venerdì 22 giugno 2018

UNDICESIMA DOMENICA T.o. anno b


Van Gogh – sec.XIX -  pittore, figlio di un pastore protestante, commenta con questa
immagine la parabola del Seminatore. Il quadro è un capolavoro. La parte alta ha il sole
al centro, la parte bassa il terreno arato; tra le due parti una siepe di grano maturo. C’è
scambio di colore tra cielo e terra. Il seminatore tiene la mano sinistra sul cuore e sparge
con l’altra il seme, il quale ha lo stesso colore oro del cielo. Lo sguardo è fermo. Incede
proteso in avanti. C’è vitalità piena nel gesto della mano e nella gamba avanzata. Mentre
si muove, pare voglia trasformare il vuoto e il caos che lo assedia in potenze creative.

26 Diceva: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli mette mano alla falce, perché è arrivata la mietitura. 30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
COMMENTO

1) PREMESSA
E’ opinione comune degli studiosi che le parabole raccolte da Marco nel cap. 4 della sua narrazione evangelica siano da collocarsi in un momento di difficoltà del ministero di Gesù.
Inizialmente la parola e i miracoli di Gesù suscitavano entusiasmo, le folle si accalcavano attorno alla sua persona attratte dall’autorevolezza del suo insegnamento e colpite dalla potenza del suo operare. Poi, poco per volta, l’entusiasmo andò calando, le folle si diradarono e attorno a Gesù rimase il ristretto gruppo dei discepoli.
Nel vangelo di questa domenica – racconta Marco - Gesù propone due parabole che hanno lo stesso tema. La prima - vv.26-29 - si può denominare come la parabola del seme che cresce da se stesso. Infatti, anche se il seminatore è addormentato o sta riposando, si dimentica del seme che ha seminato nella terra, in quanto è fiducioso che il Regno di Dio abbia la forza di svilupparsi da se stesso. La seconda – vv.30-34 - spiega il carattere fondamentale del progetto di Gesù: il piccolo è ciò che ha forza e potere di cambiamento e di trasformazione [questo criterio si oppone radicalmente alla comune ossessione per ciò che è grande e per la grandezza personale].
Il tema del regno di Dio ha origini veterotestamentarie. Designa la signoria di Dio sull’universo e, in modo particolare, sul popolo di Israele.
La sua manifestazione piena è però rimandata oltre il tempo, quando il Cristo glorioso vincerà definitivamente la morte e consegnerà il regno al Padre. Allora la signoria di Dio sarà definitiva e universale e gli esseri umani saranno pienamente ed eternamente salvi.

2) ANALISI DELLA PERICOPE
26 Diceva: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno;
Sebbene sia affermato dagli studiosi del NT che Gesù proclamava il regno di Dio per mezzo delle parabole, nel vangelo di Marco solo queste due parlano espressamente del regno.
Entrambe sono presentate con la stessa formula introduttiva: come un uomo che getta il seme sul terreno. Tale formula è da spiegare: le realtà del Regno si proiettano sulla vita umana e operano con efficacia, e le realtà umane vi debbono corrispondere, facendo sì che tutti raggiungano il Regno.
Il contadino si attende tutto dalla sua semina. In fondo, anche se in genere non si dice, la vita dei cittadini dipende totalmente da quella della campagna. Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla da fine osservatore e con grande senso poetico.
Il frasario dà l'idea di un metodo particolare di semina.
27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Lo schema di questo versetto sottolinea l'azione ordinaria e distaccata del seminatore, la quale è alquanto irrealistica, poiché la normale prassi contadina comporta che i campi coltivati vengano tenuti d'occhio e curati.
Ci sono due verbi per definire la crescita: germoglia, blasta, e cresce, mekynetai, lett. si allunga (il seme).
La ripetizione dei verbi della crescita serve, come quella dei verbi del dormire e dello svegliarsi, a creare un senso del passare del tempo senza alcuna fretta che cresca.
Tuttavia come, egli stesso non lo sa.
Si pensa che le conoscenze di allora erano primitive e quindi non paragonabili con quelle di oggi, ma si deve osservare che anche lo scienziato in botanica, materia oggi sofisticata, avrebbe da rispondere poco di più sul come avvenga il ciclo biologico; anzi, se gli si chiedesse perché avvenga così e non in altro modo, si irriterebbe, perché questo non fa parte della ‘sua’ scienza.
28 il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi il chicco pieno nella spiga;
Gesù avverte che il terreno porta frutto da sé, automátê, aggettivo usato qui come avverbio per dire che le cose accadono senza una causa spiegabile. Nella descrizione della piaga delle tenebre in Egitto in Sap 17,6 è detto che nessun fuoco, per quanto intenso, riusciva a far luce, se non le luci spontanee,  automátê, degli astri. L'aggettivo è usato anche nella versione LXX del Levitico per descrivere la crescita spontanea negli anni sabbatici e giubilari. L'uso del termine in questo senso suggerisce che è Dio a celarsi dietro la crescita.
Anche qui una ripetizione - prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno - atta a creare il senso di un tranquillo e compassato trascorrere del tempo.
29 e quando il frutto è maturo, subito egli mette mano alla falce, perché è arrivata la mietitura.
Il verbo apostellei, che normalmente significa mandare, inviare, qui viene tradotto con mettere mano poiché il versetto è una citazione di Gl 4,13: date mano alla falce, perché la messe è matura. Visto che il verbo è usato in in un contesto missionario e dato che la messe ha la connotazione di un'urgenza escatologica, questi sottintesi possono essere presenti anche qui.
30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Per una analoga doppia introduzione Marco ricorda Isaia 40,18: A chi potreste paragonare Dio, e quale immagine mettergli a confronto?. Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive.
Il termine parabola, in ebraico mashal, è usato qui nel senso generico di illustrazione o anche di indovinello,.
31 E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno;
Gesù sta polemizzando con la descrizione che ha fatto il profeta Ezechiele sul regno: Anch’io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami, coglierò un ramoscello e lo   pianterò sopra un monte alto, massiccio, lo pianterò sul monte alto di Israele. Metterà rami e frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Il seme della pianta della senape era proverbiale per la sua piccolezza (ne parla anche Matteo per indicare una fede esigua quanto un seme di senape).
La pianta della senape, i cui semi sono usati per il loro aroma, può raggiungere, lungo le sponde del mare di Galilea, l'altezza di circa tre metri. Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente, la quale cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa di resistente e di esuberante.
32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra.
Date le dimensioni effettive della pianta della senape, si coglie l'esagerazione parabolica, unita ad un pizzico di ironia.
Nell'AT i grandi alberi qualche volta sono presi a simbolo del potere nazionale. Nel cap. 4 di Daniele il grande albero è simbolo del regno universale di Dio.
Nella prima lettura ne parla Ezechiele e ciò attesta che per Marco il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio.
Negli Atti degli Apostoli Luca narra come avvenga questo, da Gerusalemme ai confini della terra e Paolo sottolinea le difficoltà a cui andare incontro nell’esperienza storica.
33 Con molte parole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere.
L’uso dell’imperfetto nel verbo annunciava denota un'azione abituale.
L’affermazione come potevano intendere molto probabilmente si riferisce alla folla.
Alcuni autori ritengono che questa era originariamente la conclusione della raccolta di parabole pre-marciana.
34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
I destinatari di questa parabola sono, in privato, i Dodici e i seguaci, da introdurre nel mistero: in pubblico, i discepoli, che hanno bisogno semplicemente di spiegazioni. [C’è da dedurre che il mistero, mai irrazionale, non va capito, ma comunicato all’anima che ha sete di Dio].

3) UNA LETTURA SINTETICA E SEMPLIFICATA (per chi ne avverte il bisogno)
a) Sul regno di Dio
La nostra parabola insegna l'idea che il Regno di Dio è interamente un’opera divina.  A noi tocca una sola cosa, seminare la parola e aspettare la crescita del seme, che in maniera misteriosa rea­lizza Dio stesso.  Gli esseri umani non possiamo fare nulla per anticipare l’arrivo del Regno, né per costruirlo. E’ necessaria una sola cosa: non impedire la sua crescita con op­posizione od ostilità; cioè imparare la scienza della calma attesa dell’opera divina che, di notte mentre il contadino dorme, e di giorno mentre si dedica a tutte le incombenze del vivere, fa crescere il seme gettato nella buona terra. Gesù insegna ad avere la pazienza del contadino che aspetta, con tranquilla e serena pazienza, ciò che è sicuro Dio farà.
b) Sulla semina
La semina è un evento quotidiano nel mondo contadino della Palestina di Gesù.  L’inattività del seminatore che si limita a gettare il seme e poi ad attendere, serve ad indicare il miracolo quotidiano dell'azione divina, del suo frutto salvifico, spropor­zionato se lo paragoniamo all'attività umana.  Il centro della parabola non è la semina, ma il raccolto finale; non è l'azione dell'uomo, ma la risposta di Dio.  In questa maniera, Gesù insegna al cristiano un modo di essere e di pen­sare; insegna la logica divina, alla quale adeguare ogni pretesa ed attesa.
c) Sul tempo di Dio e sul nostro tempo
Il tem­po di Dio e il tempo dell'essere umano sonodivergenti. 
Per noi il tempo è uno squarcio, una parentesi: ciò che noi percepia­mo del Regno è limitato dalla transitorietà temporale e spaziale. Il nostro tempo è il tempo dell'attesa che il seme cresca, durante il quale tutto ciò che possiamo sapere è che il seme del Regno è presente nella storia ed in particolare in noi.
Partendo da questo dato di fe­de, bisogna cominciare a costruire la propria vita nello squarcio del tempo. Invece Dio è comprensivo di tutto il tempo, e non solo dello squarcio di tempo dell’esistenza umana.
Eppure… dipende da questo squarcio che il seme cresca continuamente in noi e attorno a noi…..


RITROVO NEL MIO VECCHIO DIARIO: NON SO SE CITAZIONI O MIEI APPUNTI:

= Il predicatore Origene, spiegando in un’omelia il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, interpella i presenti all’incirca così: voi mostrate tanta meraviglia per questo grande miracolo, ma il Signore lo compì solo 2 volte, mentre compie ogni giorno l’immane miracolo del sole che sorge e della campagna che produce i suoi frutti mirabili.

= Un giorno Michelangelo, passeggiando in un giardino di Firenze, vide, in un angolo, un blocco di marmo che sporgeva da sottoterra, mezzo ricoperto di erba e di fango. Si fermò di scatto, come se avesse visto qualcuno, e rivolto agli amici che erano con lui esclamò: In quel blocco di marmo c’è racchiuso un angelo; debbo tirarlo fuori. E, armatosi di scalpello, cominciò a sbozzare quel blocco finché non emerse la figura di un bell’angelo.
Anche Dio ci guarda e ci vede così: come dei blocchi di pietra ancora informi e dice tra sé: Lì dentro c’è nascosta una creatura nuova e bella che aspetta di venire alla luce; di più, c’è nascosta l’immagine di Cristo [noi siamo destinati a diventare come lui conformi all’immagine di Dio Padre!]; voglio tirarla fuori!”. E allora che fa? Prende lo scalpello che è la croce e comincia a lavorarci; prende le forbici del potatore e comincia a potare. Non dobbiamo pensare a chissà quali croci terribili. Ordinariamente egli non aggiunge nulla a quello che la vita, da sola, presenta di sofferenza, fatica, tribolazioni….
= Voglio aggiungere la mia preghiera: Dammi, o Dio, la gioia anche nella sofferenza! E dalla a tanti disperati di questa terra, perché possano sollevarsi dalle loro angustie.
Fa’ sciogliere in lacrime di pentimento ogni risentimento, odio, spirito di vendetta. Spezza il cuore di pietra DI CHI FA SOFFRIRE GLI ALTRI……………

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