione per ciò che è grande e per la grandezza personale].
Il tema del regno di Dio ha origini veterotestamentarie. Designa la signoria di Dio sull’universo e, in modo particolare, sul popolo di Israele.
La sua manifestazione piena è però rimandata oltre il tempo, quando il Cristo glorioso vincerà definitivamente la morte e consegnerà il regno al Padre. Allora la signoria di Dio sarà definitiva e universale e gli esseri umani saranno pienamente ed eternamente salvi.

2) ANALISI DELLA PERICOPE
26 Diceva: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno;
Sebbene sia affermato dagli studiosi del NT che Gesù proclamava il regno di Dio per mezzo delle parabole, nel vangelo di Marco solo queste due parlano espressamente del regno.
Entrambe sono presentate con la stessa formula introduttiva: come un uomo che getta il seme sul terreno. Tale formula è da spiegare: le realtà del Regno si proiettano sulla vita umana e operano con efficacia, e le realtà umane vi debbono corrispondere, facendo sì che tutti raggiungano il Regno.
Il contadino si attende tutto dalla sua semina. In fondo, anche se in genere non si dice, la vita dei cittadini dipende totalmente da quella della campagna. Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla da fine osservatore e con grande senso poetico.
Il frasario dà l'idea di un metodo particolare di semina.
27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Lo schema di questo versetto sottolinea l'azione ordinaria e distaccata del seminatore, la quale è alquanto irrealistica, poiché la normale prassi contadina comporta che i campi coltivati vengano tenuti d'occhio e curati.
Ci sono due verbi per definire la crescita: germoglia, blasta, e cresce, mekynetai, lett. si allunga (il seme).
La ripetizione dei verbi della crescita serve, come quella dei verbi del dormire e dello svegliarsi, a creare un senso del passare del tempo senza alcuna fretta che cresca.
Tuttavia come, egli stesso non lo sa.
Si pensa che le conoscenze di allora erano primitive e quindi non paragonabili con quelle di oggi, ma si deve osservare che anche lo scienziato in botanica, materia oggi sofisticata, avrebbe da rispondere poco di più sul come avvenga il ciclo biologico; anzi, se gli si chiedesse perché avvenga così e non in altro modo, si irriterebbe, perché questo non fa parte della ‘sua’ scienza.
28 il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi il chicco pieno nella spiga;
Gesù avverte che il terreno porta frutto da sé, automátê, aggettivo usato qui come avverbio per dire che le cose accadono senza una causa spiegabile. Nella descrizione della piaga delle tenebre in Egitto in Sap 17,6 è detto che nessun fuoco, per quanto intenso, riusciva a far luce, se non le luci spontanee,  automátê, degli astri. L'aggettivo è usato anche nella versione LXX del Levitico per descrivere la crescita spontanea negli anni sabbatici e giubilari. L'uso del termine in questo senso suggerisce che è Dio a celarsi dietro la crescita.
Anche qui una ripetizione - prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno - atta a creare il senso di un tranquillo e compassato trascorrere del tempo.
29 e quando il frutto è maturo, subito egli mette mano alla falce, perché è arrivata la mietitura.
Il verbo apostellei, che normalmente significa mandare, inviare, qui viene tradotto con mettere mano poiché il versetto è una citazione di Gl 4,13: date mano alla falce, perché la messe è matura. Visto che il verbo è usato in in un contesto missionario e dato che la messe ha la connotazione di un'urgenza escatologica, questi sottintesi possono essere presenti anche qui.
30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Per una analoga doppia introduzione Marco ricorda Isaia 40,18: A chi potreste paragonare Dio, e quale immagine mettergli a confronto?. Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive.
Il termine parabola, in ebraico mashal, è usato qui nel senso generico di illustrazione o anche di indovinello,.
31 E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno;
Gesù sta polemizzando con la descrizione che ha fatto il profeta Ezechiele sul regno: Anch’io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami, coglierò un ramoscello e lo   pianterò sopra un monte alto, massiccio, lo pianterò sul monte alto di Israele. Metterà rami e frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Il seme della pianta della senape era proverbiale per la sua piccolezza (ne parla anche Matteo per indicare una fede esigua quanto un seme di senape).
La pianta della senape, i cui semi sono usati per il loro aroma, può raggiungere, lungo le sponde del mare di Galilea, l'altezza di circa tre metri. Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente, la quale cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa di resistente e di esuberante.
32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra.
Date le dimensioni effettive della pianta della senape, si coglie l'esagerazione parabolica, unita ad un pizzico di ironia.
Nell'AT i grandi alberi qualche volta sono presi a simbolo del potere nazionale. Nel cap. 4 di Daniele il grande albero è simbolo del regno universale di Dio.
Nella prima lettura ne parla Ezechiele e ciò attesta che per Marco il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio.
Negli Atti degli Apostoli Luca narra come avvenga questo, da Gerusalemme ai confini della terra e Paolo sottolinea le difficoltà a cui andare incontro nell’esperienza storica.
33 Con molte parole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere.
L’uso dell’imperfetto nel verbo annunciava denota un'azione abituale.
L’affermazione come potevano intendere molto probabilmente si riferisce alla folla.
Alcuni autori ritengono che questa era originariamente la conclusione della raccolta di parabole pre-marciana.
34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
I destinatari di questa parabola sono, in privato, i Dodici e i seguaci, da introdurre nel mistero: in pubblico, i discepoli, che hanno bisogno semplicemente di spiegazioni. [C’è da dedurre che il mistero, mai irrazionale, non va capito, ma comunicato all’anima che ha sete di Dio].

3) UNA LETTURA SINTETICA E SEMPLIFICATA (per chi ne avverte il bisogno)
a) Sul regno di Dio
La nostra parabola insegna l'idea che il Regno di Dio è interamente un’opera divina.  A noi tocca una sola cosa, seminare la parola e aspettare la crescita del seme, che in maniera misteriosa rea­lizza Dio stesso.  Gli esseri umani non possiamo fare nulla per anticipare l’arrivo del Regno, né per costruirlo. E’ necessaria una sola cosa: non impedire la sua crescita con op­posizione od ostilità; cioè imparare la scienza della calma attesa dell’opera divina che, di notte mentre il contadino dorme, e di giorno mentre si dedica a tutte le incombenze del vivere, fa crescere il seme gettato nella buona terra. Gesù insegna ad avere la pazienza del contadino che aspetta, con tranquilla e serena pazienza, ciò che è sicuro Dio farà.
b) Sulla semina
La semina è un evento quotidiano nel mondo contadino della Palestina di Gesù.  L’inattività del seminatore che si limita a gettare il seme e poi ad attendere, serve ad indicare il miracolo quotidiano dell'azione divina, del suo frutto salvifico, spropor­zionato se lo paragoniamo all'attività umana.  Il centro della parabola non è la semina, ma il raccolto finale; non è l'azione dell'uomo, ma la risposta di Dio.  In questa maniera, Gesù insegna al cristiano un modo di essere e di pen­sare; insegna la logica divina, alla quale adeguare ogni pretesa ed attesa.
c) Sul tempo di Dio e sul nostro tempo
Il tem­po di Dio e il tempo dell'essere umano sonodivergenti. 
Per noi il tempo è uno squarcio, una parentesi: ciò che noi percepia­mo del Regno è limitato dalla transitorietà temporale e spaziale. Il nostro tempo è il tempo dell'attesa che il seme cresca, durante il quale tutto ciò che possiamo sapere è che il seme del Regno è presente nella storia ed in particolare in noi.
Partendo da questo dato di fe­de, bisogna cominciare a costruire la propria vita nello squarcio del tempo. Invece Dio è comprensivo di tutto il tempo, e non solo dello squarcio di tempo dell’esistenza umana.
Eppure… dipende da questo squarcio che il seme cresca continuamente in noi e attorno a noi…..


RITROVO NEL MIO VECCHIO DIARIO: NON SO SE CITAZIONI O MIEI APPUNTI:

= Il predicatore Origene, spiegando in un’omelia il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, interpella i presenti all’incirca così: voi mostrate tanta meraviglia per questo grande miracolo, ma il Signore lo compì solo 2 volte, mentre compie ogni giorno l’immane miracolo del sole che sorge e della campagna che produce i suoi frutti mirabili.

= Un giorno Michelangelo, passeggiando in un giardino di Firenze, vide, in un angolo, un blocco di marmo che sporgeva da sottoterra, mezzo ricoperto di erba e di fango. Si fermò di scatto, come se avesse visto qualcuno, e rivolto agli amici che erano con lui esclamò: In quel blocco di marmo c’è racchiuso un angelo; debbo tirarlo fuori. E, armatosi di scalpello, cominciò a sbozzare quel blocco finché non emerse la figura di un bell’angelo.
Anche Dio ci guarda e ci vede così: come dei blocchi di pietra ancora informi e dice tra sé: Lì dentro c’è nascosta una creatura nuova e bella che aspetta di venire alla luce; di più, c’è nascosta l’immagine di Cristo [noi siamo destinati a diventare come lui conformi all’immagine di Dio Padre!]; voglio tirarla fuori!”. E allora che fa? Prende lo scalpello che è la croce e comincia a lavorarci; prende le forbici del potatore e comincia a potare. Non dobbiamo pensare a chissà quali croci terribili. Ordinariamente egli non aggiunge nulla a quello che la vita, da sola, presenta di sofferenza, fatica, tribolazioni….
= Voglio aggiungere la mia preghiera: Dammi, o Dio, la gioia anche nella sofferenza! E dalla a tanti disperati di questa terra, perché possano sollevarsi dalle loro angustie.
Fa’ sciogliere in lacrime di pentimento ogni risentimento, odio, spirito di vendetta. Spezza il cuore di pietra DI CHI FA SOFFRIRE GLI ALTRI……………