venerdì 19 maggio 2017

VI DOMENICA DI PASQUA


Gv14,15-21

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

18 Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

At 8,5-8.14-17

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Sal 66 (65)

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!
      A te si prostri tutta la terra,
      a te canti inni, canti al tuo nome».
      Venite e vedete le opere di Dio,
      terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
      Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
      e narrerò quanto per me ha fatto.
      Sia benedetto Dio,
      che non ha respinto la mia preghiera,
      non mi ha negato la sua misericordia.

1Pt 3,15-18

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

 

Commento

- Il vangelo di oggi, come quello della scorsa domenica, è tratto dal primo dei tre discorsi di addio pronunciati da Gesù durante l’ultima cena. I discepoli hanno capito che Gesù sta per lasciarli, sono tristi e si chiedono come potranno continuare ad essergli uniti e ad amarlo se egli se ne va. Gesù promette di non lasciarli soli perché il Padre manderà lo Spirito che rimarrà per sempre con loro (v.16).

Lo Spirito è definito un altro Paràclito, perché il primo è lui stesso. Chi vorrà rimanere nel suo amore, lo vivrà in forma nuova, nell’interiorità. In loro vivrà lo Spirito! Il vincolo di unione e di amore tra Gesù e il Padre, si dilaterà e avvolgerà anche loro tramite l’azione invisibile e profonda dello Spirito.

Nel v.17 esiste un gioco verbale tra presente e futuro: Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. E’ chiara l’allusione alle apparizioni pasquali, quando tutti potevano vedere sensibilmente Gesù. Dopo la risurrezione, invece, la visione sarà un dono riservato a chi si inserirà nella dinamica di amore dello Spirito tramite una presenza interiore. Paolo svilupperà questo aspetto dello Spirito con la dottrina dell’inabitazione dello Spirito nell’anima.

Lo Spirito ha due nomi: Parákletos e Spirito della verità. Il mondo sta a significare i non-convertiti, i quali vivono, come dice Paolo in “Efesini”, adempiendo le voglie della carne e dei pensieri. Ad essi manca la capacità della visione interna dello Spirito.

Consolatore non è una buona traduzione dal greco Parákletos, perché è un termine preso dal linguaggio forense e  indica colui che è chiamato accanto, difensore. Più appropriato è l’appellativo Spirito della verità che enuncia un’altra funzione del Paraclito: il suo essere a servizio della verità, impedendo che si introducano errori nella trasmissione del messaggio di Cristo.

Nel v.18 la frase: Non vi lascerò orfani fa trasparire lo spirito filiale che c’è nel rapporto di Gesù col Padre e che rende anche noi figli di Dio.

Nel v.19 Gesù promette ancora, a chi entra nel circuito dell’amore, una qualità di vita nuova: ciò significa che anche nel tempo storico della nostra esistenza avviene il miracolo della partecipazione alla vita divina.

Il v. 20 voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi sviluppa il tema del versetto precedente.

Nel v.21 Gesù conclude ripetendo ciò che aveva enunciato nel v.15: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva… per ricordare, con il possessivo miei, che i comandamenti di Mosè ora vanno re-interpretati alla luce del’unico comandamento dell’amore umile che si fa servizio. E’ questo retaggio che Gesù consegna ai suoi come fondamento della chiesa, definita nel suo mistero più profondo: vedere la vita terrena inserita nella Vita vera quale si è realizzata nel Risorto (il redattore, anche se il discorso è stato ambientato nel periodo pre-pasquale, parlando dell’azione dello Spirito, è proiettato in quello post-pasquale, attraverso la promessa dello Spirito) .

- Anche le altre due letture proposte dalla liturgia insistono sugli stessi concetti espressi nel vangelo. Il racconto degli Atti ricorda che l’ultima tappa dell’opera di evangelizzazione è l’imposizione delle mani per conferire il dono dello Spirito Santo. E Pietro nelle sua prima Lettera si ferma sul modo di comunicare la verità riguardante la presenza dello Spirito nella Chiesa: questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza.

 

Un approfondimento

 

Vorrei proporvi una questione molto seria, anche se dovrò attenermi alla regola di usare concetti il più possibile semplici.

Gli storici cercano di avvicinarsi a Gesù con i loro strumenti critici, senza mai raggiungere tale obiettivo compiutamente. Il Gesù degli storici è sempre parziale. Le ricostruzioni unilaterali sono persino contrastanti fra loro: vedi, ad esempio, come l'interpretazione di Gesù quale profeta escatologico sia in contrasto con quella di un Gesù, sapiente carismatico non escatologico. Bisogna riconoscere, però che gli storici ci aiutano a vederlo inserito nel contesto culturale e religioso giudaico del primo secolo.

Anche la fede si interessa alla storicità di Gesù, perché attraverso di essa ci si avvicina più concretamente all’essere della sua persona e del suo messaggio. Ma deve restare fermo un principio: qualora la ricerca del Gesù storico dovesse scalzare la fede, ciò vorrebbe dire che non è corretta nemmeno storicamente.

Se è vero che non ci si può disinteressare al Gesù storico, rimane il principio che oggetto ultimo della fede è il Cristo crocifisso e risorto, presente attivamente nella comunità mediante il suo Spirito.

Siccome la storia è sempre necessariamente interpretazione, e la storia di Gesù è narrata da testimoni credenti, non si può separare la vera storia di Gesù dal kerigma [il termine significa annuncio ed indica il contenuto di base della fede attraverso la narrazione evangelica e studiando le modalità in cui gli scritti possono riportare alla verità storica].

Il pericolo maggiore dei teologi e degli studiosi è quello di proiettare la loro visione nelle fonti evangeliche.

Siccome il contesto moderno e postmoderno è critico, ove si incrociano filosofie diverse e metodi molteplici di ricerca, il teologo e la teologia debbono avere sempre presente il Gesù testimoniato e quindi interpretato, ma non inventato, dai primi testimoni e da coloro che ne hanno tramandato le tradizioni fino alla redazione evangelica. Il Gesù storico sta al di là della storia e anche della teologia. Questa coscienza del limite della storia e della teologia ci preserva dall'errore di considerare detentori della verità su Gesù soltanto lo storico o il teologo.

 

Personale

Anch’io, stendendo il mio limitato commento, ho le mie tentazioni. E siccome so di essere letta da persone mature, ho il coraggio di confessarvele.

Le grandi enunciazioni circa le verità stabilite nei concili ecclesiali a volte mi riescono più di disturbo che di aiuto nel fare il mio commento.

Vorrei avere la libertà di interrogare il vangelo, il mio cuore, la mia coscienza, le mie esigenze spirituali.

Ecco: amo il Cristo col suo programma di amore per tutti. E quando dico ‘tutti’, non penso solo ai credenti e ai frequentatori della chiesa.

Sono consapevole del fatto che la chiesa risponde ad una necessità storica, soprattutto quella di trasmettere la verità biblica. E sono consapevole che la fede è per me un mezzo, anzi l’unico mezzo, per affidarmi ad un punto saldo nell’esistenza temporale: la certezza che sbaglierei a fidarmi di me e anche dei miei studi; che debbo trascendere i miei gusti, le mie sensazioni, i miei bisogni, le mie paure ecc. Voglio trovare nell’interiorità la Luce della verità che si comunica a me attraverso la PREGHIERA. E la preghiera mi fa attendere il dono della FEDE con pazienza e con l’umiltà che non ho ma che imploro.

La risposta che mi dà la preghiera è sempre questa: Gesù non è venuto soltanto per un gruppo di persone che sono nella Chiesa. Gesù vuol fare conoscere il Padre di tutto il genere umano, distribuito in questo piccolo pianeta, con le varie religioni e credenze (anche le più rozze) (e com’è, forse, in altri pianeti).
Quello di cui parlo non è il mondo, così come è identificato nelle pericope di oggi, e cioè “i non-convertiti”. Come diceva Giovanni XXIII: non è l’umanità  che si deve convertire al cristianesimo, ma è il cristianesimo che si deve convertire all’umanità.

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