venerdì 29 marzo 2013

Morte-risurrezione di Gesù


Alcune note esegetiche da studiare con amore - Teniamo presente che nel mondo semitico scrittore ed autore sono due realtà distinte:  l’autore, in questo caso Giovanni, risale a radici lontane, mentre il redattore del testo è successivo. E ciò non sottrae nulla alla fede, la quale è fedeltà a ciò che Dio rivela attraverso parole umane.
a) Passione e morte di Gesù in Giovanni - capp.18-19
Cap.18
v.1 “Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cedron, dove c’era un giardino” – Il riferimento è al secondo libro di Samuele, dove si parla della fuga di David verso la tragica meta del deserto di Giuda.
vv.4-5 “Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: Chi cercate?. Gli risposero: Gesù il Nazareno. Disse loro Gesù: Io sono” - La risposta, così tradotta dal greco, aggiunge al livello storico un significato che non c’è nell’originale greco. Traduce il riferimento delle prime comunità cristiane alla prima creazione per esprimere che il concetto di risurrezione di Cristo è inizio di una nuova creazione.
v.11 “Gesù allora disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” – L’episodio, riportato soltanto da Giovanni, si riferisce a Malco, un poliziotto del tempio; il nome significa suo servo, cioè servo del sommo sacerdote. Ma l’evangelista scivola subito verso la teologia contenuta nella parola calice: una teologia in positivo, come nel salmo 23, che fa del del calice un segno supremo di ospitalità.
Cap. 19
v.1-3 “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: Salve, re dei giudei. E gli davano schiaffi” – La scena riproduce la regalità di Gesù travestita di aspetto burlesco. Da essa traluce la rivelazione del Cristo paziente in quanto re liberatore dal male; vuole stimolare uno sguardo verso di lui sofferente: sguardo, non di commiserazione pietistica, bensì di compartecipazione.
vv.30 “E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: tutto è compiuto.  E, chinato il capo, spirò” – A differenza dei sinottici, per Giovanni Gesù pronuncia una sola parola teléstai, nella quale è contenuta la chiave della sua teologia: il segno della gloria di Gesù è nel compimento del disegno del Padre su di lui, e, come tale, consegnato all’umanità.
Il verbo usato per dire “esalò lo spirito, è, in greco, paredoken, cioè donò se stesso, il principio di vita a cui attingeva. Nella sua morte temporale c’è la rigenerazione umana, il passaggio definitivo dalla precarietà temporale a quella trascendente.
b) La risurrezione in Giovanni
Cap 20, 1-9
1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". 3 Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4 Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5 Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7 e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.10 I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.
1) Il momento della risurrezione
1 “Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio” - L’espressione primo giorno richiama il racconto della creazione: “… E fu sera e fu mattina: primo giorno” (Gen 1,5). La settimana ebraica terminava con il Sabato. Questo unico giorno che viene dopo la settimana è l’ottavo, che nel cristianesimo assunse il valore simbolico di Giorno in cui il creatore dona all’essere umano una vita nuova indistruttibile (per questo i battisteri, luoghi dove i catecumeni decidevano pubblicamente di cambiare vita aderendo a Gesù, erano di forma ottagonale). Il buio simboleggia le tenebre, che si oppongono alla luce della verità; infatti la Maria che va al sepolcro ha ancora una concezione della morte come fine di tutto e perciò cerca Gesù in questo posto. Ed è chiara, nel Vangelo, l’allusione al Cantico dei Cantici dove la sposa va in cerca dello sposo: “Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato” (Ct 3,1); “e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro” - La pietra all’ingresso del sepolcro era suggello di morte sicuramente avvenuta. L’articolo determinativo davanti a pietra significa che il lettore a cui si rivolgeva il vangelo, era a conoscenza dell’uso di questa pietra. Giovanni ne aveva parlato a proposito della risurrezione di Lazzaro in riferimento all’ordine di Gesù di togliere la pietra da sopra il sepolcro (11,38-39.41).
2) Le tracce della risurrezione
Nell’ORA SUPREMA della Fine, Gesù inizia il nuovo corso della sua missione sulla terra, cambiando forma, facendosi cercare attraverso tracce della sua scomparsa. La chiesa delle origini aveva capito che non bastava usare la parola risurrezione per illustrare il mistero pasquale. D’altra parte tutti e quattro i vangeli, anziché descriverlo (come nell’unico caso della risurrezione fisica di Lazzaro), guarderanno, più che alla pasqua, all’ascensione come segno di ingresso nella gloria; e solo il Vangelo di Pietro [scritto verso il 150 d.C.], apocrifo, descrive in maniera fantastica la risurrezione, così come verrà poi presentata iconograficamente dall’ XI sec. in poi.
Inseguendo le tracce del risorto, le troviamo in:
v.6 “Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là” – Del Gesù fisico resta il vuoto, l’assenza, che implorano la ricerca appassionata di ciò che si ha la sensazione di aver perduto.
Eppure il tratto del vangelo di pasqua che leggiamo questa domenica termina con frasi illuminanti.
8 “Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” – Quindi la fede ha fondamento sul vedere oltre la fisicità. E Giovanni, alla chiusura de capitolo [di cui la liturgia riporta solo una parte] torna ad insistere sull’espressione “perché crediate”. Stranamente i discepoli non vanno dagli altri ad annunciare quanto hanno sperimentato. Per testimoniare la risurrezione non basta vedere un sepolcro vuoto e sapere che Gesù è vivo; è necessario sperimentarlo presente, come avverrà per Maria di Magdala che incontrerà Gesù e poi, solo lei, ne annuncerà la resurrezione.
9 “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” - L'accoglienza della Scrittura, non è nel suo significato letterale, bensì nella capacità di tradurla nella vita. Non bastano un sepolcro vuoto né le parole che traducono la ripercussione che il fatto ha avuto negli astanti; bisogna scoprire il segreto della risurrezione nella propria vita, come sostanza della fede. Comprendere la Scrittura è entrare nella dinamica del Gesù crocifisso, il cui destino non è di morte ma di VITA.
Preghiera
Grazie, gesù, per aver riaperto la pista per ritrovare il senso della vita nella condivisione con l’esperienza di croce-risurrezione, propria di un’umanità che si dibatte nella ricerca di felicità e non sa scavarla dentro la stessa sofferenza.
Ripercorrendo tale pista con te, troveremo la forza di “tornare a casa” (v.10), cioè alla dimora temporanea, illuminata di vita perenne.
Se vuoi commenta in questo blog o scrivi una mail

5 commenti:

Silvana Cabrini ha detto...

"Per testimoniare la risurrezione non basta vedere un sepolcro vuoto e sapere che Gesù è vivo; è necessario sperimentarlo presente, come avverrà per Maria di Magdala che incontrerà Gesù e poi, solo lei, ne annuncerà la resurrezione"
E' questa la frase del commento che ci fa sperare di sentirci tutti chiamati per nome da Gesù Risorto e chiamati, a nostra volta, ad essere annunciatori della Buona Novella

Joelle ha detto...


" Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva"." Papa Francesco

Le stesse cose che mi si diceva da piccola, una frase assolutamente incomprensibile. Perchè non dire che Dio, o il Grande Mistero è dentro di noi, è l'Amore stesso che tutto fa sussistere? La frase come è espressa ha sempre il sapore della minaccia e se qualcuno non comprende a fondo questo "fantomatico" amore di Dio, pensa di essere condannato oppure deve sforzarsi di amarlo (pur non conoscendolo) .... Sembrano stupidaggini, ma non lo sono.
Ma dire che noi nasciamo, viviamo e ci muoviamo in Dio ed è nell' Amore che troviamo la vera essernza di noi stessi che è divina, allora le cose sarebbero forse più comprensibili...

Armando Zecchin ha detto...

armaze@tin.it
Come impostare questa domanda circa la teologia di Paolo secondo cui Gesu' e' colui che ci ottiene il perdono. Sembra che Dio fosse incapce di perdonare e che abbia ceduto solo dopo la morte in croce del figlio. Quel Dio che poi ci comanda di perdonare. E' accettabile questa teologia?
Io risolvo il problema tentando di dstinguere parola di Dio dalla teologia dello scrittore, ma mi resta in mano un mucchietto di parole.
A me pare siano le obbiezioni a cui la teologia rinuncia a trattare esplicitamente.

Ausilia ha detto...

E' difficile conciliare i ragionamenti umani, non dico con la fede (che va oltre ogni parola), ma con la logica divina, la quale non è una logica: è, bensì ciò che Dio rivela di sé agli umili di cuore: umile è chi si riconosce nei limiti terreni (il termine umile, deriva da humus, terra), e trasforma i dubbi in preghiera incessante.

Anonimo ha detto...

Ma se Dio è amore non può non essere perdono, quindi ogni mediazione è inutile. Il problema è la nostra capacità di amare, quindi la nostra evoluzione spirituale.

Joelle