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settembre 2013 XXV DOMENICA T. O. anno C
Amos 8,
4-7; Salmo 112 ;1Timoteo 2, 1-8: Luca 16, 1-13
Am 8,4-7
Il Signore mi disse: «Ascoltate
questo, voi che calpestate il
povero e sterminate gli umili del
paese, voi che dite: “Quando sarà
passato il novilunio e si potrà
vendere il grano? E il sabato,
perché si possa smerciare il frumento, diminuendo
l’efa e aumentando il siclo e
usando bilance false, per
comprare con denaro gli indigenti e
il povero per un paio di sandali? Venderemo
anche lo scarto del grano”». Il
Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo,
non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Sal 112
Lodate, servi del Signore, lodate
il nome del Signore. Sia
benedetto il nome del Signore, da
ora e per sempre. Su tutte le
genti eccelso è il Signore, più
alta dei cieli è la sua gloria. Chi
è come il Signore, nostro Dio, che
siede nell’alto e si china a
guardare sui cieli e sulla terra? Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo.
1Tm 2,1-8
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande,
suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per
tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e
tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al
cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano
salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo
anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se
stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi
stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo –dico la verità,
non mentisco–, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli
uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Luca
16, 1-13
In quel tempo, Gesù 1 diceva anche ai discepoli: Un uomo ricco aveva un amministratore, e
questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire
di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più
amministrare”. 3 L’amministratore
disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?
Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dalla
amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5 Chiamò uno
per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?” 6 Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua
ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7 Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose “Cento misure di
grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8 Il padrone lodò quell’amministratore
disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti,
verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con
la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi
accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi
è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è
disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella
ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la
vostra? 13 Nessun servitore può
servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà
all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
IMPOSTAZIONE
ESEGETICA
Per aprire un varco alla comprensione del brano evangelico
di questa domenica bisogna risalire al tempo della sua stesura redazionale, quando
nella comunità lucana serpeggiavano gli opposti atteggiamenti dei rigoristi e
dei lassisti. I primi, fanatici nella pratica legalistica della povertà, si
ritenevano giusti contro i secondi. In entrambi gli atteggiamenti manca la
distinzione tra uso della ricchezza e idolatria per la stessa.
La questione non è di poco conto. L’affronta Luca attraverso
una parabola che riporta solo lui tra gli evangelisti. La differenza tra
attaccamento e distacco nei riguardi della ricchezza, emerge con fatica nel percorso
narrativo, il quale appare piuttosto ambiguo. Eppure dalla lettura complessiva,
nonché confrontata attraverso altre parabole, si può ricavare stimolo per fare
un passo ulteriore verso la compenetrazione del senso delle varie frasi in una
visione d’insieme equilibrata, in modo da e raggiungere il cuore del messaggio
evangelico.
Il primo verso -diceva anche ai discepoli- accosta,
attraverso l’anche, i
discepoli ai farisei. A Luca preme mettere a fuoco il pernio attorno a cui ruota l’insegnamento
di Gesù, sintetizzabile così: senza la relazione con Dio e con gli altri la giustizia risponde a criteri soltanto
umani e, come tale, non e’ vera giustizia; o meglio: LA MISURA DELL’AMORE PER
DIO E’ L’AMORE PER IL PROSSIMO; E VICEVERSA.
Qualche passaggio di Lc 16,1-13
Se al brano che leggiamo
fossero stati aggiunti i seguenti tre versetti (dal15 al 18), giungeremmo
subito a capire il senso complessivo della parabola. Le altre letture potrebbero aiutare a trovarlo.
Amos assicura, alla pari di Luca, che l’autentica carità può, e talora
deve, ispirarsi a criteri di prudenza umana, propedeutica alla Sapienza divina.
Egli ha parole durissime per la malizia di chi sfrutta i poveri, fino a porre
in bocca allo stesso Dio giuramento e vendetta [bello questo aspetto viscerale
che riveste principi alti]: Il
Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: ‘Certo,
non dimenticherò mai tutte le loro opere’. Ma la denunzia divina tocca tasti di grande concretezza: Voi non vivete
altro che per fare i soldi, vergognatevi! Non vedete l’ora che passi il
novilunio (la festa della luna nuova sospendeva le transazioni commerciali),
e via continuando; fa da ritornello la copertura formale di azioni in apparenza
buone, in realtà cariche di malizia e di insidia a danno dei poveri
Paolo, nella prima Lettera a Timoteo, non si discosta da
questa linea. Egli esorta alla preghiera vera: quella del povero, fatta di
domande e di ringraziamenti, e rivolta
all’unico Dio, mediato da Cristo grazie al sacrificio della sua vita
[mediazione innegabile che, di fatto, vediamo ripetersi in tante figure
profetiche della storia].
Luca fa commentare la parabola a Gesù, il quale ne compendia il
senso nel v. 9:
fatevi degli amici perché essi vi accolgano nella casa del
cielo. Essi, non
Dio, hanno le chiavi
della vera vita, già in questa terra, in attesa dell’aldilà.
* Senza
volerlo, l'amministratore fa qualcosa di profetico: opera verso i debitori allo stesso
modo con cui Dio continuamente opera verso l'uomo, donando e perdonando. Il principio-guida è sempre lo
stesso: conta fare ciò che Dio fa, anche quando ci si affida ad amici
conquistati per prudenza, forse anche per furbizia umana: attraverso mezzi
impropri si può aprire una breccia di ingresso alla Comunione universale, che è
divina ed umana nello stesso tempo. Chi legge con superficialità, traendo
spunto dalla furbizia dell’amministratore infedele, potrebbe essere tentato a
relativizzare tutto, a voler stare nello stesso tempo sui due campi, quello
dell’altruismo di Dio e quello dell’egocentrismo umano.
* Nel
linguaggio parlato vi è una certa assonanza tra il termine mammona relativo all’idolo del denaro, e il termine
amen che esprime la sottomissione a tale idolo;
infatti dicendo amen si accetta
passivamente tutto.
* L’ultimo
spezzone del versetto 13 del brano, pur accostato in maniera composita
a frasi che hanno diversa origine ed introdotto quasi a caso da Luca, scioglie
ogni dubbio sul superamento dell’ambiguità: Non potete servire Dio e
la ricchezza. L’espressione
non concede spazi ad alternative. La logica super partes di Dio,
elemento-chiave per la comprensione del brano, è ben lontana dalla pseudo-logica
dei compromessi.
LA PAROLA
nella letteratura e nella vita
Il vescovo Attilio Nicora, in una sua lettera pastorale sulla sobrietà, afferma che che il cristianesimo è vita di comunione, e non di competizione.
Gandhi classifica così i sette peccati sociali:
politica senza principi, ricchezza
senza lavoro, piacere senza coscienza, sapienza senza carattere, commercio
senza moralità, scienza senza umanità, culto senza sacrificio.
Benedetto da
Norcia, nella sua Regola scrive: Nel monastero il vizio della proprietà deve essere assolutamente estirpato
fin dalle radici. Tutto sia in comune a tutti, come dice la Scrittura, e
nessuno dica o consideri sua proprietà qualsiasi cosa. Certamente egli non
sogna di trasformare il mondo in un grande monastero, ma nella regola benedettina
risalta un principio a cui nessuno può sottrarsi: la possessività è il vizio
umano che maggiormente intacca la convivenza umana.
Francesco d' Assisi ha sposato la povertà, in quanto
fonte di liberazione, di pace, di perfetta letizia e di fraternità.
Teresa di
Lisieux considera la
povertà nell'ottica della infanzia
spirituale. E ne spiega il concetto: La
santità non consiste in tale o tal'altra pratica, bensì consiste in una
disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle braccia di Dio,
consci della nostra debolezza e fiduciosi fino all'impudenza nella sua bontà di
Padre… Quello che piace al buon Dio
nella mia anima è il vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la cieca
speranza che ho nella sua misericordia… Non temere: più sarai povero, e più
sarai amato da Gesù!.
Y. Congar, grande teologo domenicano, scriveva così: Essere perduti al ‘mondo del mondo’ e rinascere al ‘mondo di Dio’ vuol
dire impegnarsi in una vita di libertà spirituale e di servizio, della quale è
condizione una certa povertà [poderosa una povertà evangelica che può
lottare le tante forme di povertà e di ingiustizia oggi presenti].
Mathilde Ludendorff, figlia di pastore protestante, vissuta tra l’800 e il ’900, presenta
la parabola odierna come la più
raccapricciante delle parabole [abbiamo anche noi accennato alle possibili
ambiguità interpretative].
Bandler e Grinder che
in un libro di alcune decine di anni
fa, La struttura della magia, presentano
la loro scoperta dei primi modelli comunicativi, ci regalano un interessante
apologo, non inventato, che fa al caso nostro: un uomo si credeva Gesù Cristo. Gli psichiatri avevano
provato tutti i metodi classici, ma nessuno riusciva a fargli cambiare idea.
Bandler va da questo uomo e gli chiede: "Lei è Gesù Cristo?". E
l'altro: "Sì, figlio mio". Al che Bandler: "Torno tra un
istante". L'uomo rimane un tantino confuso; tre o quattro minuti dopo
torna con un metro a nastro e gli chiede di allargare le braccia, ne misura
l'apertura, misura quindi l'altezza dell'uomo, e se ne va. L'uomo che si
proclama Gesù Cristo resta un tantino incerto. Qualche minuto dopo Bandler
ritorna con un bel trave di legno, un altra appuntito da una parte, un martello
e dei chiodi. Bandler ri-chiede: "E' lei Gesù Cristo?". E l'uomo:
"Lei lo ha detto, io lo sono!". Bandler: "Bene, bene!".
Così distende l'uomo sopra il trave, gli apre le braccia (l'uomo è totalmente
confuso ed esterrefatto), prende un chiodo e il martello. In quell'istante
l'uomo gli chiede: "Ma si può sapere cosa sta facendo?". Bandler:
"Lei è Gesù Cristo, sì o no?": L'uomo: "Gliel'ho detto, io lo
sono". Bandler: "Bene, bene, perché io sono il governatore romano
Ponzio Pilato e lei sa bene cosa adesso gli faccio...". Non finisce di
dire queste parole che l'uomo si mette ad urlare: "No, no, lo giuro, non
sono io Gesù Cristo, non sono io...".
* Anch’io ho da raccontare un apologo dal vivo. Un elettricista mi metteva a posto i fili di un
lampadario. Ha profittato dell’occasione per sfogarsi a denunciare con
acrimonia storture che riscontrava ovunque: nella politica attuale, nelle
ideologie (le aveva masticato chissà da dove), nelle religioni, sette, corporazioni,
guerre, crimini. Non riuscivo a controbattere le sue amarezze. Dopo vari
tentativi falliti, l’ho incalzato con brevi domande: ma tu come ti comporti di fronte a tutte le storture? preghi? cosa
insegni ai tuoi bimbi? Salverai il
mondo vedendovi solo il lato negativo, senza scoprire un briciolo di bene? Restai
stupita di queste domande che forse avrei dovuto fare piuttosto a me stessa.
Fatto sta che le domande coglievano nel segno il vuoto interiore, tipico di una
società malata perché senza Dio. L’elettricista, commosso, mi ha chiesto di voler essere mio amico e confidente. Ma io rimango colpita tuttora dalle improvvisazioni che non
erano mie, che provenivano da Qualcun Altro.
* Un’ultima suggestione mi giunge
proprio mentre trascrivo le precedenti. Stamane, attraverso il sito delle
teologhe ho tra le mani il testo dell’intervista di Spataro a papa Francesco.
Leggo fra l’altro il tocco col quale il papa ‘corregge’ il commento fatto da Beda il Venerabile all’episodio
evangelico della vocazione di san Matteo, “Vide Gesù un pubblicano e,
siccome lo guardò con sentimento
di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”: il gerundio latino miserando mi
sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con
un altro gerundio che non esiste: misericordiando.
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