sabato 28 gennaio 2017


IV DOMENICA T.O. anno A

 

Mt 5,1-12°

1 In quel tempo Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui isuoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

1 Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

2 Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

3 Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

4 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

5 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

6 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

7 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

8 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

[9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.]

 

Commento

 

LINEE INTERPRETATIVE
- Il discorso  della montagna aperto dalle beatitudini non è una carta o un codice, ma l’orientamento indicativo per una comunità che fa di Gesù Cristo il solo interprete della Legge divina, in continuità con la Legge data a Mosè: nulla della Legge antica è contraddetto o svuotato, ma tutto è sottomesso all’interpretazione fornita Lui.
Siccome le molte iperboli fanno apparire tale discorso paradossale, c’è da chiedersi il perché esso sia divenuto la magna charta, la parola normativa per chi ascolta i suoi insegnamenti. E’ quello che cercheremo di dire.
- Matteo ha attinto da varie fonti, consistenti in brevi e isolate frasi e ne ha fatto un discorso unico di più ampio respiro. Gli studiosi della Bibbia lo chiamano discorso della montagna.
A differenza di Luca che inserisce il discorso delle Beatitudini nel contesto di un luogo pianeggiante, l'indicazione geografica della montagna acquista un valore simbolico con precisi riferimenti all’episodio dell'AT, in cui Mosè promulgò il decalogo dal monte Sion. La motivazione di Matteo è chiara. Rivolgendosi ad una comunità di giudei, sapeva che questa riconosceva Gesù quale il Messia atteso, a condizione che fosse nella linea della tradizione, cioè sulla scia di Mosè e del profeta Elia. Perciò egli presenta velatamente la figura di Gesù quale nuovo Mosè nell’atto di promulgare la legge nuova.
In quel tempo Mosè era riconosciuto come l’autore dei primi cinque libri della Bibbia, conosciuti con il termine Pentateuco. Per tale motivo Matteo divide la sua opera esattamente in 5 parti, ognuna delle quali termina con parole simili, spesso identiche a quelle con le quali terminava ciascuno dei libri di Mosè.
- Ma, pur nella fedeltà alla Legge Antica, Gesù, nel vangelo di Matteo, propone qualcosa di nuovo. Mentre l’Antica metteva in  risalto, nella relazione con Dio, ciò che l’essere umano ha il dovere di fare nei confronti di Lui, la Nuova fa guardare a ciò che Dio fa per gli uomini. Detto con altre parole, con Gesù finisce la categoria del merito. L’amore di Dio e i suoi doni non sono da meritare bensì da accogliere.
- Le beatitudini di Matteo sono 8 [le restanti sviluppano lo stesso concetto dell’ottava]. Il numero otto indica la vita indistruttibile (ed ecco perché nell’antichità il battisteri, cioè il luogo dove si amministrava il battesimo, aveva una forma ottagonale). La nuova Vita, chiamata anche eterna, nell’immaginario è collocata nell’aldilà, mentre Gesù si riferisce ad una vita che “non è fatta di tempo”.
- Il migliore Maestro che spiega questo alto concetto è lo stesso Gesù; ma anche i mistici ne parlano molto bene e per esperienza personale. Per essi la Vita eterna è vita che continua oltre la morte; una Vita da intendere, non come prolungamento indefinito dell’esperienza terrena, ma come partecipazione alla vita di Dio, l’Eterno, il Vivente, che si manifesta tale rimanendo fedele alla sua promessa.
- E la migliore testimonianza di questa Vita è avvalorata dalla Risurrezione di Cristo, il quale, non è un morto che si è rianimato, ma è Colui che ci guida perché possiamo compiere il suo stesso percorso.

 

LA PRIMA BEATITUDINE è PARADIGMA DELLE ALTRE

 

- Siccome le altre beatitudini riproducono lo schema della prima, facciamo di questa il paradigma, non solo dal punto di vista strutturale, ma anche da quello normativo e soprattutto da quello spirituale. Cioè, se si comprende in profondità e si traduce in vita il significato della prima, il resto procede di conseguenza.
Notiamo subito che nella prima beatitudine, il verbo è al presente: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Chi accoglie il messaggio di Gesù e lo traduce in pratica sentirà liberare dentro di sé la forza vitale d’amore il quale lo porta già su questa terra in una dimensione che è quella definitiva. (E’ da notare che solo nell’ultima beatitudine il verbo non rimanda al futuro: la consolazione non rimanda all’aldilà, ma è un messaggio immediato, perché è compito di tutta la comunità dei credenti porre fine alle afflizioni dell’oggi, come a tutte le limitazioni di cui parlano le Beatitudini.
- Ogni beatitudine inizia con Beati! (in greco makárioi, in ebraico ’ashré). Per otto volte risuona questo grido di Gesù, forte, ma tutt’altro che triste; anzi esso è il manifesto della gioia umana secondo il vangelo. Leggendolo o ascoltandolo alla luce della propria situazione, si scopre quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello.
- L'originalità di Matteo consiste nell'aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine. Ad esempio, l'affermazione principale beati i poveri in spirito, è illustrata da una frase aggiunta perché di essi è il regno dei cieli. Un'altra differenza rispetto all'AT: le parole di Gesù annunciano una felicità che salva nel presente e senza limitazioni; cioè tutti possono accedere alla felicità, alla sola condizione di essere uniti a
- La prima beatitudine inizia con l’accenno alla posizione fisica di Gesù  e, messosi a sedere. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità. Lo circondano i discepoli e le folle: tale particolare intende mostrare che Gesù si rivolge a tutti, nessuno escluso.
Vanno notati elementi importanti: il discorso di Gesù non presenta atteggiamenti di vita impossibili; non tende a formare un gruppo di persone speciali; non mira a fondare un'etica dall'indirizzo soltanto interiore. Le sue esigenze sono propositive, concrete, impegnative e nello stesso temo radicali.
- Il termine beati (in greco makarioi) è un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell'AT, per esempio, vengono definite persone felici coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Siracide 25,7-10). L'orante dei Salmi definisce felice chi teme, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell'osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1).
L'originalità di Matteo consiste nell'aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l'affermazione principale beati i poveri in spirito è illustrata da una frase aggiunta perché di essi è il regno dei cieli. Per Gesù tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui.
 
INFINE QUALCHE CITAZIONE
 
Teresa d’Avila così commenta:: felici sono coloro che fanno esperienza del "Dio solo basta!", nel senso che sono ricchi di Dio.
Un grande autore spirituale del nostro tempo, Divo Barsotti, ha così descritto il senso vero di povertà: Finché l'uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell'atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l'Eternità.
- Un breve commento sulla terza beatitudine perché la mitezza per molti ha una connotazione negativa, in quanto viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Invece nel salmo 37 i miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace e nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l'AT presenta una ricchezza di significati che non permettono una definizione univoca. Nel NT è ancora Matteo a venirci incontro, nel cap.11, 29: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore. Un secondo è sempre in Matteo, cap.21,5, quando riporta l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, e cita la profezia di Zaccaria: Ecco il tuo servo viene a te mite. Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza.
- Illuminante è la definizione dell'uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: L'uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l'ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l'uomo, e muove l'uomo all'obbedienza e all'amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione.
- A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta, Jacques Dupont: La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell'aspetto dell'umiltà che si manifesta nell'affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. Infondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui.
 

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