venerdì 14 novembre 2014

Domenica XXXIII T.O. anno A

Pr 31,10-13.19-20.30-31
Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.

Sal 127
Beato chi teme il Signore / e cammina nelle sue vie. /  Della fatica delle tue mani ti nutrirai, / sarai felice e avrai ogni bene. //  La tua sposa come vite feconda / nell’intimità della tua casa; / i tuoi figli come virgulti d’ulivo / intorno alla tua mensa. // Ecco com’è benedetto / l’uomo che teme il Signore. / Ti benedica il Signore da Sion. / Possa tu vedere il bene di Gerusalemme / tutti i giorni della tua vita!

1Ts 5,1-6
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 «Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco ciò che è tuo”. 26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? 27 Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Veloce sguardo d’insieme sui testi

In questa domenica al centro è posto il tema della laboriosità e dell'Attesa impegnata in vista del Futuro eterno: nei ‘Proverbi’ attraverso l’immagine della donna forte, nel brano di Paolo attraverso la raccomandazione ai Tessalonicesi di restare sobri e vigilanti, nel passo di Matteo attraverso la parabola dei talenti.
L’evangelista risponde ad un bisogno della chiesa delle origini: individuare l’essenza del messaggio evangelico per tradurlo concretamente nella vita e condividerlo con gli altri. La sua è una vera propria lezione, resa facile con un racconto. Nel testo appare –ma è una caratteristica presente in tutto il suo vangelo- un Cristo esigente, meno dolce di quello presentato dagli altri evangelisti, soprattutto da Luca.

Analisi del Vangelo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
Matteo è il più assiduo a parlare un Gesù che insegna attraverso parabole.
14 «Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
Quelli che sono chiamati  servi sono in realtà funzionari, dato che il padrone, non dà in custodia i suoi beni, ma glieli consegna: verbo che indica un dare senza l’intenzione di riprendere.
15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Il talento, il cui termine appare in questo passo ben 14 volte, è una misura d’oro che oscillava, secondo i tempi, tra i 26 e i 36 chili d’oro, quindi una somma ingente; equivaleva a circa venti anni di salario di un operaio.
Poiché il Signore di cui si parla conosce bene i suoi funzionari, consegna una somma di denaro a ciascuno secondo la propria attitudine (molte o limitate capacità) perché faccia fruttificare quanto gli dona.
La frase poi partì mette in rilievo il significato del gesto compiuto: perché avvenga la trasformazione del talento in guadagno è necessaria la sua assenza di controllo, in modo da agire in libertà.
16 Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Al subito dei primi due corrisponde l’invece del terzo, che seppellisce il talento perché non lo ritiene suo, ma del suo Signore. Ma perché lo va a seppellire? Perché, secondo il diritto rabbinico, quando si seppelliva in terra un tesoro o del denaro, in caso di furto non si era poi tenuti a risarcirlo. Il funzionario non crede alla generosità del padrone, e forse non crede neanche a se stesso come destinatario del dono.
19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si potrebbe fare la domanda: ma quali conti voleva regolare se aveva semplicemente donato? La risposta dovrebbe essere chiara: si dona a chi si ritiene possa fare buon uso del dono, ed è legittimo lo sdegno del donatore nei riguardi del ricevente pigro.
20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Matteo presenta un paradosso: i cinque e i due talenti vengono ritenuti poco dal Signore, che non solo lascia i funzionari padroni di ciò che ha loro donato, ma anche li invita a prendere parte al suo molto, cioè a tutti i suoi averi.
L’entrare nella gioia del padrone allude alla pienezza di Vita in comunione con Dio; è da notare che il tema della gioia nel godimento di Dio è tipico di Matteo.
24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco ciò che è tuo”.
Ecco la causa della condotta del terzo funzionario: la paura. A motivo di questa (e non per umiltà), egli avverte che quel dono non può essere suo; perciò quando lo restituisce afferma di non averlo considerato suo: ecco ciò che è tuo.
26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? 27 Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
L’agire del giudice, che rappresenta quello di Dio alla resa finale dei conti, non va interpretato letteralmente. Anzitutto bisogna pensare che Matteo vuole far capire alla sua comunità un concetto: colui che riceve passivamente i doni di Dio ha paura di Lui perché non li considera dettati dal suo amore. In seconda istanza evidenzia l’estrema severità, che addirittura appare frutto della sua (di Dio!) malvagità; e qui bisogna fare una interpretazione corretta: le severe parole non escono dalla bocca del Signore-giudice, ma sono proprie di chi vive la religione in maniera costrittiva; è il pavido a proiettare in Dio il giudizio di condanna nei suoi riguardi.

Qualche riflessione

- Questa parabola non plaude all’efficienza (tanto meno a quella economica o finanziaria), o alla meritocrazia, né conferma l’attivismo pastorale di cui sono preda molte comunità cristiane; piuttosto chiede alla comunità cristiana consapevolezza, responsabilità e creatività. Ma per questo bisogna respirare un’atmosfera di amore (in cui il timor di Dio sia il semplice timore di non amare abbastanza).
- La chiave di questa storia sta nel penoso finale che ha avuto colui che ha ricevuto un solo talento. La disgrazia ed il fallimento di quest’individuo sono causati dalla paura. E la paura blocca e paralizza, fa crollare nell’inutilità. Sovvengono le parole più volte ripetute da Papa Francesco: non abbiate paura. Come dice F.Dostoevskij, il Dio della paura non esiste. È un’invenzione umana. Perché la triste e pura verità è che noi uomini abbiamo bisogno della paura. La paura di un Dio che ci toglie da dosso il peso insopportabile della libertà.

- Forse si è più tranquilli e sicuri nel kosmos, nell’ordine, che si suppone imposto dalla violenza di un Dio terribile, al quale restituire il talento sotterrato e quindi reso improduttivo.

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