sabato 24 marzo 2018

V DOMENICA DI QUARESIMA


Gv12,20-33

20. Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Gesù. 22. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23. Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28. Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora! 29. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. 30. Disse Gesù: Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. 33. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

 

LETTURE

Ger 31, 31-34

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

Sal 50

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; / nella tua grande misericordia / cancella la mia iniquità. / Lavami tutto dalla mia colpa, / dal mio peccato rendimi puro./ Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo. / Non scacciarmi dalla tua presenza /me non privarmi del tuo santo spirito. / Rendimi la gioia della tua salvezza, / sostienimi con uno spirito generoso. / Insegnerò ai ribelli le tue vie / e i peccatori a te ritorneranno.

Eb 5,7-9

Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

C o m m e n t i

 

1) LE LETTURE E IL SALMO

C’è da premettere che le letture liturgiche, in cui su parla delle due alleanze fatte da Dio con Israele, sono arcaiche e, nello stesso tempo, ricche di insegnamento.

L’alleanza è un patto che si conclude tra due popoli, i quali decidono, non solo di non aggredirsi vicendevolmente, ma di entrare in una profonda ed intensa relazione. Il Signore ha stretto la prima con il ‘suo’ popolo, attraverso la mediazione di Mosè: dando una legge, i dieci comandamenti; e il popolo ha promesso di onorarlo e di rispettare il prossimo.

a) Nella prima lettura è riportato uno dei passaggi più consolanti dell'Antico Testamento. Dio, attraverso il profeta Geremia, promette un'alleanza nuova, dal momento che la prima (conclusa con il suo popolo sul monte Sinai, in seguito all’uscita dall'Egitto) era stata elusa.

Purtroppo il popolo non ha capito la logica dell’osservanza; e Dio, anziché punirlo, gli imprime la legge nel cuore: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore.

E non manca di aggiungere: io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.

b) Nella seconda Lettura – La quinta Lettera agli Ebrei – è da scartare l’interpretazione [suggerita implicitamente dall’abbinamento con la prima lettura] secondo cui Gesù sarebbe morto in sostituzione dei peccatori, per offrire a Dio una degna ammenda, in seguito alla quale ottenere il perdono. Invece una intelligente interpretazione sostiene la tesi che Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono (da eulábeia: sottomissione) a Lui, venne esaudito. La sottomissione, non è la resa a un destino implacabile, bensì l’adesione ai sentimenti del Padre; sentimenti di amore per il mondo, fino a donargli il suo Figlio Unigenito (cf. Gv3,16).

c) Il salmo 50, penitenziale (il Miserere), è uno dei più celebri e dei più studiati. Ha costituito l’ossatura delle Confessioni di Agostino; è stato commentato da Lutero in pagine altissime; era il canto di Giovanna d’Arco; è stato meditato da moltissimi Padri della Chiesa, musicato da Bach, ecc.

E’ nato dal pentimento di Davide (VI sec.a.C), adultero ed omicida… Traccia i confini oscuri del peccato e, quando il peccatore lo riconosce, Dio, non solo guarisce, ma ricrea l’essere umano. La richiesta Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo, apre la regione luminosa delle grazia che concede agli oranti di divenire elargitori di salvezza agli altri: Insegnerò ai ribelli le tue vie / e i peccatori a te ritorneranno.

 

2) Commento al VANGELO

- Uno sguardo d’insieme al testo perché il racconto conservi la sua intensità

Nell’ora che precede la sua cattura, Gesù (che i Sinottici collocano al Getsemani), è descritto da Giovanni in preda al turbamento e all’angoscia. E, quasi si aprisse una feritoia sui suoi sentimenti, confessa:

27. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?.

Sì, di fronte alla sua morte, Gesù è turbato, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro. Però questa angoscia, umanissima, non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù prega e vince radicalmente la tentazione dello scoraggiamento con l’adesione alla volontà del Padre: Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!

In modo diverso, ma in profondità concorde con essa, tutti e quattro gli evangelisti mettono in bocca a Gesù questa testimonianza: Egli non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma è sempre rimasto fedele alla sua missione di compiere la volontà del Padre.

Ecco perché prega così: 28. Padre, glorifica il tuo Nome. Cioè:  Padre, mostra che tu e io, insieme, realizziamo in me la stessa volontà.

Il termine gloria, in ebraico Kabod, significa peso, valore specifico. Per l'evangelista Giovanni il verbo glorificare è riferito al mistero dell'amore obbediente di Cristo al Padre e dello stesso amore fraterno per tutti.

L’anelito a non fermarsi dinanzi alla croce per glorificare il Padre costituisce la misura del compito spettante a chi si pone alla sequela di Cristo. Se gli occhi di Gesù sono alzati al Cielo nell'atteggiamento di chi implora il Padre, di fatto lo sguardo del suo cuore è posato su coloro che il Padre gli ha affidato. Come dice Paolo nella Lettera agli Ebrei, Gesù divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parlare di gloria oggi significa parlare di trionfo, di vittoria riportata con tutti gli onori meritati. Tanti passano la vita cercando di afferrare il momento bello di un successo, di una comparsa alla TV e di quant’altro. Cercano tutto ciò che è esteriore: vestiti di marca, ‘rifarsi belli’, conquistare un posto di potere… Al contrario la liturgia odierna ci invita a spingere in Alto lo sguardo e ad aprire il cuore, in modo da dire con Paolo: Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20). Don Giussani affermava: L’aspirazione dell’amicizia è l’unione, è quella di immedesimarsi, impastarsi, diventare la stessa persona, avere la stessa fisionomia dell’Amico … Ma Gesù è in croce… e la gioia più grande della nostra vita è quella che ad ogni piccola o grande sofferenza poter scoprire: ecco, ora sono più simile a Cristo, più impastato con Lui.

Ed ecco il sigillo divino trasformato in parole: L’ho glorificato e Lo glorificherò ancora!

Questa è la buona notizia della pagina del vangelo odierno; buona notizia soprattutto per quei discepoli e quelle discepole che conoscono la dinamica del cadere a terra, del marcire nella sofferenza e nella solitudine. Quando, in alcune ore della vita, sembra che la sequela di Gesù si riduca solo a sperimentare la sua passione e il rinnegamento da parte degli altri, allora più che mai occorre rinnovare il respiro della fede, in modo da poter dire: Gesù ed io viviamo assieme, abbiamo gli stessi obiettivi.

Amare è una cosa seria! Se uno vive la vita solo per sé, si arrotola sul proprio vuoto; se la dona, fidandosi di Cristo che attraversa la via della croce, un bel giorno essa rifiorirà.

Pensiamo a Madre Teresa: non era né bella né ricca…; eppure, quando la si vedeva, si fermavano dinanzi a lei persino i capi di Stato. Perché? Perché si sprigionava perfino dalla pelle l’irradiazione del suo amore di Dio e del prossimo.

 

3) SVILUPPIAMO ALCUNI COMMENTI di studiosi ed amanti del vangelo

Don Seregni: Dopo aver letto con attenzione il testo, ho cercato di spiegare ai miei ragazzi che il verbo utilizzato da Giovanni per tradurre la richiesta dei greci a Filippo non indica un semplice vedere, ma un andare al di là delle apparenze, un vedere per conoscere e per capire. Infatti vedere è un verbo che implica un maggiore coinvolgimento del soggetto rispetto al guardare. Posso guardare e non vedere nulla di particolare.

Una ragazza del gruppo ha commentato: Che bulli ‘sti’ greci, avevano capito tutto!.
Proprio tutto non sono così sicuro, ma certamente avevano nel cuore un desiderio grande.

Non solo bisogna desiderare di vedere Gesù. Questo verbo, in greco idéin, lascia capire che bisogna essere pronti ad accogliere le modalità sorprendenti e inattese con le quali il Rabbì - ieri come oggi - si fa presente nella storia.

Forse i greci si aspettavano una rivelazione trionfale, invece Gesù si presenta come il seme che sprofonda nell'oscurità della terra per marcire e portare frutto. La potenza di vita nascosta nel seme è sottratta alla vista, così come la fecondità della Croce è scambiata per sterilità e follia. Don Ronchi: Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un gu­scio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un pic­colo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma ma rinasce in for­ma di germe. Seme e germe non sono due cose di­verse, sono la stessa cosa ­ma tutto trasformato in più vita: la gemma si muta in fio­re, il fiore in frutto, il frutto in seme. Come il seme assorbe acqua e nutrimento nell'oscurità della terra e si prepara ad esplodere di vita, così ciascuno di noi è chiamato in questo cammino quaresimale a lasciarsi inzuppare dalla Parola per essere pronto a esplodere di vita nella celebrazione della Pasqua.

La frase evangelica - se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto - è difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione dolori­stica e infelice della vita cristiana.

Se il verbo morire che balza subito in evi­denza per la sua presa emo­tiva ci pone davanti al binomio morire-non morire, il verbo che regge l'intera costruzione è produrre. Dunque l'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il fare molto frutto buono.

Nel ciclo vitale come in quello spirituale, la Liturgia dei defunti recita così: la vita non è tolta ma trasformata; non c’è perdita ma espansione.

 La seconda icona è la croce, l'immagine più pura e più al­ta che Dio ha dato di se stes­so. Afferma Karl Rahner: Per sapere chi sia Dio de­bbo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce.

E Dietrich Bonhoeffer: Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita indistrutti­bile, e ci trascina fuori, in alto, con séLa Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrap­passimo ad essaAttratto da qualcosa che non capisco ma che mi se­duce, mi aggrappo alla sua Croce, cammino dietro a Cri­sto, morente in eterno, in e­terno risorgente.
Osserva Bruno Maggioni: Come potrebbe il Crocefisso attrarre, se non fosse in alto e ben visibile?
Attrarre, dal verbo greco elko, significa attrarre come una calamita, affascinando. La croce attrae mostrandosi. E questo è un metodo: ciò che attira affascinando è solitamente la bellezza o l'amore o lo splendore di una grande verità o una novità attesa e che sorprende. Il Crocefisso innalzato è la rivelazione delle insospettate profondità, della bellezza e della novità del volto di Dio attraverso la parabola di Cristo.

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