sabato 2 giugno 2018


FESTA DEL CORPO E SANGUE DI CRISTO
                  

LETTURE LITURGICHE
Es24,3-8
Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». 4Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. 5Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. 6Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. 7Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». 8Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Sal 115
Che cosa renderò al Signore, / per tutti i benefici che mi ha fatto? / Alzerò il calice della salvezza / e invocherò il nome del Signore. 
Agli occhi del Signore è preziosa / la morte dei suoi fedeli. / Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. 
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore. / Adempirò i miei voti al Signore / davanti a tutto il suo popolo.

Eb9,11-15
Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

Mc 14,12-16.22-26
12. Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?. 13. Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi. 16. I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
22. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. 23. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24. E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.
25. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio. 26. Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

commento

1) INTRODUZIONE
In questa domenica la chiesa cattolica celebra il ricordo  dell’ultimo incontro conviviale di Gesù coi discepoli alla vigilia della sua passione e i testi scelti dalla liturgia evidenziano l’aspetto sacrificale di tale commemorazione.
Diversamente da quanto era avvenuto ai piedi del Sinai, i discepoli non si aspergono con il sangue di Gesù, ma lo bevono; gesto, questo che era comprensibile per i discepoli, in quanto educati a vedere nella legge della Nuova Alleanza, non più un insieme di precetti da praticare, ma il segno dell’amore di Gesù che dona se stesso a coloro che lo seguono, i quali dovranno diventare sorgente di comunione fraterna.
Su tale sfondo si collocano i testi dell’AT riguardanti la Sapienza, personificata nell’atto di imbandire la mensa (Proverbi 9,1-4), e di dare se stessa come cibo (Siracide 24,18-20).
Nel tempo di Gesù, la celebrazione della Pasqua era di sprone ai partecipanti perché potessero percorrere lo stesso cammino percorso dal popolo dopo la liberazione dall'Egitto.
La celebrazione si svolgeva con molti simboli: erbe amare, agnello mal-arrostito, pane non fermentato, calice di vino, altro. Durante la celebrazione, il figlio minore doveva chiedere al padre: Papà, perché questa notte è diversa dalle altre? Perché mangiamo erbe amare? Perché l'agnello è mal cotto? Perché il pane non è fermentato? Ed il padre rispondeva, raccontando con libertà i fatti del passato: Le erbe amare ci permettono di sperimentare la durezza e l'amarezza della schiavitù. L'agnello mal cotto evoca la rapidità dell'azione divina che libera il popolo. Il pane non fermentato indica il bisogno di costante rinnovamento e di conversione. Ricorda anche la mancanza di tempo per preparare il tutto, essendo assai rapida l'azione divina. Questo modo di celebrare la Pasqua, presieduta dal padre di famiglia, dava libertà e creatività al presidente nel modo di condurre la celebrazione.
Il tema dell’alleanza unisce in unità le tre letture liturgiche odierne. L’alleanza, stretta da Dio con il popolo al Sinai e mediata da Mosè, è accompagnata dall’aspersione del sangue delle vittime sacrificali sui due contraenti dell’alleanza: Dio (simbolizzato dall’altare) e il popolo. Si tratta di alleanza bilaterale, che al dono di Dio fa seguire l’impegno umano nell’attuarla (I lettura).
Il Nuovo Testamento afferma il compimento dell’antica alleanza nel sangue di Crosto; la morte di Gesù opera infatti efficacemente quel perdono dei peccati che toglie il grande ostacolo a rispondere alle esigenze dell’alleanza (II lettura). Per questo il salmista canta: Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene.
La festività di questa domenica è stata istituita in epoca tardiva, nel XIII secolo e nel secolo seguente ha faticato a imporsi in occidente, restando invece sempre sconosciuta nella tradizione ortodossa.
A differenza di Luca e di Paolo, Marco non fa alcun cenno all’ordine dato da Gesù di ripetere lo stesso gesto in sua memoria: egli forse l’ha ritenuto superfluo, in quanto scrive per una comunità che già celebra l’eucaristia.
Per far capire quale sia la vera Pasqua, Marco colloca il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia tra il tradimento di Giuda (Mc14,10-11) e l’annuncio del rinnegamento di Pietro e dei suoi discepoli (Mc14,30): alla debolezza dei discepoli si contrappone l’Eucarestia, dono di grazia e di redenzione. Gesù offre la sua vita per una comunità che lo tradisce e si scandalizza di lui; e, nonostante questo, Egli manifesta la compassione e la presenza di Dio, il suo amore incondizionato per l’umanità.
Nelle parole tramandate dalla tradizione è già presente l’interpretazione sacrificale della morte di Gesù e della cena da lui consumata la sera prima con i suoi discepoli. Essa si basa sulla concezione biblica del sacrificio, considerato, non come strumento di espiazione nel senso corrente del termine, ma come segno dell’alleanza stabilita da Dio con il suo popolo. In questa prospettiva Gesù si presenta come colui che attua la comunione piena con Dio.
Dal testo odierno risulta che effettivamente per Marco (anche se nel seguito del racconto non fa più alcun riferimento alla Pasqua) l’ultima cena è stata un vero e proprio banchetto pasquale. Secondo la tradizione giovannea invece l’ultima cena non fu una celebrazione pasquale, perché ebbe luogo il giorno prima della festa: questa infatti cadeva nel giorno di venerdì, ma Gesù morì il giovedì pomeriggio, proprio mentre si sacrificavano gli agnelli per la cena (cfr.Gv18,28).
Al di là del problema storico, è importante sottolineare come, sia per Marco sia per Giovanni, anche se in modo diverso, la Pasqua giudaica rappresenta lo sfondo biblico della morte di Gesù e quindi dell’ultima cena che la prefigura.
Le parole di Gesù sono state trasmesse in due versioni leggermente diverse, una da Marco e da Matteo e l’altra da Luca e da Paolo. Ciò si spiega supponendo che gli autori sacri le abbiano riferite nella forma in cui erano ripetute dalle loro rispettive comunità nella celebrazione eucaristica.
L’annunzio del tradimento lascia subito il posto alle parole pronunziate da Gesù sul pane e sul vino: nulla è detto di ciò che precede o segue l’istituzione del rito eucaristico, al punto tale che è impossibile, partendo da questo racconto, stabilire con esattezza se si trattasse o no di un banchetto pasquale.

2) LA PERICOPE DI QUESTA DOMENICA
a) I PREPARATIVI: vv.14,12-16
12. Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?.
Secondo Marco, la richiesta dei discepoli ha avuto luogo nel primo giorno degli Azzimi. Questo cadeva, non il giorno di Pasqua, ma la vigilia, al termine della quale, dopo il calar del sole, iniziava la festa. Quell’anno la Pasqua si celebrava il venerdì; di conseguenza la preparazione ebbe luogo nella giornata di giovedì.
Il termine Pasqua, dall’ebraico Pesah, significa passaggio. Infatti la festa della Pasqua ricorda, mediante il sacrificio dell’agnello, il passaggio dell’angelo di Dio, che colpì i primogeniti degli Egiziani e consentì al popolo ebraico di liberarsi dalla schiavitù in Egitto, oltrepassando il Mar Rosso e incamminandosi verso la terra promessa.
Il termine indica due feste che in origine erano separate: a) la Pasqua propriamente detta, che consisteva nell’immolazione dell’agnello e nella sua consumazione in ambito familiare; b) la festa degli Azzimi, che consisteva nel consumare pane azzimo per la durata di una settimana (in ricordo del pane non fatto fermentare dagli ebrei per la fretta di fuggire quando furono inseguiti dall’esercito del Faraone).
Nel volgere degli anni le due feste furono fuse: il giorno di Pasqua in senso proprio è diventato così il primo giorno della settimana degli Azzimi, la quale termina poi con un’altra assemblea festiva. La Pasqua aveva luogo il 15 del mese di Nisan. Siccome il calendario allora in uso era basato sui cicli lunari, la data della pasqua variava ogni anno.
La Pasqua, inoltre, si collegava al ricordo di altri eventi salvifici, quali la creazione, l’alleanza di Dio con Abramo, il sacrificio di Isacco e infine la venuta del Messia.
(I discepoli chiedono a Gesù dove vuole celebrare la Pasqua in modo da avere il tempo per procedere alla pulizia rituale degli ambienti e a procurare l’agnello e gli altri cibi necessari prima del calar del sole).
13. Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo.
Questo particolare è interessante (come tutti i particolari descritti da Marco nel suo vangelo).  L’uomo con la brocca rimanda a Giovanni Battista, il precursore, che invitava con forza i suoi discepoli alla conversione. Gesù stravolge le credenze del tempo: l’uomo che porta la brocca d’acqua, cioè l’uomo che fa quanto non ci si aspetta faccia un uomo [era compito delle donne, non degli uomini, portare la brocca alla fontana per riempirla], è figura dello stravolgimento delle regole sociali necessario a dare avvìo ad un nuovo corso della storia della salvezza.
14. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi.
Gesù si comporta come il regista di un piano preordinato da Dio e da lui pienamente conosciuto e accettato. Sapendo di essere braccato, di non potersi fidare neppure di tutti i suoi discepoli (uno l’ha ormai tradito), predispone ogni cosa perché quella cena pasquale possa avvenire ma agisce con molta circospezione, volendo, come pare, che non si sapesse dove la celebrerà. L'espressione che Gesù suggerisce di riferire al padrone di casa viene così commentata dagli studiosi: Soltanto i muri e i tappeti appartengono al proprietario; per ora quella stanza la considera sua, perché in essa Gesù dovrà mangiare la Pasqua con i suoi discepoli; anzi è Lui quella stanza, perché nessuno dovrà rimanere escluso (neppure colui che poi lo tradirà). E’ da notare che all'inizio abbiamo incontrato la contrapposizione noi-tu, poi si è passati all'io-con i discepoli; ora si arriva alla cena per noi.
16. I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre tutto il racconto si effonde nei particolari, ora termina in maniera sbrigativa; pare che Marco voglia abbassare il sipario e chiudere ogni scenario. Ma proprio questo silenzio che sembra avvolgere tutto, mette in rilievo, senza che lo si dica, la figura di  Gesù, autorevole, che ha tutto predisposto per la celebrazione.  

b) L’ISTITUZIONE DELL’EUCARISTIA: vv. 22-26
22. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo.
Questi gesti richiamano il rito con cui aveva inizio, non solo la cena pasquale, ma ogni banchetto giudaico. Per i giudei la benedizione consisteva in un ringraziamento a Dio per i benefici accordati al suo popolo, dei quali il pane era simbolo; mangiando insieme il pane spezzato, i commensali esprimevano da una parte l’accettazione dei doni di Dio e dall’altra il rapporto di comunione tra loro che ne era la diretta conseguenza.
Gesù specifica però che quel pane spezzato è il suo corpo: ciò significa, secondo il linguaggio biblico, che il pane rappresenta il suo essere contrassegnato dal marchio della morte. Egli si presenta così come il dono ultimo e definitivo fatto da Dio al suo popolo: mangiando il pane da lui offerto, il discepolo si renderà partecipe del dono di sé che Gesù ha fatto nel momento della morte e accetterà di fondare su di esso il proprio rapporto con Dio e con la comunità.
23. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti
Gesù prende poi un calice colmo di vino e, dopo aver reso grazie, eucharistêsas (verbo apparso nella seconda moltiplicazione dei pani in Mc8,6), lo fa passare ai commensali, i quali uno dopo l’altro ne bevono il contenuto. Secondo il costume giudaico alla fine del pasto il presidente pronunziava su una coppa di vino un lungo ringraziamento a Dio per i benefici concessi al suo popolo: tutti i commensali poi ne bevevano, significando così nuovamente la comunione che si era stabilita tra di loro in forza del dono ricevuto da Dio. La stessa cosa fa Gesù con i suoi discepoli.
24. E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.
Con queste parole Gesù si richiama al sacrificio dell’alleanza (cfr. Es24,8), dal quale ricavavano il loro significato i molteplici sacrifici israelitici: come il sangue sparso sull’altare e sul popolo significava il rapporto che Dio aveva stabilito con Israele mediante l’alleanza, così il sangue di Gesù, segno della sua morte, realizza l’intima comunione tra Dio e i discepoli (nonché… tutti gli esseri umani). Pur senza alludervi espressamente (come fa invece in Luca e in 1Cor11,25), Egli si riferisce alla profezia di Geremia che annunziava per gli ultimi tempi una nuova alleanza, caratterizzata dal fatto che la legge sarà scritta sul cuore di ciascuno, e ottenuta dal perdono totale dei peccati.
Il carattere sacrificale della morte di Gesù viene sottolineato mediante l’affermazione secondo cui il suo sangue è versato per, hyper, molti: questa espressione si rifà ai carmi del Servo di JHWH, la cui morte ha avuto l’effetto di riconciliare con Dio e tra di loro i giudei esiliati (cfr. Isaia). Anche la morte di Gesù comporta un’analoga riconciliazione tra Dio e il suo popolo. In questo contesto il termine molti indica certamente il popolo di Israele; ma per Marco, alla luce delle parole pronunziate nel tempio (11,17), esso assume una portata universale. Al di là della risposta che i singoli possono dare, il sangue di Gesù, in quanto significa la sua morte accettata per amore, ha lo scopo di eliminare i peccati di tutti (Matteo aggiunge: ‘in remissione dei peccati’). [In seguito si noterà la tendenza a limitare l’efficacia del sangue di Gesù alla comunità di coloro che l’hanno accettato: Luca infatti sostituisce ‘molti’ con ‘voi’, e lo stesso fa Paolo (1 Cor), il quale però usa questa espressione a proposito del pane.]
25. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio.
L’evangelista conclude il racconto della cena riportando questo detto per ricordare che la cena non è ancora il banchetto messianico annunziato dai profeti, ma lo prefigura e lo anticipa nella storia dell’umanità, così come la moltiplicazione dei pani lo aveva anticipato nel contesto del ministero pubblico di Gesù.
26. Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Questo versetto allude probabilmente al canto di alcuni Salmi dell'hallèl con i quali si ringrazia Dio per la liberazione del popolo dalla schiavitù e si chiede il suo aiuto per le difficoltà e le minacce sempre nuove del presente.
Il percorso fino al Getsemani è costellato di espressioni di Gesù che fanno sentire incombente il suo destino di morte e annunciano l'imminente dispersione dei discepoli.

3) PERSONALIZZATO
Papa Francesco ha scritto nella sua enciclica Evangelii gaudium, n. 187:
Se oggi, differentemente da un tempo, è sempre più difficile assistere alla processione del Corpus Domini, tra le vie dei nostri quartieri, al contrario, assistiamo quotidianamente alla processione costante di persone bisognose, sole, abbandonate e fragili, espressione del volto di Cristo, realmente presente in questi nostri fratelli: questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo.
Quel semplice pezzo di pane, racchiude in sé un altro messaggio importante che il Signore ci vuole dare: l’impossibilità di scindere la presenza di Gesù nell’Eucarestia, dalla presenza di Gesù nei poveri. Immigrati, sbandati, nomadi, sono il “corpo di Cristo”, portato in giro per le strade della nostra città.
Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso….

 
Le mani vicine l’una all’altra sono ricche di simbolicità eucaristica ‘laica’.

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