sabato 24 marzo 2018

IV DOMENICA DI QUARESIMA


1. LE LETTURE ED IL SALMO

2 Cr 36, 14-16. 19-23

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell'anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: "Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!"».

Sal.136

Lungo i fiumi di Babilonia, / là sedevamo e piangevamo / ricordandoci di Sion. / Ai Sali  di quella terra / appendemmo le nostre cetre. / Perché là ci chiedevano parole di canto / coloro che ci avevano deportato / allegre canzoni, i nostri oppressori: / «Cantateci canti di Sion!». / Come cantare i canti del Signore / in terra straniera? / Se mi dimentico di te, Gerusalemme, / si dimentichi di me la mia destra. / Mi si attacchi la lingua al palato / se lascio cadere il tuo ricordo, /se non innalzo Gerusalemme.

Seconda Lettura

Ef 2, 4-10

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

2. IL VANGELO

Gv3,14-21

14. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15. perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio

3. brevi cOMMENTI alle Letture e al salmo

a) In 2 Cr 36, 14-16. 19-23, l'autore sacro del secondo libro delle Cronache collega la caduta di Gerusalemme e il susseguente periodo di schiavitù in Babilonia all'infedeltà del popolo ai comandi divini. Con il tipico linguaggio veterotestamentario, sottolinea lo stretto rapporto tra l'affievolirsi del senso morale dell'intero popolo e la conseguente degenerazione della convivenza civile.

b) Il Salmo è pervaso di malinconia; ma Sion resta fonte di vita e di gioia. Bene esprime Blaise Pascal quest’unico punto fermo del popolo di Israele: i fiumi di Babilonia scorrono, precipitano e travolgono. O santa Sion, dove tutto è stabile e dove nulla cade!

c) Paolo ricorda agli Efesini che la situazione umana dei pagani prima che si convertissero a Cristo, era di peccato, e quindi di rifiuto a procedere  verso la vera Vita. Bisogna essere vigili perché tale situazione si ripropone in ogni epoca della storia.

L’apostolo perciò ammonisce: l’accettazione della salvezza offerta da Dio in Gesù è possibile mediante la fede; e questa presuppone la corrispon­denza alla grazia, la quale non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.

4. commento al Vangelo

Siamo oltre la metà del pellegrinaggio quaresimale e la liturgia della Chiesa, interrompendo per un momento l'austerità di questo tempo, invita a rallegrarsi. Da qui l'espressione ‘domenica Laetare’, propria della IV domenica di Quaresima nel calendario liturgico della Chiesa cattolica e di molte altre chiese di tradizione latina, come la Chiesa anglicana e altre chiese minori. E per sottolineare lo stacco di letizia durante la quaresima, la liturgia attenua persino il colore dei paramenti liturgici e dal viola passa al rosaceo.

L’esortazione a rallegrarsi sembrerebbe non aver più senso da quando la Quaresima non è avvertita nella sua severità e il digiuno è quasi totalmente disatteso. In effetti i quaranta giorni scorrono per lo più come tutti gli altri. L'invito liturgico, che in passato comportava la sospensione dell'austerità, non voleva comunque spingere verso un senso di spensieratezza o di superficiale e incontrollato senso della vita. Al contrario, la liturgia è consapevole del bisogno umano di  quella letizia vera, che faccia ritrovare una dimensione spirituale, attraverso la quale dare senso alla vita.

Nel quarto vangelo, la domenica scorsa è stato posto al centro l’annuncio di Gesù quale ‘luogo’ della comunione con Dio.

In questa IV domenica di quaresima viene riproposto lo stesso tema. Siamo, però, di fronte ad un testo per molti aspetti difficile: Giovanni ha una visione che va colta al di là di quello che scrive: una visione profonda, alla quale può pervenire solo chi, sulle orme di Gesù nella sua vicenda terrena, coltiva la fede in Dio.

- Giovanni è stato testimone della passione e morte di Gesù sul Golgota, il venerdì, vigilia di Pasqua, 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. Ha visto la sua sofferenza, il disprezzo subìto da parte dei carnefici e soprattutto il supplizio vergognoso e terribile, come lo definisce Cicerone, della croce. Perciò il suo modo di leggere gli eventi della passione e morte di Gesù, nonché della resurrezione, si differenzia alquanto da quello dei sinottici. Egli attesta la necessità della croce con un linguaggio ‘altro’: ciò che nei sinottici è infamia, tortura, supplizio in croce, per Giovanni diventa innalzamento e gloria.

14. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.

L’evangelista fa dire allo stesso Gesù queste parole che commentiamo:

Gesù, appeso al legno, è stato innalzato da terra, analogamente al serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto quale antidoto contro i pericoli nell’attraversamento del Sinai (gli israeliti aggirarono il paese di Edom per raggiungere il Mar Rosso). Il bastone di Aronne, insieme alla verga di Mosè misero in atto gli straordinari poteri contro le Piaghe d'Egitto. Ora Gesù si farà crocifiggere e chiunque innalzerà il suo sguardo verso di lui, troverà la salvezza.

- La definizione Figlio dell’uomo, che rispecchia un dato storico, si riferisce al Servo di JHWH sofferente (figura letteraria descritta da Isaia, nella sezione identificata come deutero Isaia), ed è la preferita da Gesù.

Dietro la versione greca – la lingua utilizzata dagli evangelisti – c’è un originale aramaico, ben adam o bar enash, la cui traduzione esatta è il bastone di Aronne (il bastone dotato di poteri straordinari che,  secondo il racconto dell’Esodo, era stato usato da Aronne a protezione del fratello Mosè).

Anche oggi l’evocazione di tale titolo è interessante, perché designa l’essere umano nella sua condizione creaturale di fronte a Dio; Figlio dell’uomo significa in maniera appropriata: uno della stirpe umana, e perciò preordinato alla sofferenza e alla morte.

Con questa auto-definizione Gesù esprime la sua profonda solidarietà con la condizione umana, e lascia intravedere la sua funzione di inviato di Dio.

Alla luce della Pasqua i primi cristiani rileggeranno tale titolo pensando alla sua venuta nella gloria, quando egli assumerà anche una funzione giudiziale escatologica.

15. perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Questo versetto merita attenzione particolare circa l’espressione vita eterna.

Cosa è l’eternità? E che rapporto ha col tempo?

- La vita eterna per i cristiani è uno stato di comunione con Dio: definizione che pone l’accento sull’aspetto mistico, cioè riguardante il profondo sentire-Dio nell’intimo di chi lo ama.

- E’ bene, però, guardare al concetto elaborato dalla filosofia e dalla teologia.

L’eterno non ha un prima e un dopo, ma è l’attimo, che è sempre identico a se stesso, anche nel suo divenire nel tempo. Eterno è ciò che, una volta incarnato nell’esistenza, alla fine non ritorna nel nulla, ma perdura.

Dice Platone: il tempo è immagine mobile dell’eternità. Il tempo è una successione di istanti che nel loro trascorrere, passano da un modo di essere ad un altro. Eppure essi non mutano in se stessi. Un peccatore morente può avvertire di avere attraversato momenti diversi, ma l’istante che vive nell’atto di morire può ritrovarsi nella possibilità di pentirsi, cioè di ritrovare se stesso…    

16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

All’innalzamento del Figlio dell’uomo corrisponde, in questa frase,l’amore di Dio che dà il suo Figlio Unigenito; il mondo indica l’umanità intera, non in senso negativo, ma in quanto bisognosa di salvezza.

Il fatto che in questo contesto venga usato il verbo dare, da didômi e non il più consueto consegnare, paradidômi, collegato alla morte del Servo di JHWH, significa che l’evangelista non pensa semplicemente alla morte di Gesù in croce, ma a tutta la sua vita di amore e di dedizione ai fratelli. Alla croce, intesa come ritorno a Dio, corrisponde quindi l’esperienza umana di Gesù, vista come dono che Dio ha fatto all’umanità per dimostrarle il suo amore. Gesù dunque è ‘innalzato’ perché Dio stesso lo aveva ‘donato’: in questi due verbi è racchiuso tutto il mistero del Figlio dell’uomo, su cui si basa la fede nella vita eterna, cioè la vita di comunione con Dio.

- In questo versetto l’attributo di Figlio dell’uomo viene sostituito con quello di Figlio unigenito, più significativo per mettere in luce il rapporto specialissimo che unisce Gesù a Dio.

17-19.

A tale rifiuto può sopperire solo il fare la verità.

Questa frase è da leggere in profondità, cioè da capire con intelletto d’amore. Non basta accettare intellettualmente alcune verità di fede, senza impegno personale. Il cristiano vive nella verità soltanto quando egli cerca continuamente di assimilarla, per lasciarsi progressivamente trasformare da essa. E’ la condanna di ogni formalismo, di ogni superficialità, di ogni cristianesimo indifferente, non autentico.

Al versetto 16 leggiamo: .

L’immagine di Dio che appare in questi versi è quella di un padre pieno di tenerezza e non di un giudice severo. Chi crede in Gesù e lo accetta come rivelazione di Dio non è giudicato, perché già è accettato da Dio. E chi non crede in Gesù è già stato giudicato. Si esclude da sé. E l’evangelista ripete ciò che ha già detto nel prologo: molte persone non vogliono accettare Gesù, perché la sua luce rivela la cattiveria che esiste in loro.

20-21

Giovanni esprime in questi versetti una visione ecumenica. Per lui Gesù è rivelazione del Padre. Nella fedeltà a Ges l’unica risposta al desiderio più profondo dell’essere umano.

4. personale

In questa parte del Vangelo, ma non soltanto in essa, Gesù è il grande Mediatore tra l’umanità e Dio.

Vi supplico di leggere il mio pensiero prendendo preventivamente le distanza. Ciò che dico non è Parola di Dio.

Non posso leggere il vangelo se non nel quadro dell’umanità intera. Cioè nell’umanità non c’è qualcuno che faccia l’eccezione di essere escluso. Il più efferato delinquente fa parte dell’umanità. Non c’è un essere umano mostruoso che non merita uno sguardo (e non solo) di amore.

Sarebbe possibile pensare che chi non crede in Cristo sia condannato, escluso dalla comunione con Dio?

Eppure il v.20 recita così: Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

Potrei citare altri versetti della pericope che hanno il medesimo significato: esclusione.

Ma l’evangelista usa un linguaggio, anzi ha una mentalità che lo induce a questa concezione. Non si può pretendere una visione assolutamente universalistica del destino dell’essere umano a persone vissute duemila anni fa.

Quanto a me  / Mi si attacchi la lingua al palato / se lascio cadere il tuo ricordo, /se non innalzo Gerusalemme.

Mi si conceda semplicemente la sostituzione della parola Gerusalemme con Tu che mi hai fatto.

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