venerdì 26 maggio 2017

ASCENSIONE anno A


Mt 28,16-20

In quel tempo, 16 gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

 

Commento

 

- Il racconto dell’Ascensione, cioè della salita al cielo con il corpo di Gesù, si muove nella visione mitologica dell'epoca, che vedeva il mondo diviso in tre piani: a) al centro la Terra; b) al di sopra il cielo, che, visto dalla terra, appare posto in alto e, appunto per questo, è considerato luogo dell’ultra-terreno; c) al di sotto gli inferi, termine derivato dal latino infërus che significa situato-sotto (la Scrittura usa il termine ebraico Shéol per indicare il luogo dei morti, buoni e cattivi, anche se la sorte degli uni non è considerata  identica a quella degli altri).

- Il racconto più dettagliato è quello di Luca nel suo vangelo e negli Atti degli Apostoli. In questi ultimi l'ascensione di Gesù sarebbe avvenuta 40 giorni dopo la Pasqua, a differenza del suo stesso vangelo dove egli sembra riunire in un solo giorno i due eventi. I quaranta giorni sembrano essere un tempo-limite e potrebbero indicare l'autorità dei primi testimoni, oppure la durata-tipo dell'insegnamento del Risorto ai discepoli.

- Matteo non parla esplicitamente di ascensione al cielo come gli altri sinottici; parla dell’ultimo saluto agli undici in Galilea, su un monte non specificato, sito teologico, là dove Dio a più riprese si è rivelato e ha voluto essere incontrato, là dove Gesù aveva pronunciato il lungo discorso contenente anche le beatitudini, là dove Pietro, Giacomo e Giovanni avevano contemplato la sua Trasfigurazione. Giovanni ne parla indirettamente, quando apparve a Maria Maddalena che voleva trattenerlo e Gesù le disse: Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).

- Il testo che oggi leggiamo è la conclusione del Vangelo secondo Matteo. Per lui, con l'ascensione si conclude il tempo della presenza visibile di Gesù in mezzo ai suoi e inizia il tempo della Chiesa.

- v.16 gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Matteo parla di undici discepoli, per ricordare che il gruppo ha una ferita causata dal tradimento. Le parole e la missione non sono donate ad un gruppo di perfetti, ma ad uomini fragili che hanno fallito. Il numero dodici che rappresentava il nuovo Israele non viene più ricostituito da Gesù. C’è anche il richiamo al monte Nebo dove Mosè salì, dopo aver dato l'investitura a Giosuè per entrare nella terra promessa.

- v.17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

La nuova traduzione ha tolto giustamente la parola ‘alcuni’. Tutti i discepoli (nonostante che avessero visto e udito) dubitano. Davvero ogni credente deve far proprio il grido di supplica del papà del ragazzo epilettico: "Gesù credo, ma aiutami nella mia incredulità" (Mc 9,24).

- v.18 Gesù si avvicinò e disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.

Sul monte della tentazione, satana aveva proposto a Gesù ogni potere in cambio della sua adorazione (Mt 4,8); ora qui sul monte si proclama che, Egli, avendo sconfitto satana con la sua morte e resurrezione, ha realmente ricevuto ogni potere dal Padre.

Questa affermazione posta dall’evangelista in bocca a Gesù è una citazione del profeta Daniele riguardo al Figlio di uomo al quale Dio Diede potere, gloria e regno (Dn 7,14 LXX). Ma in Matteo c’è un cambio sostanziale: mentre Daniele scrive che “tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano”, per Matteo, Gesù, che “non è venuto per farsi servire ma per servire…” (Mt 20,28), non viene a dominare le nazioni ma a liberarle, comunicando loro lo stesso Spirito vitale di Dio. Il significato di potere va dunque distinto dal modo di intendere comune, tanto è vero che si realizza sotto forma di servizio.

- v.19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,

L’esperienza di vedere Gesù risuscitato non è un privilegio storicamente concesso a undici discepoli, ma una possibilità per ogni generazione di credenti che accolga e pratichi le beatitudini: il comandamento unico lasciato ai suoi da Gesù è quello dell’amore concreto, praticato, vissuto.

- 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Nel Vangelo di Matteo si distingue tra il verbo insegnare e quello che indica il proclamare e l’annunciare. Oggetto di questi due verbi sono i popoli pagani, i quali non sono appoggiati ai testi del’AT, eppure dovranno praticare lo stesso comandamento.

Le ultime parole io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo sono formulate sul modello di quelle che chiudono la Bibbia ebraica che riportano il decreto di Ciro, re di Persia, contenute nel Secondo Libro delle Cronache: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”»

Infatti come con il decreto di Ciro, i Giudei, da Babilonia terra di prigionia, furono invitati a tornare in Giudea, terra della libertà, con Gesù i discepoli sono invitati a uscire dalla Giudea, diventata terra di prigionia e di morte, per andare in tutto il mondo.

La seconda parte di questo versetto richiama letteralmente le parole di Mosè, il quale quando fu inviato a liberare il popolo d'Egitto, ricevette da Dio una certezza, l'unica certezza che offre garanzia totale: "Va, io sarò con te!" (Es 3,12). E questa stessa certezza venne data ai profeti e ad altre persone inviate da Dio per svolgere una missione importante nel progetto di Dio (Gr 1,8; Gdc 6,16). Maria ricevette la stessa certezza quando l'angelo le disse: "Il Signore è con te" (Lc 1,28). Qui è Gesù, in persona, l'espressione viva di questa certezza, perché il suo nome è Emmanuele, Dio con noi (Mt 1,23). Lui sarà con i suoi discepoli, con tutti noi, fino alla fine dei tempi. Questa certezza dà sostegno alle persone, alimenta la loro fede, sostiene la speranza e genera amore e dono di sé.

RIFLESSIONI

- L'Ascensione dovrebbe ricordarci la bellezza dello spostamento del polo attorno a cui gira la vita umana: dagli interessi terreno ad una visione delle cose dilatata al Cielo, cioè a ciò che non è destinato a finire.

- L'essere umano vive nella misura in cui spera.

L'uomo moderno commette il peccato di togliere la speranza che, con la morte, si abbrevierà il raggio di distanza tra quello che chiamiamo aldilà in quanto oltre il tempo, e presente temporale. Lo sguardo rivolto al Cristo che ascende al Padre, è, dunque, uno sguardo che ci radica nel segmento di storia in cui viviamo, con l'impegno di combattere il male e aprirci alla fraternità e alla solidarietà, le sole capaci di instaurare nel mondo giustizia e pace. Il presente vissuto ogni momento è determinante; in esso si condensa il passato e si determina il futuro: ricordarlo richiede un esercizio liberante. La spiritualità dell’ascensione è una spiritualità del quotidiano: il Cristo risorto è con noi e opera attraverso di noi tutti i momenti. Ogni giorno va vissuto quindi come fosse l’unico o l’ultimo.

- Elsa Morante, nel suo celebre romanzo ‘La Storia’ così si esprime: “Ah, Cristo, sono duemila anni che aspettiamo il tuo ritorno”. “Io - risponde lui - non sono MAI partito da voi. Siete voi che ogni giorno mi linciate, o peggio ancora, tirate via senza vedermi, come s’io fossi l’ombra di un cadavere putrefatto sotto terra. Io tutti i giorni vi passo vicino mille volte, mi moltiplico per tutti quanti siete, i miei segni riempiono ogni millimetro dell’universo, e voialtri non li riconoscete, pretendete di aspettare chi sa quali altri segni volgari”. [Non è ancora così? Cos’è questa sete di apparizioni, che si aggiungono a quella del Cristo Risorto]

- Voglio concludere con le parole di un grande mistico arabo, al-Hallaj, morto nel 921, ma vicinissimo alla nostra esperienza cristiana:
Le ore della meditazione divina e della poesia sono conchiglie che giacciono nel mare del nostro cuore. Ma arriverà il giorno della risurrezione che porterà a riva queste conchiglie, le quali si schiuderanno e allora saranno tutta luce. Luce senza striature di tenebre. Saranno gioia intatta, senza quei fremiti di paura che ora posseggono.

venerdì 19 maggio 2017

VI DOMENICA DI PASQUA


Gv14,15-21

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

18 Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

At 8,5-8.14-17

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Sal 66 (65)

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!
      A te si prostri tutta la terra,
      a te canti inni, canti al tuo nome».
      Venite e vedete le opere di Dio,
      terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
      Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
      e narrerò quanto per me ha fatto.
      Sia benedetto Dio,
      che non ha respinto la mia preghiera,
      non mi ha negato la sua misericordia.

1Pt 3,15-18

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

 

Commento

- Il vangelo di oggi, come quello della scorsa domenica, è tratto dal primo dei tre discorsi di addio pronunciati da Gesù durante l’ultima cena. I discepoli hanno capito che Gesù sta per lasciarli, sono tristi e si chiedono come potranno continuare ad essergli uniti e ad amarlo se egli se ne va. Gesù promette di non lasciarli soli perché il Padre manderà lo Spirito che rimarrà per sempre con loro (v.16).

Lo Spirito è definito un altro Paràclito, perché il primo è lui stesso. Chi vorrà rimanere nel suo amore, lo vivrà in forma nuova, nell’interiorità. In loro vivrà lo Spirito! Il vincolo di unione e di amore tra Gesù e il Padre, si dilaterà e avvolgerà anche loro tramite l’azione invisibile e profonda dello Spirito.

Nel v.17 esiste un gioco verbale tra presente e futuro: Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. E’ chiara l’allusione alle apparizioni pasquali, quando tutti potevano vedere sensibilmente Gesù. Dopo la risurrezione, invece, la visione sarà un dono riservato a chi si inserirà nella dinamica di amore dello Spirito tramite una presenza interiore. Paolo svilupperà questo aspetto dello Spirito con la dottrina dell’inabitazione dello Spirito nell’anima.

Lo Spirito ha due nomi: Parákletos e Spirito della verità. Il mondo sta a significare i non-convertiti, i quali vivono, come dice Paolo in “Efesini”, adempiendo le voglie della carne e dei pensieri. Ad essi manca la capacità della visione interna dello Spirito.

Consolatore non è una buona traduzione dal greco Parákletos, perché è un termine preso dal linguaggio forense e  indica colui che è chiamato accanto, difensore. Più appropriato è l’appellativo Spirito della verità che enuncia un’altra funzione del Paraclito: il suo essere a servizio della verità, impedendo che si introducano errori nella trasmissione del messaggio di Cristo.

Nel v.18 la frase: Non vi lascerò orfani fa trasparire lo spirito filiale che c’è nel rapporto di Gesù col Padre e che rende anche noi figli di Dio.

Nel v.19 Gesù promette ancora, a chi entra nel circuito dell’amore, una qualità di vita nuova: ciò significa che anche nel tempo storico della nostra esistenza avviene il miracolo della partecipazione alla vita divina.

Il v. 20 voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi sviluppa il tema del versetto precedente.

Nel v.21 Gesù conclude ripetendo ciò che aveva enunciato nel v.15: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva… per ricordare, con il possessivo miei, che i comandamenti di Mosè ora vanno re-interpretati alla luce del’unico comandamento dell’amore umile che si fa servizio. E’ questo retaggio che Gesù consegna ai suoi come fondamento della chiesa, definita nel suo mistero più profondo: vedere la vita terrena inserita nella Vita vera quale si è realizzata nel Risorto (il redattore, anche se il discorso è stato ambientato nel periodo pre-pasquale, parlando dell’azione dello Spirito, è proiettato in quello post-pasquale, attraverso la promessa dello Spirito) .

- Anche le altre due letture proposte dalla liturgia insistono sugli stessi concetti espressi nel vangelo. Il racconto degli Atti ricorda che l’ultima tappa dell’opera di evangelizzazione è l’imposizione delle mani per conferire il dono dello Spirito Santo. E Pietro nelle sua prima Lettera si ferma sul modo di comunicare la verità riguardante la presenza dello Spirito nella Chiesa: questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza.

 

Un approfondimento

 

Vorrei proporvi una questione molto seria, anche se dovrò attenermi alla regola di usare concetti il più possibile semplici.

Gli storici cercano di avvicinarsi a Gesù con i loro strumenti critici, senza mai raggiungere tale obiettivo compiutamente. Il Gesù degli storici è sempre parziale. Le ricostruzioni unilaterali sono persino contrastanti fra loro: vedi, ad esempio, come l'interpretazione di Gesù quale profeta escatologico sia in contrasto con quella di un Gesù, sapiente carismatico non escatologico. Bisogna riconoscere, però che gli storici ci aiutano a vederlo inserito nel contesto culturale e religioso giudaico del primo secolo.

Anche la fede si interessa alla storicità di Gesù, perché attraverso di essa ci si avvicina più concretamente all’essere della sua persona e del suo messaggio. Ma deve restare fermo un principio: qualora la ricerca del Gesù storico dovesse scalzare la fede, ciò vorrebbe dire che non è corretta nemmeno storicamente.

Se è vero che non ci si può disinteressare al Gesù storico, rimane il principio che oggetto ultimo della fede è il Cristo crocifisso e risorto, presente attivamente nella comunità mediante il suo Spirito.

Siccome la storia è sempre necessariamente interpretazione, e la storia di Gesù è narrata da testimoni credenti, non si può separare la vera storia di Gesù dal kerigma [il termine significa annuncio ed indica il contenuto di base della fede attraverso la narrazione evangelica e studiando le modalità in cui gli scritti possono riportare alla verità storica].

Il pericolo maggiore dei teologi e degli studiosi è quello di proiettare la loro visione nelle fonti evangeliche.

Siccome il contesto moderno e postmoderno è critico, ove si incrociano filosofie diverse e metodi molteplici di ricerca, il teologo e la teologia debbono avere sempre presente il Gesù testimoniato e quindi interpretato, ma non inventato, dai primi testimoni e da coloro che ne hanno tramandato le tradizioni fino alla redazione evangelica. Il Gesù storico sta al di là della storia e anche della teologia. Questa coscienza del limite della storia e della teologia ci preserva dall'errore di considerare detentori della verità su Gesù soltanto lo storico o il teologo.

 

Personale

Anch’io, stendendo il mio limitato commento, ho le mie tentazioni. E siccome so di essere letta da persone mature, ho il coraggio di confessarvele.

Le grandi enunciazioni circa le verità stabilite nei concili ecclesiali a volte mi riescono più di disturbo che di aiuto nel fare il mio commento.

Vorrei avere la libertà di interrogare il vangelo, il mio cuore, la mia coscienza, le mie esigenze spirituali.

Ecco: amo il Cristo col suo programma di amore per tutti. E quando dico ‘tutti’, non penso solo ai credenti e ai frequentatori della chiesa.

Sono consapevole del fatto che la chiesa risponde ad una necessità storica, soprattutto quella di trasmettere la verità biblica. E sono consapevole che la fede è per me un mezzo, anzi l’unico mezzo, per affidarmi ad un punto saldo nell’esistenza temporale: la certezza che sbaglierei a fidarmi di me e anche dei miei studi; che debbo trascendere i miei gusti, le mie sensazioni, i miei bisogni, le mie paure ecc. Voglio trovare nell’interiorità la Luce della verità che si comunica a me attraverso la PREGHIERA. E la preghiera mi fa attendere il dono della FEDE con pazienza e con l’umiltà che non ho ma che imploro.

La risposta che mi dà la preghiera è sempre questa: Gesù non è venuto soltanto per un gruppo di persone che sono nella Chiesa. Gesù vuol fare conoscere il Padre di tutto il genere umano, distribuito in questo piccolo pianeta, con le varie religioni e credenze (anche le più rozze) (e com’è, forse, in altri pianeti).
Quello di cui parlo non è il mondo, così come è identificato nelle pericope di oggi, e cioè “i non-convertiti”. Come diceva Giovanni XXIII: non è l’umanità  che si deve convertire al cristianesimo, ma è il cristianesimo che si deve convertire all’umanità.

venerdì 12 maggio 2017


DOMENICA QUINTA di PASQUA

 
Gv 14. 1-12
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3 Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4 E del luogo dove io vado, conoscete la via». 5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6 Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto. 8 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11 Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. 12 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.

 

COMMENTO

 

LA PERICOPE DI OGGI NEL CAP. 14
- Il cap.14 presenta una duplice struttura. Sorge, perciò, il sospetto che provenga da due diverse fonti, successivamente assemblate. Preceduto dall'introduzione al discorso di addio, lo sfondo è pre-pasquale: anche se le parole di Gesù sono collocate durante l’ultima cena, sappiamo che sono parole del Risorto alla sua chiesa.
- Da un'attenta analisi si rileva come la pericope di oggi, introdotta nel v.1 dall'espressione Il vostro cuore non si turbi, riguarda il senso della missione di Gesù assieme agli effetti che essa produce sui discepoli (vv.1-7), e il Mistero che informa e sostanzia i suoi rapporti con il Padre (vv.8-11); mentre il v.12 traghetta il lettore al tema della seconda sezione (che oggi non leggiamo).
Il fatto che la pericope sia caratterizzata dalla presenza di verbi di movimento (andare, tornare) e del sostantivo odós, che significa strada, via, ripetuto tre volte, è molto significativo nel momento in cui Gesù fa il suo ultimo incontro con i suoi: egli, vicino ad andare presso il Padre,  affida a loro la sua missione di andare ad evangelizzare.
- L'esortazione a non turbarsi riguarda, non soltanto gli eventi che da lì a poche ore travolgeranno Gesù, ma anche lo sconcerto che si scatenerà tra i discepoli: come spiegare tali eventi a quanti li contestavano o li deridevano o chiedevano giustificazioni della loro fede in un crocifisso? Ecco dunque la seconda esortazione: credete in Dio e credete in me. Un'esortazione quanto mai opportuna per sostenere dei cuori travolti dal dubbio. Il verbo qui usato è al presente indicativo che sottolinea quale deve essere la continuità e la persistenza del credere nonostante tutto.
- Il nome di Dio qui non va inteso come sinonimo di Padre, concetto sostanzialmente estraneo sia al mondo ebraico che a quello pagano, ma come come il Dio dei Padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio della Promessa.
La sollecitazione a credere in questo Dio è seguita da quella al credere in Gesù, e perciò è congiunta alla seconda da un kaì, che in italiano corrisponde alla congiunzione e. L’evangelista, mettendo queste parole in bocca e Gesù, vuole evidenziare che la fede in JHWH deve confluire in quella in quella verso di Lui; ed ecco ancora che il verbo credere è seguito dalla particella di moto a luogo eis, che significa verso.  E’ chiaro il richiamo al cammino, sia di Israele nel deserto, sia delle prime comunità credenti nel loro costituirsi tra dubbi e incertezze.
Abbiamo una conferma di ciò nella vita e nella catechesi delle comunità primitiva, quali vengono presentate nella prima e nella seconda lettura liturgica di oggi: in Atti, sullo sfondo della elezione dei sette diaconi, si profila una situazione di contrasto fra cristiani in seno alla Chiesa delle origini, appartenenti a due gruppi, diversi per mentalità, lingua, tradizioni, cultura. La soluzione di queste tensioni viene cercata in una linea di equilibrio e di riorganizzazione della Chiesa, per un più efficace servizio: la comunità, mentre cresce per il moltiplicarsi del numero dei discepoli, incomincia anche a differenziarsi in ministeri diversi, perché tutti dovranno essere pietre vive da impiegare per la costruzione del medesimo edificio spirituale.
- Nei vv.2-3 i Padri della Chiesa, a partire da Ireneo (130-202 d.C.), quando Gesù parla de la casa del Padre dove vi sono molte dimore, videro una sorta di svelamento della vita nell'aldilà: immagine, questa, comune nel pensiero veterotestamentario. Non si tratta certamente di luoghi così come li intendiamo noi, né di dimensioni celesti o gradi di diversa partecipazione alla vita divina. L'evangelista non vuole darci la mappa dell'aldilà, ma, con linguaggio metaforico, intende dire come la dimensione divina, propria del Padre, è aperta a tutti i credenti ed è raggiungibile da tutti. La questione che si pone è come queste molte dimore siano raggiungibili. E sarà compito del v.3 illustrarlo: Quando sarò andato e preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi.
L'espressione, Quando sarò andato, caratteristica di Giovanni, e il vi avrò preparato un posto, indicano la richiesta di Gesù ai discepoli di rendersi docili alla dimensione divina grazie al suo essere andato, cioè grazie alla sua morte-risurrezione, la quale è la chiave di volta dell'intera storia della salvezza. È significativo, infatti come le due frasi siano, non solo consequenziali, ma anche strettamente legate l'una all'altra. In altri termini, l'accessibilità del credente alla vita divina e, quindi, la sua salvezza, dipende ed è strettamente conseguente alla morte e risurrezione di Cristo, alluse dai verbi posti al futuro. Stringersi a Cristo è trovare la forza per superare i momenti di paura e di turbamento di fronte agli ostacoli posti dal mondo. Se nel mondo regna la violenza, dipende anche dal loro impegno il trionfo del Bene sul male, in cui si sintetizza lo scopo della salvezza.
Sorge spontaneo un confronto con il Talmud (libro che è secondo solo alla Bibbia), per rilevare che la prospettiva della salvezza universale non è solo frutto della novità evangelica.
Si legge nel Talmud: “La pace dell’asino dipende dal suo orzo”. Cioè all’essere umano di solito un po’ di orzo non basta, ma c’è chi vuole tutto subito e fa la guerra; la pace di Gesù è un’altra cosa, non è solo assenza di guerra, piuttosto è una pace che riempie il cuore, anche quando c’è la guerra. È la pace interiore, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia. È la pace che è frutto di una vita vissuta in armonia con Dio, e con il prossimo.
- I vv.4-6 sono caratterizzati, a) dalla presenza del termine odós, ripetuto tre volte, che funge da tema ed ha il suo vertice nel v.6, dove Gesù dichiarerà di essere lui la Via che conduce al Padre; e b) dal verbo oîda, conoscere, sapere, che fa emergere la discrepanza tra il conoscere Gesù (v.4) e il non poter conoscere (v.5). Ciò per concludere che sarà soltanto il dono dello Spirito, il quale colmerà questo divario.
- Il v.4, pur nella sua brevità, è scandito in due parti: la prima parla della meta verso la quale Gesù sta andando, dove io vado; una meta volutamente oscura, che spingerà Tommaso a riprendere la questione (v.5) e, tramite la tecnica del fraintendimento, a rilanciare il tema portandolo a conclusione (v.6). Tecnica che verrà ripresa subito dopo al v.8, dove Filippo chiede a Gesù di mostrargli il Padre e che consentirà all'autore di approfondire il tema dei rapporti tra Gesù e il Padre (vv.9-11). Il verbo qui usato per indicare l'andare di Gesù è ipágo, che significa mettere in potere di qualcuno, sottoporre. Quindi il dove Gesù va non indica il semplice movimento verso un luogo, ma è un andare che diviene sinonimo di condurre al Padre tutti quelli che il Padre gli aveva affidato. Il nome di Tommaso compare sei volte nel racconto giovanneo e sempre in contesti dove egli assume il ruolo di chi ha difficoltà a comprendere le cose ed è diffidente nei confronti del soprannaturale. Il non sapere di Tommaso denuncia dunque non solo la difficoltà del comprendere, ma anche del credere. In realtà Gesù si limita ad indicare se stesso come la Via, ma questo non spiega come ciò sia possibile. Gesù, infatti, è il Mistero da chiarire e da comprendere, perché il Mistero non è siegabile.
- I vv.6.9-11 costituiscono il cuore dell'intero cap.14 in quanto di natura rivelativa e dottrinale. Infatti, mentre il v.6 rivela la vera identità di Gesù nei confronti dei credenti, i vv.9-11 rivelano la dinamica relazionale che anima i rapporti tra Gesù e il Padre, ma nel contempo svelano la vera identità e natura di Gesù nella sua relazione con il Padre.
La parte assertiva si apre con la nota espressione giovannea Io sono, che richiama il nome di JHWH con cui Dio si è presentato a Mosè sul monte Oreb (Es 3,14). Questa espressione è seguita da tre predicati nominali, tre sostantivi cioè che dicono che cos'è questo Io sono e ne definiscono in qualche modo la natura, rendendolo così maggiormente accessibile. I tre predicati sono strettamente legati tra loro dalla congiunzione, così da presentare tre sfaccettature diverse della stessa realtà, non contrapposte o alternative l'una all'altra, ma l'una che si integra nell'altra. Esse si presentano come una sorta di sintesi formidabile dei temi variamente trattati nel vangelo giovanneo riguardanti la via, la verità e la vita e che qui convergono tutti nell'Io sono, cioè nell’intimo rapporto di Gesù con il Padre: una verità, questa, che per l'evangelista è essenzialmente rivelazione, cosicché Gesù è per eccellenza il luogo della rivelazione del Padre.
- La conclusione esortativa: Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me è quasi la sollecitazione a passare da una fede fragile ad una solida e decisa, l'unica che consenta di penetrare nel Mistero e farne in qualche modo parte.
L'uso poi dell'anonimo e generico pronome relativo chi, quale soggetto del credere in Gesù, attribuisce alla sentenza un tono di universalità. Un credere fatto seguire dalla particella di moto eis, che designa il credere come un cammino esistenziale orientato verso Gesù, proprio del discepolo il quale ha fatto della sua vita un atto di fede nel suo Maestro.
L'espressione ne farà di più grandi (opere) riflette il tempo della chiesa del I sec. che aveva già assunto una configurazione istituzionalizzata, con una propria identità e autonomia, tanto che già entrava in conflitto con il giudaismo, subendo le prime persecuzioni. Una chiesa, che grazie all'azione incisiva dei predicatori itineranti, di cui un esempio significativo e rilevante si ha in Paolo, stava espandendosi efficacemente in tutto il mondo allora conosciuto con grandi successi.
 
CITAZIONI VARIE CHE ILLUSTRANO IL SENSO DELLA VITA INTERIORE E DEL MISTERO
Agostino di Ippona: Interroga il tuo cuore: se è colmo di carità possiedi lo Spirito di Dio.
Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell'interiorità dell'uomo abita la verità.
Casadei E.: Dio abita il silenzio.
La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso.
J.P. de Caussade: Amare Dio è desiderare sinceramente di amarlo.
T. di Calcutta: Importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore.
Moro T. Voltatevi, uscite da questo mondo a tre dimensioni ed entrate nell'altro mondo, nella quarta dimensione, dove il basso diventa l'alto e l'alto diventa il basso.
La pace è sempre possibile e la nostra preghiera è alla radice della pace. La preghiera fa germogliare la pace.
Maritain J: L’uomo è come un mendicante del cielo.
A. de Saint-Exupery: Non darmi, o Dio, ciò che desidero, ma ciò di cui ho bisogno.
Giovanni della Croce: Fuori da Dio, tutto è stretto.
Sal 76: L’anima mia rifiuta ogni consolazione: mi ricordo di Dio e trovo gioia.
1Cor 6, 17: Chi aderisce a Dio, è unico spirito con Lui.

venerdì 5 maggio 2017

IV DOMENICA di PASQUA


Gv 10, 1-10

In quel tempo, Gesù disse: 1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce.

5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

 

Sal 22

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
      Mi guida per il giusto cammino
      a motivo del suo nome.
      Anche se vado per una valle oscura,
      non temo alcun male, perché tu sei con me.
      Il tuo bastone e il tuo vincastro
      mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
      Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
      tutti i giorni della mia vita,
      abiterò ancora nella casa del Signore
     per lunghi giorni.

 

Commento

 

1) Il Vangelo di Giovanni e la messianicità di Gesù


PREMESSE
- Il Vangelo di Giovanni presenta importanti differenze rispetto agli altri tre, chiamati sinottici per la possibilità di essere disposti su colonne parallele ed essere letti con uno sguardo d'insieme (sinossi).

- Per un approccio corretto alla comprensione del testo del brano odierno, bisogna tener conto dell’intero IV vangelo.

- La composizione del cap. 10 era passata da tante mani prima di giungere a quella finale. Questa, perciò, porta segni evidenti delle versioni precedenti.

- Lo sfondo generale è caratterizzato dalla tensione tra i capi religiosi e i discepoli raccolti nelle comunità in formazione dopo la Risurrezione di Cristo, i quali si proponevano di interpretare la figura di Gesù e di continuare la sua missione. I primi avevano pubblicamente preso posizione, non solo rinnegandolo quale Cristo, ma stabilendo che, chiunque avesse riconosciuto in Lui il Messia, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.

- I leader politico-religiosi conoscevano bene i passi dei profeti - Isaia, Geremia, Ezechiele - nei quali Dio si rivelava come pastore di Israele, ma non accettavano che ad appropriarsi dell’adempimento di tali profezie fosse Gesù, il quale polemizzava contro i poteri costituiti.

- Il titolo di Messia, nella tradizione ebraica legato ad un re o comunque una persona unta da Dio, in Giovanni assume un significato nuovo, che mette in evidenza il legame intimo di Cristo con Dio-Padre.

- Oltre all'incapacità del giudaismo di trascendere la lettera delle Scritture a favore dello Spirito che in essa (lettera) è contenuto, c’erano ancora tanti nodi da sciogliere nell’interpretazione della figura di Gesù. Un senso di incertezza attraversava anche la mentalità dei discepoli…

2) Il brano odierno

- Nel IV vangelo la collocazione del brano risulta immediatamente successiva all’episodio in cui il cieco miracolato era stato scacciato dalla comunità giudaica in malo modo.

Gli scribi e i farisei si vantavano di essere la frangia religiosa più rigorosa (e quindi, a loro parere, maggiormente gradita a Dio), e con tale autorità si presentavano al popolo di Giuda. Intanto  l’Autore del IV vangelo ci mostra un Gesù che scardina completamente proprio questa loro presunta autorità.

- Nei versetti seguenti 11-16, che oggi non leggiamo, avremo l’esplicita affermazione: Io sono il Buon Pastore. L'immaginario profetico di Dio come pastore di Israele viene utilizzato per la grande rivelazione di Gesù Buon Pastore.

- Giovanni, tenendo presente l’IO SONO di YHWH che si legge in Esodo 3,13-14 - Dirai così ai figli d'Israele: IO SONO mi ha mandato da voi, presenta Gesù stesso come colui che si autoproclama il Messia promesso, nella frase del v. 7:  IO SONO la porta dell’ovile.

- A partire del versetto 6 abbiamo un passaggio illuminante. Ad essere incapaci di capire le affermazioni di Gesù sono proprio i pastori, mentre il gregge appare docile nell’ascolto di Gesù e si ‘ribella’, disobbedisce a questi pastori che gestiscono il loro ministero come padroni del popolo: ma le pecore non li hanno ascoltati.

- Infine la frase io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza: Il messaggio di Gesù è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.

3) Cosa rappresenta la porta?

Le comunità di cui parla Giovanni erano formate da diversi gruppi. C’erano in esse giudei di mentalità aperta, con un atteggiamento critico verso il Tempio e la Legge. C’erano anche samaritani e pagani convertiti, ciascuno con la propria origine storica ed i propri costumi culturali, assai diversi da quelli dei giudei.

Eppure le comunità di cui parla Giovanni, capiscono la sequela di Gesù come un vissuto di amore concreto e solidale. Rispettando le reciproche differenze, pian piano sapranno rendersi conto dei problemi di convivenza tra pagani e giudei, che agitavano le comunità dell’epoca. E, sfidate dalla realtà, le comunità volevano approfondire la loro fede in Gesù senza chiudersi al dialogo con altri gruppi.

In definitiva il definirsi porta per Cristo significa essere chiave di accesso tra realtà e mondi diversi. Egli vuole facilitare la comunicazione e la comunione, e non solo con Lui! Il cristiano non può rimanere sempre al sicuro nel recinto, ma deve andare fuori, cercare altre pecore per far loro attraversare quella porta.

Tutto ciò sfida e interroga l’oggi…..   

4) Come interrogare l’oggi del mondo e della nostra coscienza

Dopo la severità del testo giovanneo e il commento esegetico (formato ridotto!), una poesia dei bambini di Teresa di Calcutta per creare un clima meno freddo, più idoneo al sentire comune.

 

POESIA SCRITTA SUL MURO DELLA CASA DEI BAMBINI di CALCUTTA

Trova il tempo di pensare;

trova il tempo di pregare;

trova il tempo di ridere.

È la fonte del potere;

è il più grande potere sulla terra;

è la musica dell’anima.

Trova il tempo per giocare;

trova il tempo per amare ed essere amato;

trova il tempo di dare.

È il segreto dell’eterna giovinezza;

è il privilegio dato da Dio;

la giornata è troppo corta per essere egoisti.

Trova il tempo di leggere;

trova il tempo di essere amico;

trova il tempo di lavorare.

È la fonte della saggezza;

è la strada della felicità;

è il prezzo del successo.

Trova il tempo di fare la carità;

è la chiave del Paradiso.

 

Una risposta adeguata ai tanti miei dubbi me la dà soltanto il salmo di questa domenica. E’ un canto di fiducia, che anima tutta la lirica con il TU SEI CON ME.

E’ necessaria una guida, meglio: un compagno che condivida tutto col suo gregge.

La porta dell’ovile si apre a tutti, e non solo per entrare, ma anche per uscire.

Il significato della porta lo trovo nei commenti degli esegeti, che, però, si esprimono nei modi più disparati e non sempre mi convincono.

Allora interrogo il mio cuore.

Trovo che le persone le quali vogliono il mio bene, lasciano che sia io a scegliere quale esso sia. Ed io, dopo avere guardato dentro di me il Compagno di sempre, trovo che voglio il Bene duraturo.

Questo Compagno è stato sempre Gesù, anche quando si nascondeva dietro il compagno della mia vita e dietro altri buoni/e compagni/e di viaggio.

Lui mi fa guardare spazi aperti, sconfinati, dove le differenze non si annullano e non si confondono. Un’esperienza, una compagnia… possono entrare ed uscire. Ma Lui resta. Ha, ed è, la chiave della porta che mi introduce alla pienezza di Vita.

Grazie, Gesù.