venerdì 3 febbraio 2017

V Domenica T.O. anno A


V DOMENICA T.O.anno A
 
Mt5,13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
 
Commento

 

Breve premessa

 

- Vorrei anzitutto ricordare a chi legge quale è la prima condizione per l’ascolto efficace della Parola di Dio: esorcizzare il fondamentalismo che si nasconde nelle parole del testo, quando si prendono nella loro materialità, quasi che il significato fosse un tutt’uno con la parola. Paolo di Tarso lo dice senza attenuanti di sorta: la lettera uccide. Ravasi così si esprime: le letture fondamentaliste, con tutta la buona fede, sono l’uccisione della Bibbia.

Il vero senso di ogni parola biblica è nel non-detto che, dopo lungo percorso, acquista quel dato significato.

Il lettore per raggiungere il corretto significato biblico, non si può affidare all’intuito personale; deve avere un minimo di pre-conoscenza che gli permetta di individuare chi ha detto quelle parole, a chi, dove e quando le ha detto, qual è la situazione in cui esse sono nate. Ad esempio il “Gesù disse” può trarre in inganno. L’evangelista (non solo Matteo) può inserire in un certo contesto le parole che forse Gesù ha pronunziato in altro tempo, luogo, situazione. E possono intervenire tanti elementi storici che l’evangelista utilizza in modo da comunicare un preciso contenuto. Senza dimenticare che l’ultimo passaggio è quello che va dall’autore allo scrittore, col suo stile, le sue conoscenze linguistiche e quant’altro.

Inoltre l’esegesi biblica più difficile non è quella riguardante l’AT, bensì quella riguardante i vangeli, perché essi sono il frutto terminale di un processo che conosce tante tappe, l’una diversissima dall’altra.

- Chi non è avvezzo a scavare dentro il testo al fine di cogliere gli aspetti essenziali delle parole evangeliche, può ricavare da queste poche nozioni un certo scoraggiamento. Però vale la pena studiare un commento adeguato, e poi riascoltare le parole testuali in silenzio, nell’interiorità…. Qui, nello spazio vuoto creato per amore, avviene la comunicazione tra Dio e l’anima.

Un elemento non irrilevante può fare deviare dall’ascolto interiore: il solipsismo. Non basta il raccoglimento e l’incontro col divino. Dio ama tutte le creature e tutto il creato e, se si incontra Lui per davvero, non si può mettere da parte la comunità nella quale si è inseriti. E questa è necessaria; con essa bisogna misurarsi concretamente. L’amore di Dio ha la capacità di coniugare i tutti e il singolo. E, siamone certi, è la cosa più difficile.

   

Matteo e il suo progetto

 
- Matteo usa con appassionata diligenza varie fonti e le organizza, non senza metterci del suo: ha un progetto profondo di chiesa, e si commisura con l’identità dei destinatari, i quali sono: 1) i giudeo-cristiani, cioè i giudei convertiti al cristianesimo, i quali costituivano la maggioranza; 2) gli ebrei semiti che avevano studiato in scuole rabbiniche; 3) i pagani, cioè i provenienti dal mondo ellenico e da quello romano.
Matteo è catechista di discepoli già convertiti, che volevano approfondire la conoscenza del cristianesimo.
- L’evangelista ha ritratto Gesù quando predicava le Beatitudini, ma alla fine sembra aver timore che i discepoli siano rimasti colpiti soltanto dalla sublimità delle parole, dimenticando che ora tocca a loro un rinnovato e concreto impegno a tradurle in pratica.
Il Gesù di Matteo continua ad essere sempre presente nella comunità-chiesa. Senza la sua presenza non c’è chiesa. Ed è attraverso di essa che i credenti dovranno realizzare il regno dei cieli (l’uso dell’espressione regno dei cieli anziché regno di Dio conferma  l’ebraicità, il semitismo di Matteo).
- Con questa consapevolezza dobbiamo leggere il brano di oggi con le sue metafore, del sale, della città che sta sopra un monte, della lampada da mettere sopra il candelabro, della luce, delle opere buone che rendano gloria al Padre.
- Rileggiamo il v.16, il quale, dopo l’uso dell’impersonale in tutte le beatitudini tranne che alla fine, introduce un discorso personalizzato, rivolto ai discepoli: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. (E’ da notare la ripetizione del voi e del vostro).
- La luce è qualcosa di impalpabile, abita nel profondo e traspare all’esterno. Così è l’essere umano abitato dallo spirito delle beatitudini, simile al Cristo che è la luce del mondo come si legge proprio all’inizio del Vangelo di Matteo: Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. La luce dei discepoli che deve illuminare è il riflesso della luce che viene dal Cristo stesso e, sempre come Chiesa, siamo chiamati alla fede e alla sequela del Cristo, lui che è la luce. Se perdiamo questa relazione con Lui, possiamo anche essere una città sul monte, ma siamo una città morta, senza vita.
- Sale e luce sono due elementi fatti anche per esser donati; e sono in pienezza nella misura in cui si consumano. Il sale è qualcosa anche di nascosto che si perde nella massa, eppure dà il suo contributo fondamentale. Così avviene anche per la luce: basta una piccola fiamma per sconfiggere il buio.
- I rabbini d’Israele erano soliti ripetere: La Toràh è come il sale e il mondo non può stare senza sale. Facendo propria questa immagine e applicandola ai discepoli, Gesù sa di usare un’espressione che può suonare provocatoria. Non smentisce la convinzione del suo popolo che ritiene le sacre Scritture sale della terra, ma afferma che anche i suoi discepoli lo sono, se assimilano la Parola e si lasciano guidare dalla sapienza delle beatitudini.                                
- Queste metafore non sono sovrapponibili, e pertanto suggeriscono aspetti diversi: la città sul monte ricorda che la chiesa deve diventare un punto di riferimento per il cammino dell’umanità (e non si tratta di proselitismo); l’immagine della lucerna fa capire che compito della chiesa non è illuminare se stessa, ma ciò che la circonda; la luce è innanzitutto la Parola di Dio e la sua Legge.
- Infine è utile notare che il testo matteano non parla di ‘opere buone’, ma di opere belle, palesando così l’esigenza di trasparenza nell’agire dei discepoli. Essi nella loro vita concreta devono rendere perciò visibile la bellezza della luce divina, e non per attirare l’attenzione su se stessi, bensì per permettere a tutti di intuire qualcosa del volto splendente del Padre.
- Il punto più alto della teologia di Matteo è il suo porre la presenza di Cristo nella chiesa come il culmine del progetto divino, che è lo stesso dell’AT (Matteo lo ripete con insistenza): la presenza di YHWH nel suo popolo, Israele, ora è assicurata dalla presenza di Gesù, il quale comunica il suo rapporto filiale col Padre ai suoi discepoli.

 

Nota personale

 
Mi fa male confrontarmi con persone che sono stanche di sentire le letture della liturgia ascoltando parole non sentite e contagiate da un clima ecclesiale stanco e fiaccato da un ritualismo senz’anima, nonché dalla cultura del sensazionale, del mordi e corri, ecc.; persone che si rifugiano là dove persiste un certo affiatamento tra persone, i sacramenti sono semplice festa ed è cancellato il ritualismo (identificano col rito!), fino a fare a meno di….
Ma voglio trasportare questo senso di disagio alla situazione di un’anziana, anzi di una vecchia quale mi sento orgogliosa di essere, e mi chiedo se e come potrei sentirmi-chiesa se non facessi un coraggioso uso della Parola studiata con amore e custodita nel mio cuore, senza aspettare contatti concreti, tanto meno da parte di una comunità.
Eppure ho la gioia di dire che vivo gioiosamente la Parola di Dio con tutti i senza. Altri vive una solitudine esistenziale più nera della mia.

 

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