venerdì 28 novembre 2014

I DOMENICA DI AVVENTO anno B

I testi

Is 63,16-17.19; 64,2-7
Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.
Sal 79
Tu, pastore d’Israele, ascolta, / seduto sui cherubini, risplendi. / Risveglia la tua potenza / e vieni a salvarci.  // Dio degli eserciti, ritorna! / Guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi quello che la tua destra ha piantato, / il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. // Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, / sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte. // Da te mai più ci allontaneremo, / facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
1Cor 1,3-9
Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo! Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!
Mc13,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!

Premessa

- ln questa domenica ha inizio un nuovo anno liturgico, definito nella liturgia come anno B.
- Il primo periodo di questo anno consiste di quattro domeniche di Avvento: termine che significa ciò che sta per venire e contemporaneamente ciò a cui andiamo incontro. E’ il tempo dell’attesa, nutrita della certezza che l’esperienza terrena ha una meta, la quale sfocerà nella Vita piena. Ecco perché le pagine della liturgia associano letizia e vigilanza, proprio come quando, stando in casa, si pone l'orecchio allo squillo del campanello del portone, sperando che arrivi presto il postino a portare una notizia molto attesa.
- Si tratta di un’attesa intessuta di fede, non di miti, anche quando sono carichi di suggestioni. La fede ha un registro per il quale la mente e il cuore si aprono all’ascolto interiore: attraverso questo Dio fa avvertire il suo intervento nella storia.
- Vale la pena vigilare perché la quotidianità non sia ingombrata di attese futili che distolgono l’attenzione dalla grande Attesa dell’incontro con Colui che dà senso allo scorrere dei giorni e incanala la temporalità verso il NUOVO. L’unica novità, nella ripetitività del quotidiano, è quella che attraversa la temporalità, facendo pregustare la Vita senza fine.

Sguardo d’insieme sui testi liturgici

L’attenzione, che nelle settimane precedenti era centrata sul Giudizio finale, si sposta verso la venuta di Cristo, la quale non è da commemorare o attualizzare o ri-vivere, ma semplicemente da vivere. L’Antica Alleanza era tutta protesa verso la grande Venuta di un Cristo Salvatore. La Nuova ricalca la prima, perché l’attesa continua nella storia personale (oltre che in quella universale). Per questo la liturgia consta di testi di entrambe le epoche.
Isaia riconosce le colpe del suo popolo di fronte al Signore che pure l’aveva colmato di benefici. Bella ed icastica, soprattutto, l’immagine dell'argilla plasmata dalle mani del Padre.
Il salmo 79, scritto quando l’arca non era stata ancora distrutta, divenne inno nazionale per riconoscenza a YHWH, il quale aveva permesso che, tramite il suo intervento, Gerusalemme sarebbe restata indenne nell’assedio del 701. Il salmista si serve dell’immagine della vigna per rievocare il passato e nello stesso tempo auspica che il pastore di Israele ritorni a portare salvezza.
Paolo suggerisce ai cristiani di Corinto di non avere paura; interpreta il periodo d’attesa come un tempo in cui bisogna testimoniare Cristo: Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.
Marco descrive la vigilanza con tre simboli: la partenza del padrone della casa dopo averla lasciata ai servi; l’affidamento di compiti specifici a ciascun servo; l'ordine di vigilare per non perdere la fiducia nel suo ritorno.
- In quest’anno si leggeranno soprattutto passi del vangelo di Marco, scritto con linguaggio asciutto e povero, ma denso di sfumature. E’ bene ricordare che l’evangelista è l’ex ragazzo che aveva seguito Gesù a Gerusalemme e che, dopo la sua morte e risurrezione, in un primo momento aveva seguito Paolo (il quale con piglio piuttosto burbero lo aveva rispedito a casa a motivo della sua eccessiva nostalgia di casa); in seguito lo si ritrova a fianco dell'apostolo Pietro.

Analisi del passo evangelico

33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento.
In questo brano si intersecano due piani: a) il presente e il futuro, b) la rovina storica di Gerusalemme e la venuta finale del Cristo glorioso.
Appaiono in coppia i due verbi: fate attenzione (blepete), e vegliate (gregoreite), ripreso ad ogni versetto. Come tutti i testi di genere apocalittico, anche questo è rivolto ad una comunità, quella di Roma; essa, soffrendo la persecuzione, ha bisogno di ricordarsi che nella prova c’è da tenere viva la speranza.
Il non sapete è richiamo ad apprezzare il dono della libertà nel  non poter controllare tutto; è necessario confidare, avere la certezza che il momento della soluzione dell’enigma arriverà.
34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 
Il fatto che l’uomo del racconto sia partito dopo….. può far supporre che egli sia sia allontanato per farsi i fatti suoi, abbandonando tutto. Ma, siccome egli è andato dopo avere distribuito i compiti ai suoi servi, le sue intenzioni denotano fiducia verso di essi. Il suo gesto serve a stimolare il loro impegno anche senza il il suo controllo.
Il testo parlando di potere e cioè di autorità conferita, accenna in maniera implicita all’epoca successiva alla distruzione di Gerusalemme, quando era necessario avere senso di responsabilità per far crescere la comunità cristiana.
Nella frase ha ordinato al portiere di vegliare si presenta un portinaio quale una figura individuale, ma la raccomandazione che gli viene fatta di vegliare si estenderà, nel versetto seguente, al gruppo dei discepoli e, al versetto finale, a tutti.
36 fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati.
Questa affermazione ha un significativo rimando al racconto della passione dove i discepoli si addormentano.
La venuta avrà luogo all’improvviso, di sorpresa; non lascerà il tempo di cambiare atteggiamento e perciò bisogna trovarsi preparati.
37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!
La disposizione al dono di sé è necessaria sia ai seguaci di Gesù -voi-, sia a tutti.

Riflessioni

- E’ inutile sfidare l'incognita del futuro interrogando maghi, carte, oroscopi; messaggi profetici ecc. Il Futuro a cui l’essere umano aspira nel profondo del suo cuore, non è il semplice prolungarsi del tempo dell’esistenza, ma è l’Eterno, il senza-fine. Cominciamo a viverlo nel tempo, nelle piccole e grandi cose del quotidiano.
- Colpisce che, secondo la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, il momento del suo ritorno sarà nella notte. La notte è simbolo di tempi bui, di tenebre interiori e storiche, personali e comunitarie, civili ed ecclesiali. La venuta del Signore non abolisce le contraddizioni della storia: proprio attraverso di esse si può riconoscere quanto sia necessario riporre ogni speranza in Dio.
- Nel brano esaminato colpisce il verbo greco, "blepein",  guardare con attenzione, mettere a fuoco; il suo contrario è la superficialità, tipica di chi guarda dappertutto senza fermarsi su nulla.
- La vigilanza richiesta induce a sfidare l’altezza della propria umanità e della propria fede. Ciò, però, richiede il passaggio dalla dispersione all’unificazione della persona. Ci vuole una vita per accostarsi a tale unificazione. E’ quel che significa il facci rivivere del salmo, il quale, non parla di un vivere in un’altra vita, ma di un vivere con pienezza la propria esistenza, centrata attorno ad un asse stabile.
- Non sarà la psicologia, né il contare su persone carismatiche, a rendere robusto e stabile l’aggancio alla fede. Questa non dipende da un atto di volontà; è da implorare notte e giorno. Quando Dio pare sordo, interroghiamo piuttosto la nostra pigrizia spirituale. 

venerdì 21 novembre 2014

Solennità di Cristo Re

I testi

Ez 34,11-12.15-17
Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge, quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi, dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri".
Sal.22
Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla; / su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce. / Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, / per amore del suo nome. // Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, / perché tu sei con me. / Il tuo bastone e il tuo vincastro / mi danno sicurezza. // Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici; / cospargi di olio il mio capo. / Il mio calice trabocca. //  Felicità e grazia mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / e abiterò nella casa del Signore / per lunghissimi anni.
1 Cor 15, 20-26.28
Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Mt 25, 31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33 e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34 Allora il Re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40 Il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45 Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.

La festività di Cristo Re

Con questa celebrazione si chiude l’anno liturgico e la prossima domenica inizierà l’Avvento (anticipato di due settimane nel rito ambrosiano).
La celebrazione anticamente conviveva accanto ad altri riti occidentali, dal momento che le maggiori chiese locali esprimevano ciascuna un rito specifico. Con il Concilio di Trento il rito romano venne esteso, tranne qualche eccezione, all'intera chiesa latina.
L’introduzione della festa nel calendario fu determinata da papa Pio XI  con l'enciclica Quas Primas dell'11 dicembre 1925(alcuni danno a tale determinazione un significato storico: affermare la regalità di Cristo nell'età del totalitarismo avrebbe avuto il significato di relativizzare le suggestioni dei regimi che pretendevano dai popoli un'adesione personale assoluta).
Il titolo di Re applicato a  Cristo non ha nessuna delle connotazioni che potrebbero deformare il significato della festa odierna. La liturgia orienta a vedere in Lui il Pantakrator, che porta a pienezza il progetto salvifico di Dio sull’umanità e perciò fa guardare agli ultimi tempi, che si sogliono individuare come la e il fine della storia.

Rapido sguardo d’insieme sui testi

Ezechiele tratteggia le premure del pastore nel riportare le pecore all’ovile, che raduna da tutti i luoghi: l’immagine  è richiamo di Dio  a che tutti partecipino alla comunione con Lui.
Il Salmo inneggia a YHWH che offre sicurezza nel cammino della vita.
Paolo invita la sua comunità a vedere nel Risorto la primizia di coloro che realizzano il disegno divino in modo da raggiungere la meta finale, la quale apre l’ingresso alla vera Vita.
Matteo offre l'immagine del Cristo che è nello stesso tempo Re, Pastore e Giudice del suo gregge. Si ferma a considerare in particolare l’epiteto di giudice, in quanto costituisce l'elemento base della vita cristiana: l'amore al prossimo, riflesso dell’amore di Dio, verso i più deboli.

Analisi di Mt 25, 31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
Questo testo, che si trova unicamente in Matteo, contiene l’ultimo insegnamento di Gesù prima che gli avvenimenti precipitassero con il suo arresto e la condanna a morte.
31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
L’espressione Figlio dell’uomo si trova in alcuni testi biblici, e in particolare in Daniele, in un contesto in cui Dio conferisce ad un personaggio misterioso, individuato come Cristo (Messia), un potere nel giudizio finale.
Con questa auto-designazione Gesù ribadisce di essere il Messia il cui potere consiste nella sua profonda solidarietà con la condizione umana.
I primi cristiani rileggeranno questa definizione pensando alla sua venuta nella gloria, quando egli assumerà anche la funzione escatologica di giudice.
32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre,
Gesù prende come modello un brano conosciuto della tradizione ebraica in cui si diceva che il Signore sarebbe apparso seduto sul suo trono con il rotolo della legge per dimostrare che solo chi l’avrebbe osservato sarebbe entrato nella sua gloria.
Ebbene, questo giudizio non è un giudizio universale per tutti; infatti la locuzione tutti i popoli, dal termine greco éthne, indica le nazioni pagane: quindi non è per il popolo di Israele e non è per la comunità cristiana; è per quelli che non hanno mai conosciuto il vero Dio [gli autentici credenti hanno impresso nel proprio cuore  il criterio per auto-giudicarsi].  
Il metro della  separazione è da leggere in chiave umanitaria: entra nella Vita senza fine chi dimostra attenzione verso i bisogni dell’altro e interviene per aiutarlo.
L'immagine del pastore affonda le sue radici nella matrice nomadica del popolo ebraico. La Bibbia rivela spesso una certa nostalgia per il nomadismo, anche sulla base della vicenda dell'esodo, quando Israele aveva vagato per quarant'anni nelle steppe della penisola sinaitica. Nell'AT il pastore è la guida del gregge, come canta il salmo che si legge nella liturgia odierna.
33 e porrà le pecore verrà nella sua gloria e le capre alla sinistra.
Il posto d’onore più vicino al re era sempre quello di destra, e perciò nel testo è usato l’aggettivo possessivo: verrà nella sua gloria; il lato sinistro, considerato negativo, non ha il possessivo.
34 Allora il Re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi".
La denominazione il Re, è applicata al Figlio dell’uomo. Egli invita coloro i quali stanno alla sua destra, ad andare da Lui ad entrare nella condizione di eredi in quanto realizzano la volontà del Padre, che fin dalla dalla fondazione del mondo aveva preparato per loro un tale destino. Nell’elenco delle opere di misericordia risalta l’assenza di comportamenti inerenti al culto di Dio: più che il comportamento tenuto nei confronti della divinità, conta la benevolenza nei confronti dei più bisognosi. L’ultima azione indicata da Gesù, la visita ai carcerati comprendeva il dare a loro il cibo, perché essi dipendevano per il vitto dai loro familiari o amici.
37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40 Il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
La novità che presenta Matteo nei confronti della tradizione biblica e delle altre religioni (vedi il “Libro dei morti” presso gli Egiziani, dove si trovano elenchi delle opere di misericordia, ma in nessuno di essi la divinità si identifica con la persona bisognosa) è che Gesù ritenga compiuto verso se stesso quel che vien fatto verso i bisognosi. Ma ciò non vuol dire che bisogna vedere Cristo nel povero, poiché il bisognoso va aiutato in quanto tale e non per la presenza del Signore in essi. E’ corretto dire che bisogna accostarsi ai più bisognosi con lo stesso amore nutrito per Dio, così come ha fatto il Cristo.
41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.
Mentre prima Gesù ha detto “venite benedetti dal Padre mio”, qui Matteo usa il termine maledetti senza  riferimento al Padre, per evidenziare che la condanna proviene dalla propria coscienza. La maledizione richiama quella del primo assassino della Bibbia, in Genesi, il fratricida Caino: ora sii maledetto.
Il fuoco eterno, sinonimo della geenna di fuoco, luogo dell’annientamento totale, a differenza del Regno non è stato preparato fin dalla fondazione del mondo.
Per l’ultima volta compare nel vangelo la figura del diavolo e viene annunciata la sua totale e definitiva sconfitta. Insieme a lui vengono completamente annientati anche i suoi angeli, cioè i suoi messaggeri.
44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
La risposta di quelli posti a sinistra è formulata come una domanda. Essi non dicono “quando mai ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare…?”, ma concludono con un generico e non ti abbiamo servito?. Il verbo qui adoperato, diakonéō, è tipico della sequela cristiana, ma i componenti di questo gruppo lo rivolgono al Signore, secondo la mentalità tradizionale per cui il servizio deve essere offerto alla divinità. Essi sono talmente concentrati nelle loro devozioni che sono incapaci di vedere le situazioni di necessità degli uomini.
Stupisce trovare nell’elenco dei salvati i carcerati perché essi a quell’epoca non suscitavano alcun senso di pietà.
45 Allora egli risponderà loro: “in verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.
46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.
Per indicare il supplizio eterno appare il termine kólasin che, derivando dal verbo kolázō, significa l’atto del mutilare col castigo. Matteo si rifà all’immagine contenuta nel Libro di Daniele: “molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna”; ma inverte i termini, mettendo per ultima “la vita eterna” in modo da far finire la pericope al positivo. La sua intenzione è quella di sollecitare tutti, i suoi discepoli compresi, ad essere misericordiosi, per vivere in pienezza il programma del Regno, a partire dall’aldiquà.

Invitando a far proprio il salmo 22 (rileggiamolo!)

Il miglior modo per celebrare questa festività è trasferire l’immagine di Cristo Re a quella più familiare e più toccante di Cristo che rivela il volto di un Dio pastore, che pasce il credente, guidandolo nel cammino della vita e dandogli sicurezza.
Tale immagine è viva nel salmo 22, anche se scritto in epoca pre-cristiana ed usato, probabilmente, nei pellegrinaggi diretti a Sion, dove si celebrava il culto nel tempio.
Sono efficaci i due simboli del pastore e dell’ospite, mentre il cuore della lirica è nel tu sei con me: invocazione che tocca il cuore di chi pone tutta la sua fiducia  in Dio.


E’ riposante anche per noi, immersi nella turbinosa epoca dell’efficienza e della solitudine esistenziale, recuperare l’immagine di un Dio che profuma la testa degli invitati, offre la coppa spumeggiante dell’amicizia, stende la pelle di vacca che serve ai beduini come mensa e  assicura la protezione dai nemici esterni: ci fa vivere l’ecologia del cuore; ci fa sentire avvolti dalla protezione e dalla gioia divina; ci fa esplodere  nella gioia più semplice: ci fa promettere: abiterò nella casa di JHWH per lunghissimi anni, cioè per tutta la vita.

venerdì 14 novembre 2014

Domenica XXXIII T.O. anno A

Pr 31,10-13.19-20.30-31
Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.

Sal 127
Beato chi teme il Signore / e cammina nelle sue vie. /  Della fatica delle tue mani ti nutrirai, / sarai felice e avrai ogni bene. //  La tua sposa come vite feconda / nell’intimità della tua casa; / i tuoi figli come virgulti d’ulivo / intorno alla tua mensa. // Ecco com’è benedetto / l’uomo che teme il Signore. / Ti benedica il Signore da Sion. / Possa tu vedere il bene di Gerusalemme / tutti i giorni della tua vita!

1Ts 5,1-6
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 «Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco ciò che è tuo”. 26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? 27 Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Veloce sguardo d’insieme sui testi

In questa domenica al centro è posto il tema della laboriosità e dell'Attesa impegnata in vista del Futuro eterno: nei ‘Proverbi’ attraverso l’immagine della donna forte, nel brano di Paolo attraverso la raccomandazione ai Tessalonicesi di restare sobri e vigilanti, nel passo di Matteo attraverso la parabola dei talenti.
L’evangelista risponde ad un bisogno della chiesa delle origini: individuare l’essenza del messaggio evangelico per tradurlo concretamente nella vita e condividerlo con gli altri. La sua è una vera propria lezione, resa facile con un racconto. Nel testo appare –ma è una caratteristica presente in tutto il suo vangelo- un Cristo esigente, meno dolce di quello presentato dagli altri evangelisti, soprattutto da Luca.

Analisi del Vangelo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
Matteo è il più assiduo a parlare un Gesù che insegna attraverso parabole.
14 «Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
Quelli che sono chiamati  servi sono in realtà funzionari, dato che il padrone, non dà in custodia i suoi beni, ma glieli consegna: verbo che indica un dare senza l’intenzione di riprendere.
15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Il talento, il cui termine appare in questo passo ben 14 volte, è una misura d’oro che oscillava, secondo i tempi, tra i 26 e i 36 chili d’oro, quindi una somma ingente; equivaleva a circa venti anni di salario di un operaio.
Poiché il Signore di cui si parla conosce bene i suoi funzionari, consegna una somma di denaro a ciascuno secondo la propria attitudine (molte o limitate capacità) perché faccia fruttificare quanto gli dona.
La frase poi partì mette in rilievo il significato del gesto compiuto: perché avvenga la trasformazione del talento in guadagno è necessaria la sua assenza di controllo, in modo da agire in libertà.
16 Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Al subito dei primi due corrisponde l’invece del terzo, che seppellisce il talento perché non lo ritiene suo, ma del suo Signore. Ma perché lo va a seppellire? Perché, secondo il diritto rabbinico, quando si seppelliva in terra un tesoro o del denaro, in caso di furto non si era poi tenuti a risarcirlo. Il funzionario non crede alla generosità del padrone, e forse non crede neanche a se stesso come destinatario del dono.
19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si potrebbe fare la domanda: ma quali conti voleva regolare se aveva semplicemente donato? La risposta dovrebbe essere chiara: si dona a chi si ritiene possa fare buon uso del dono, ed è legittimo lo sdegno del donatore nei riguardi del ricevente pigro.
20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Matteo presenta un paradosso: i cinque e i due talenti vengono ritenuti poco dal Signore, che non solo lascia i funzionari padroni di ciò che ha loro donato, ma anche li invita a prendere parte al suo molto, cioè a tutti i suoi averi.
L’entrare nella gioia del padrone allude alla pienezza di Vita in comunione con Dio; è da notare che il tema della gioia nel godimento di Dio è tipico di Matteo.
24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco ciò che è tuo”.
Ecco la causa della condotta del terzo funzionario: la paura. A motivo di questa (e non per umiltà), egli avverte che quel dono non può essere suo; perciò quando lo restituisce afferma di non averlo considerato suo: ecco ciò che è tuo.
26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? 27 Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
L’agire del giudice, che rappresenta quello di Dio alla resa finale dei conti, non va interpretato letteralmente. Anzitutto bisogna pensare che Matteo vuole far capire alla sua comunità un concetto: colui che riceve passivamente i doni di Dio ha paura di Lui perché non li considera dettati dal suo amore. In seconda istanza evidenzia l’estrema severità, che addirittura appare frutto della sua (di Dio!) malvagità; e qui bisogna fare una interpretazione corretta: le severe parole non escono dalla bocca del Signore-giudice, ma sono proprie di chi vive la religione in maniera costrittiva; è il pavido a proiettare in Dio il giudizio di condanna nei suoi riguardi.

Qualche riflessione

- Questa parabola non plaude all’efficienza (tanto meno a quella economica o finanziaria), o alla meritocrazia, né conferma l’attivismo pastorale di cui sono preda molte comunità cristiane; piuttosto chiede alla comunità cristiana consapevolezza, responsabilità e creatività. Ma per questo bisogna respirare un’atmosfera di amore (in cui il timor di Dio sia il semplice timore di non amare abbastanza).
- La chiave di questa storia sta nel penoso finale che ha avuto colui che ha ricevuto un solo talento. La disgrazia ed il fallimento di quest’individuo sono causati dalla paura. E la paura blocca e paralizza, fa crollare nell’inutilità. Sovvengono le parole più volte ripetute da Papa Francesco: non abbiate paura. Come dice F.Dostoevskij, il Dio della paura non esiste. È un’invenzione umana. Perché la triste e pura verità è che noi uomini abbiamo bisogno della paura. La paura di un Dio che ci toglie da dosso il peso insopportabile della libertà.

- Forse si è più tranquilli e sicuri nel kosmos, nell’ordine, che si suppone imposto dalla violenza di un Dio terribile, al quale restituire il talento sotterrato e quindi reso improduttivo.

venerdì 7 novembre 2014

DOMENICA XXXII T.O. anno A

Dedicazione della Basilica Lateranense

I testi

Ez 47, 1-2.8-9.12
In quei giorni, [un uomo, il cui aspetto era come di bronzo,] mi condusse all'ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell'acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all'esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che l'acqua scaturiva dal lato destro. Mi disse: “Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell'Àraba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina”.

Sal 45
Dio è per noi rifugio e fortezza,
aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.
Perciò non temiamo se trema la terra,
se vacillano i monti nel fondo del mare.

Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio,
la più santa delle dimore dell'Altissimo.
Dio è in mezzo a essa: non potrà vacillare.
Dio la soccorre allo spuntare dell'alba.

Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.
Venite, vedete le opere del Signore,
egli ha fatto cose tremende sulla terra.


1Cor 3,9-11.16-17
Fratelli, voi siete edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se undistrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Gv 2, 13-22
13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato! 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

La Dedicazione della Basilica Lateranense

La celebrazione delle Domeniche del Tempo Ordinario conosce un'altra pausa poiché in questo 9 novembre 2014 si celebra la Dedicazione della Basilica Lateranense (costruita dall'imperatore Costantino sul colle Laterano a Roma).
Inizialmente la celebrazione riguardava solo la città di Roma; in seguito fu estesa a tutte le chiese di rito romano per onorare la chiesa-madre di tutte le chiese dell'Urbe e dell'Orbe
Con tale estensione la Chiesa vuole orientare verso l’unità la miriade di culti locali, i quali calamitano il bisogno di sacro, spesso presente in persone non praticanti in forme devozionali, che non hanno niente a che fare con la vera fede.

Rapido sguardo d’insieme sui testi

Nella prima lettura il profeta  Ezechiele parla di acque che scendono sotto il lato destro del tempio; acque che hanno il potere di risanare addirittura quelle del mare, di ridare vita, di far abbondare il pesce, di far crescere sulla riva alberi i cui frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina.
Il salmo 45 è il primo dei sei inni a Sion contenuti nel Salterio. Evoca gli sconvolgimenti più tremendi per affermare con maggiore forza l’intervento vittorioso di Dio in tutte le vicende umane.
Nella seconda lettura -un brevissimo brano tratto dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi-  troviamo i concetti fondamentali della chiesa come edificio di Dio, costruito con pietre vive che hanno la loro base in Cristo.
- NeI passo del Vangelo Giovanni presenta Gesù quale protagonista di un fatto difficile da interpretare: la rabbia e la cacciata dal tempio dei giudei non rispettosi della sua sacralità. Il suo gesto si propone di ammonire che il tempio è luogo dove si rivela la presenza di Dio, e perciò non deve essere profanato da interessi economici.
Quando i discepoli chiedono a Gesù su quale autorità egli poggi la sua autorità, la sua risposta non ha equivoci: il tempio è simbolo del suo corpo, destinato ad una morte che è inizio di vera Vita.

Analisi del testo evangelico

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
È la prima delle tre Pasque menzionate nel vangelo di Giovanni e definite la Pasqua dei Giudei (espressione mai usata nell’AT, in particolare nell’Esodo, dove si parla di Pasqua del Signore o semplicemente di Pasqua).
L’evangelista identifica la Pasqua nella morte-risurrezione di Gesù.
14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Con poche pennellate è descritto l’infausto uso di fare commercio dentro il tempio, dal momento che le costanti e crescenti entrate assicuravano una enorme ricchezza all’intera città di Gerusalemme e servivano a mantenere la casta sacerdotale e tutti coloro che prestavano servizio al tempio.
E’ da notare che l’evangelista costruisce la frase come se i venditori vendessero tutti gli animali elencati.
15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi,
Giovanni  vede nel gesto di Gesù la realizzazione della profezia di Zaccaria: in quel giorno non ci saranno più mercanti nella casa del Signore degli eserciti.
Sono numerosi i testi dei profeti che denunciavano il culto ipocrita accompagnato all’ingiustizia e all’oppressione dei poveri. Ma mentre essi, denunciandolo, auspicavano una purificazione del tempio, Gesù lo vuole sostituire col culto spirituale. (Gli altri evangelisti scriveranno chiaramente che l’azione di Gesù non è rivolta solo contro i venditori, ma anche contro i compratori).
16 e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!
Stranamente Gesù rivolge il suo rimprovero ai venditori di colombe, gli animali più piccoli tra quelli elencati, usati per i sacrifici dai poveri, forse per evidenziare che Dio si attende proprio da loro una relazione filiale con Dio.
17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Citando questa frase del salmo 68, Gesù dichiara di non essere venuto per restaurare le istituzioni antiche, ma per far risplendere la gloria e l’amore di Dio nell’essere umano.
18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?".
Costante del vangelo è che quanti non credono chiedono continuamente dei segni.
19 Rispose loro Gesù: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.
Gesù risponde annunciando la sua morte, che sarà la massima manifestazione della gloria e dell’amore di Dio, molto più del tempio.
20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?".
I Giudei parlano del tempio di Gerusalemme, ricostruito da Erode il Grande e ancora in corso di costruzione.
21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
È il corpo, l’umanità di Gesù, il tempio che ha in sé la pienezza dello Spirito di Dio. Infatti il segno che Gesù darà come prova della sua autorità sarà proprio la sua morte e risurrezione
22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Sono i fatti, il proprio vissuto, che illuminano la parola di Dio; ma i discepoli cominceranno a capirlo solo dopo la risurrezione del Cristo.

Riflessioni

- Questa celebrazione ha senso se è orientata, più che verso le pietre di una Basilica-simbolo dell’Unità dei credenti, verso l’UNITA’ vissuta, e praticata nel rapporto con gli altri, anche con coloro che non hanno il senso religioso.
- La chiesa-edificio è un punto di riferimento localizzato, in cui non si celebra soltanto un culto. Frequentarla (il termine non può indicare l’almeno una volta all’anno!) significa trovarvi il nutrimento che faccia prendere forma e animare una comunità di credenti, i quali sappiano guardare in se stessi e protendere lo sguardo fuori dalla porta della chiesa… Se questo non avviene, non è solo colpa del pastore, ma anche delle persone-pecore nel più brutto significato del termine.
- La fede non può ridursi a fatto privato, consumato in solitudine; in forme di relativismo religioso fai-da-te; in seno ad élite spesso fanatiche, eccetera. Non è la stessa cosa leggere il Vangelo da soli e ascoltarlo quando è proclamato in una funzione liturgica. Soprattutto bisogna operare il passaggio da una fede fatta di osservanze ad una fede vissuta nella realtà del quotidiano.
[Ma mi chiedo se le persone malate, anziane, sole, non siano condannate a tale solitudine: se la ‘comunione’ portata a casa di tanto in tanto possa far sentire loro la c o m u n i o n e nel vero senso del termine].  
- Una religione è fatta di invisibilità e di visibilità. Resta fermo che la via per entrare nell'invisibile è il visibile.
- Hèlder Camara afferma: Vedendo la bellissima collana, come in un sogno ammirai, soprattutto, il filo che univa le pietre e si immolava anonimo, perché tutte formassero una unità.
- Bernanos ci offre questa immagine: il gregge non sempre ha tutte le pecore sane, però una segue l’altra, una attende l’altra, e tutte camminano verso la direzione  che  il pastore le indica.
- Se crediamo in Cristo, ci accorgiamo di portare nel nostro corpo una morte che è risurrezione. Ma i cristiani non sono dei privilegiati chiamati alla risurrezione. Ci chiediamo come trovare il modo giusto per fare in modo che questa verità splenda per tutti?