venerdì 29 maggio 2015

La SS. TRINITA' - anno B


I testi

Dt 4,32-34.30-40
Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
Sal 32
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
      Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
      dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
      Perché egli parlò e tutto fu creato,
      comandò e tutto fu compiuto.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
      L’anima nostra attende il Signore:
      egli è nostro aiuto e nostro scudo.
      Su di noi sia il tuo amore, Signore,
      come da te noi speriamo.
Rm8.14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Mt 28,16-20
16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Brevi commenti ai testi
 
Prima lettura - Nella pagina del Deuteronomio che la liturgia propone Mosè invita il popolo a prendere coscienza della straordinaria novità del Dio che lo ha liberato dalla schiavitù e ha fatto con lui un patto di fedeltà. Egli è il Dio unico, nel senso che nessuno degli altri dèi ha elargito tanti favori al suo popolo. Ad Israele, dunque, spetta l'obbedienza alle leggi, che sono le clausole del patto siglato e la condizione per poter vivere bene e a lungo nella terra in cui dovrà rientrare.
Salmo E’ un inno (di cui la liturgia riporta pochi versi) indirizzato al Creatore del cosmo e signore della storia; un inno alla parola divina che crea: Dalla parola del Signore furono fatti i cieli. E’ significativo l’uso del simbolo parola o dell’equivalente soffio della bocca per descrivere la creazione e l’azione storica di Dio [è bene accennare al logos di cui parla il quarto vangelo, senza dimenticare che l’idea di un Dio creatore attraverso la parola era già stata sviluppata nell’antico Oriente. Per la Bibbia, invece, tale simbolo vuole, da un lato esaltare la trascendenza divina, dall’altro escludere ogni dualismo sostanziale tra Dio e la materia]. Il salmista, unito ai giusti, conclude esprimendo la sua professione di fede e di speranza con un’ardente e toccante invocazione: Su di noi sia il tuo amore,  Signore, / come da te noi speriamo.
Seconda lettura In questo squarcio della Lettera ai Romani, Paolo parla della trasformazione avvenuta in coloro che, guidati dallo Spirito di Dio, possono invocare Dio con il nome familiare di Abbà, papà, poiché si riconoscono coeredi di Cristo, e perciò partecipi delle sue sofferenze e della sua gloria, cioè della sua vittoria sulla morte. 
Vangelo – Nel brano di Matteo, l’espansione del movimento cristiano viene fatto risalire allo stesso Gesù come frutto del suo comando e del suo potere trasmesso ai discepoli. [Secondo un’autorevole opinione, non risulta che Gesù abbia dato questo mandato alla sua comunità o abbia fatto una dichiarazione sul mistero della Trinità. Il contenuto di questo mistero, così come è stato definito nei concili del sec. IV (Nicea e Costantinopoli), non c’è nel Nuovo Testamento].
Analisi del Vangelo

16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
I protagonisti di questo racconto sono gli Undici (manca Giuda).
La Galilea dove essi si recano è indicata in quanto luogo teologico, anziché geografico: in essa Gesù aveva iniziato la sua predicazione e da essa vuole che ricominci la missione dei suoi discepoli perché "facciano discepole tutte le genti".
Anche il monte, non specificato, è simbolico: in quanto alto, rappresenta la vicinanza alla divinità.
17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù è presentato come il Signore, Kyrios; il termine non è esplicitamente utilizzato, ma viene suggerito dal fatto che i discepoli si prostrano davanti a lui. Tale gesto è descritto come espressione della fede, che però rimane mescolata al dubbio; la simultaneità di fede e di esitazione è caratteristica tipicamente umana.
Il verbo dubitarono viene adoperato dall’evangelista sia in questo brano sia in quello in cui Pietro tenta di camminare sulle acque. L’accostamento tra i due episodi vuole indicare che tutti i discepoli non hanno ancora la fede sufficiente per seguire Gesù nella pienezza del suo essere.
18 Gesù si avvicinò e disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
La frase posta in bocca a Gesù è una citazione dal profeta Daniele ed è formulata sul modello del decreto col quale il re Ciro aveva promesso ai Giudei di tornare da Babilonia in patria. Ma c’è un cambio sostanziale: mentre in Daniele tutti i popoli, nazioni e lingue lo (il Figlio dell’uomo) servivano, in Matteo Gesù viene, non a dominare le nazioni, bensì a liberarle.
19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
Dicendo fate discepoli, matheteusate, tutti i popoli, Matteo delinea un orizzonte infinito che supera la storia di Israele. C’è da osservare che i discepoli dei rabbini non mettevano al primo posto la relazione personale con il maestro, bensì la dottrina che il maestro insegnava. Non così nel vangelo: il discepolo si lega alla persona del maestro e si impegna a condividere il suo progetto di vita; invitato a ammaestrare, non diventa un maestro, perché non insegna qualcosa di proprio.
Il verbo battezzandoli, baptizontes, specifica, attraverso l’immersione, l’obiettivo: la triplice pienezza della sfera divina [è l’unica volta in cui nel NT si parla di battesimo come immersione].
Dalla formula nel nome, al singolare nonostante che sia riferita ai Tre, risulta il riferimento all’Uni-Trinità Divina. [Gli studiosi notano che essa (la formula) sia un’aggiunta fatta dalla comunità cristiana: prima si faceva solo menzione di Cristo; eppure appartiene ad un’epoca più antica, dal momento che si trova anche nella Didaché].
20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
La frase insegnando (qui abbiamo un altro verbo, didaskontes) a osservare ha un preciso significato: i discepoli sono incaricati di mettere in pratica ciò che insegnano; il loro essere discepoli deve coinvolgerli in maniera esistenziale alla stregua di come fu coinvolto Gesù.
La promessa io sono con voi costituisce un finale a sorpresa: il Signore risorto non è partito, ma è venuto per restare: fin dall’inizio del Vangelo Matteo, nella sua annunciazione aveva usato il nome Emanuele, Dio con noi, cioè salva; e la modalità con cui Dio salva è appunto rappresentata dalla sua presenza e condivisione con l’umanità. La locuzione fino alla fine del mondo indica, più che una scadenza temporale, una totalità, e perciò ha il significato di sempre.
 
Preghiere alla Trinità
- Caterina da Siena (sec. XIV) così prega: Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce in me la sete di cercarti… Ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi viene donata dalla tua potenza, o Padre eterno, e dalla tua sapienza, che viene dal tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo, poi, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
- Elisabetta della Trinità (secolo scorso): O Fuoco che “consumi”, Spirito d’amore, vieni sopra di me affinché si realizzi in me come una incarnazione del Verbo; ch’io Gli sia una umanità aggiunta, nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo Mistero. E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, coprila con la tua ombra e non vedere in lei che il Figlio amato nel quale hai posto tutta la tua compiacenza. O miei Tre, mio tutto, mia Beatitudine, Infinita Solitudine, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda. Seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in Voi, nell’attesa di poter contemplare, nella vostra stessa luce, l’abissale grandezza.
- (poveramente) la mia: Non so implorarti o Dio che ti riveli Relazione, anziché statico Essere. Ti riveli e ti nascondi nelle miserie mie e nei limiti del creato che mi appare caotico perché incapace di relazionarsi. Ti prego senza conoscerti, ma sentendo che senza di Te nulla regge e il male insidia… Eppure sei Tu il saldo Centro di tutto in me, accanto e fuori di me. E allora (unita a chi ha letto i miei aridi commenti) ti invoco con le parole del salmo: Su di noi sia il tuo amore,  Signore, / come da te noi speriamo.

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