venerdì 23 giugno 2017

DOMENICA XII T.O. anno A


DOMENICA XII T.O. anno A
 
Mt 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26 Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27 Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30 Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! 32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
 
Commento
APPROCCIO ALLA PERICOPE
- Siamo di fronte al secondo discorso di Gesù, che viene dopo quello delle Beatitudini ed è uno dei cinque riportati Da Matteo. E’ il cosiddetto discorso missionario, che riflette la situazione della sua comunità, perseguitata anche dal mondo giudaico, nel quale era inserita.
Pur nel momento delle persecuzioni, appaiono rappresentazioni dolcissime: i passeri che non sono dimenticati, in quanto non si trovano inutilmente nel concerto del creato; i capelli sono numerati dal Padre che è nei cieli, per indicare che tutta la persona umana è sotto il Suo sguardo di amore.  
- Nell’annunciare il vangelo alle genti, i discepoli di Gesù incontrano diffidenza, chiusura, ostilità e rifiuto. E, in tale situazione, la tentazione - pare voglia dire Matteo - è quella di mettere a tacere la speranza, di restare silenti e nascondere la propria identità, magari fino a fuggire.
- Il testo che leggiamo è preoccupante sul tema della paura. Questa è citata quattro volte in soli sette versetti. Gesù sta dicendo in forma sottintesa che il Regno di Dio non si annuncia impunemente.
- Una prima riflessione sul testo induce a considerazioni di ordine morale. Per esempio, può capitare che si diffonda, anziché la Parola di Dio, o assieme ad essa, una religiosità vaga, una pietà fatta di devozioni, lo spirito di sottomissione anziché la libertà spirituale, ecc.…
Nelle parole messe in bocca a Gesù c’è un avvertimento principale: il tempo della missione è un tempo di apocalisse, non nel senso catastrofico solitamente attribuito a questo termine, ma nel senso etimologico di ri-velazione, di alzata del velo. I discepoli debbono essere consapevoli che l’annuncio del Vangelo presto richiederà uno spirito forte nel proclamare in termini chiari quanto Gesù aveva detto nell’intimità tra i suoi. Invece bisognerà gridare sui tetti ciò che era stato detto all’orecchio: Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
Per realizzare questo imperativo non basta il coraggio che potremmo definire di tipo psicologico. C’è da tener conto del fatto che Gesù, quando era in vita, comunicava il senso della novità evangelica in forma semplice, addirittura elementare, e nello stesso tempo loro erano sostenuti dall’entusiasmo per il loro Maestro. Come potranno ora predicare il vangelo ad ebrei e a pagani, a gente di ogni tipo, per di più fuori della Palestina, in un contesto sociale a loro ignoto?
- Capire la posizione di disagio da affrontare da parte dei discepoli fa pensare pensare all’oggi, quando il mondo è più pagano di allora, e noi cristiani non abbiamo acquisito la convinzione che il vangelo va approfondito al di là delle suggestioni immediate: dietro la struttura letteraria c’è una storia da capire; c’è il percorso fatto da Gesù e la volontà di ripercorrerlo da parte dei discepoli; c’è soprattutto da inquadrarlo sempre nel significato salvifico della Sua persona e della Sua missione.
 
LE PERSECUZIONI
Dopo la persecuzione di Nerone e la tolleranza dei primi Flavi, le misure fiscali di Domiziano contro i Giudei avevano avuto l’effetto di isolare i Cristiani e di privarli della copertura del giudaismo. Cioè attraverso l’ebraismo dal quale proveniva Gesù, i cristiani furono tollerati, e in seguito, quando il cristianesimo cominciò a farsi strada da solo, fu perseguitato.
Le persecuzioni dei cristiani nell'Impero romano dapprincipio consistettero in fenomeni di aggressiva intolleranza popolare. Quando il cristianesimo cominciò ad attecchire e ad essere praticato, fu temuto come un crimine contro lo Stato, con la conseguente condanna. Molti proclamarono comunque la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni ed anche la morte: i martiri furono diverse migliaia. Ma le comunità cristiane continuarono a crescere, trovando nuovo vigore nel culto dei martiri.
- Alla fine del I secolo, lo storico Plinio il Giovane mostra di sapere che la morte è la pena riservata alla semplice professione di Cristianesimo, e pertanto si limita a domandare all’accusato se fosse cristiano, e, in caso di risposta affermativa, era prevista la morte.
- L’imperatore Traiano agì in maniera mitigata. Egli afferma che i cristiani devono essere puniti, ma coloro che negano di essere cristiani e lo dimostrano supplicando i nostri dei, anche se sospetti per il passato, devono ottenere il perdono per il loro pentimento.
Importante reperto storico è la risposta dell'Imperatore Traiano a Plinio il Giovane (lettera 97 del Libro X dell'Epistularum): Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi.
L’imperatore non vuole condannare, ma sente di non potere impedire le accuse. La sua è una sorta di compromesso tra due tendenze opposte, tolleranza e punizione.
- L’atteggiamento imperiale verso il Cristianesimo cambiò alquanto sotto Antonino Pio. E cambiò ancora con Marco Aurelio, e questa volta, entro certi limiti, anche sul piano del diritto: il Cristianesimo restava punibile con la morte, in quanto religio illicita, ma anche gli accusatori dei Cristiani dovevano essere condannati se intemperanti nelle accuse.
La tolleranza religiosa si stabilisce di fatto sotto i Severi, grazie anche al diffondersi del culto solare e del sincretismo.
Edward Gibbon, storico inglese del settecento, individua con acutezza i motivi in base ai quali la nascente chiesa cristiana avrebbe dovuto suscitare, nell'opinione pubblica e nelle istituzioni civili e politiche, sentimenti, se non proprio di ammirazione, almeno di tolleranza, anziché atteggiamenti persecutori. Tali atteggiamenti furono in parte dovuti ad una sorta di confusione che inizialmente regnava tra ebrei e cristiani. La differenza sostanziale tra essi, che consentiva ai primi di professare liberamente la propria fede, mentre trattava con severità, odio e disprezzo i secondi, era dovuta al fatto che gli ebrei erano considerati nazione, e i cristiani una setta.
 
RIPRENDIAMO IL TESTO DELLA PERICOPE
Matteo insiste sul coraggio della verità. Egli afferma: non dobbiamo aver paura di coloro che uccidono un corpo, destinato comunque a morire, ma di coloro che uccidono la speranza, la gioia, la vita, la libertà, in sintesi l'immagine di Dio in noi.
Non siamo soli in questa lotta. La colletta di introduzione alla messa recita così: O Dio, che affidi alla nostra debolezza l'annunzio profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della tua venuta.
Nel mondo moderno la fede è stata a lungo nascosta nei tabernacoli. Mancava il coraggio di tradurla nella vita. Non è forse questo il dramma della nostra fede? Dio è stato cacciato dalla nostra economia, dalle nostre scelte, dalle nostre famiglie, dalla nostra cultura, quasi fosse una rinuncia alla piena umanità. Gridiamolo sul tetto questo Vangelo, facciamocene carico, entriamo nella compagnia di chi prende sul serio l'ansia di pienezza che teniamo nascosta nel cuore.
C’è da superare il pericolo del soggettivismo, contagiati come siamo da una società individualista. La coscienza morale non viene più considerata come un atto dell'intelligenza della persona, che sappia applicare la conoscenza universale del bene ad una determinata situazione, ed esprimere così un giudizio su ciò che si deve fare qui ed ora. La coscienza, vista individualmente, appare come privilegio di fissare, autonomamente, i criteri del bene e del male, e di agire conseguentemente a questo giudizio di valore.
La frase che esprime con durezza il bisogno di superare il soggettivismo è nella frase: abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Certamente la frase va capita in profondità. Non si decreta l’inferno eterno per chi nella vita pensa solo a se stesso. E’ espresso un concetto: la persona che muore abbracciata al suo nulla, non si sostiene da se stessa; e la Geènna è immagine della voragine in cui sprofonda chi si è fatto preda del suo io, quando è staccato da Dio.
Ma, creando l’essere umano a sua immagine e somiglianza, Dio ha delegato al singolo il potere di far perire nella Geènna il suo ormai inutile io senza Dio.
 
RIFLESSIONE
Non trovo migliore riflessione di quella di C. de Foucauld. Egli afferma: La paura è mancanza di fede. Tutto ciò che capita è per il bene di coloro che amano Dio. Ma dirò molto di più: non solo coloro che amano Dio, ma tutti gli uomini hanno in ogni momento della loro vita la grazia necessaria, sufficiente, per salvarsi, per fare il bene e, di conseguenza, per far tornare a vantaggio proprio e di coloro che amano tutti gli avvenimenti della propria esistenza. Tutto ciò che loro capita senza eccezione, diverrà il loro vero bene.
Mi piace il tornare dell’autore allo stesso concetto, dilatando la visione, pian piano, ma in un crescendo continuo: da se stesso a tutti gli altri.
Da parte mia [dico fino in fondo ciò che penso], non penso mai a cosa mi capiterà nell’aldilà. Mi basta impegnarmi nel qua, cercando di non restare incagliata, sia nelle presunte certezze, sia nelle incertezze. So che a sostenermi è l’Altro. La certezza della Verità non può essere affidata a me. A darmela è Lui, lo grande Sconosciuto che si nasconde dietro le persone e dietro le situazioni, e mi fa capire che Lui c’è sempre.

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