venerdì 12 gennaio 2018

II DOMENICA T.O. anno B


 

Gv1,35-42

Il giorno seguente, Giovanni era nuovamente là con due dei suoi discepoli. 36 E, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l'Agnello di Dio. 37 E i due discepoli, avendolo sentito parlare, seguirono Gesù. 38 Ma Gesù, voltatosi e vedendo che lo seguivano, disse loro: Che cercate?. Essi gli dissero: Rabbi (che, tradotto, vuol dire maestro), dove abiti?. 39 Egli disse loro: Venite e vedrete. Essi dunque andarono e videro dove egli abitava, e stettero con lui quel giorno. Era circa l'ora decima. 40 Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito questo da Giovanni e avevano seguito Gesù. 41 Costui trovò per primo suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia che, tradotto, vuol dire: "Il Cristo"; 42 e lo condusse da Gesù. Gesù allora, fissandolo, disse: Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa, che vuol dire: sasso.

 

C o m m e n t o



1. LO SGUARDO DI GESU’ E LA CHIAMATA

Giovanni l’evangelista introduce la Chiamata a seguire Gesù attraverso l’incontro (che pare) casuale di due discepoli di un altro Giovanni, detto il Battezzatore o Battista. Essi sono due: Andrea e un altro di cui non dice il nome (in quanto è lui stesso, autore del vangelo che leggiamo).
Colpisce molto la scrittura dettagliata e con riferimenti precisi di questo Autore, come se ciò che racconta derivasse da una sua diretta esperienza. E ci sono validissime ragioni per ritenere il suo vangelo indipendente dai sinottici, anche perché alcuni passi tradiscono l’impronta di un’esperienza personale.
Già questo fattore colpisce il lettore, consapevole di leggere una testimonianza vissuta.
Il racconto che abbiamo davanti descrive la testimonianza di Giovanni Battista, che fa seguito al prologo e introduce la chiamata dei primi discepoli che hanno incontrato Gesù.
Mentre si suppone che il Battista abbia già parlato di Gesù alla folla di coloro che andavano a farsi battezzare, adesso è solo con due discepoli. Egli fissa lo sguardo su Gesù. Il verbo che qui troviamo tradotto con fissare, nel greco emblepsas esprime un sentimento particolarmente intenso
Il lettore potrebbe chiedersi perché lo stesso Giovanni che li aveva battezzati non abbia seguito Gesù. Evidentemente la tradizione non ha voluto spingere il collegamento tra Giovanni il Battista e Gesù fino al punto di far pensare che il movimento del primo sia confluito in quello del secondo. I due personaggi restano distinti; i loro punti di vista, specialmente circa la venuta escatologica, non sono identici.
E’ interessante notare la bellezza e la suggestione che esercitano le poche pennellate che ritraggono lo scenario di questo incontro. La prima chiamata è fatta di una semplice domanda: Che cercate?, il cui senso va aldilà di una generica richiesta di informazione su cosa li abbia spinti a cercarlo.
La domanda sembra voler entrare nel cuore degli interrogati per conoscere se è davvero Dio e null’altro il fondamento del loro cercare. Ma questo essi lo avvertono già, quasi senza saperne il perché. E Gesù, senza proporsi come colui che potrebbe fare a meno di chiedere, aspetta una risposta: debbono essere essi stessi a riconoscere il motivo del cercare!
Verrebbe da sottolineare che Gesù abbia fatto loro una domanda-tranello, e che il gioco gli sia riuscito. Infatti i due chiamati, Andrea e l’innominato discepolo, lungi dal voler evadere la risposta, dimostrano di saper leggere nel proprio cuore: perciò chiedono di poter realizzare un’esperienza di convivenza con Lui. Non hanno l’esigenza di sapere quello che debbono fare e/o non fare per seguirlo; vogliono soltanto iniziare un cammino nuovo sottola Sua guida.
[Nulla viene detto dell'altro discepolo. Come spesso avviene all'interno del Quarto Vangelo, questi rimane un personaggio volutamente anonimo. Tale anonimato può essere letto in vari modi, giacché un silenzio si presta a più interpretazioni rispetto a qualsivoglia affermazione. Vorrei suggerirne due. In prima istanza il discepolo innominato potrebbe essere quello che Gesù poi amerà più degli altri (affermazione che può suonare scandalosa ma che ricorre nel testo giovanneo). Tale lettura, però, non è fondata su un qualche riscontro nel testo; oltre al fatto che si tratta di dar voce ad un silenzio, c'è da aggiungere che la figura del discepolo amato compare nel Quarto Vangelo soltanto a partire dal tredicesimo capitolo. Pertanto, supporre che possa trattarsi di lui nel contesto della pericope è un'illazione, lontana da un'ipotesi verificabile.]
Nel tuffo in un tu-a-tu tra Gesù e gli interlocutori, risuona la risposta divenuta domanda: Rabbi, dove abiti?  Essa dimostra che la trasformazione dei ‘chiamati’ aveva inizio.
Perché anche noi sappiamo porci questa domanda e darci la stessa risposta, dobbiamo capire che il quid del cercare è la metanoia, la trasformazione, la quale non ha niente a che fare con l’imitazione del Maestro; è opera di Dio, al quale ci si affida.  

 

2. ECCO L'AGNELLO DI DIO!

a) L’elemento essenziale del messianismo biblico era che Dio avrebbe mandato il suo inviato per liberare il suo popolo, cambiare la situazione degli oppressi, instaurare un Regno di pace e di giustizia.
Noi siamo messianici, cristiani, perché crediamo in questo sogno che Dio ha voluto far nascere in mezzo al suo popolo. Purtroppo, a volte abbiamo trasformato il titolo di Messia assieme a tutte le sue implicazioni escatologiche e politiche, in un innocuo nome proprio, Gesù Cristo, come se Cristo fosse semplicemente il cognome di Gesù. Così abbiamo de-messianizzato il cristianesimo. Dobbiamo risvegliare il nostro sogno, e recuperare tutto il senso del nostro essere cristiani.
b) Il Messia incontrato da questi discepoli è colui che toglie il peccato del mondo: ‘togliere’ sta per prendersi carico, assumere ogni situazione di violenza e di ingiustizia, e dar corso ad un’umanità nuova. E’ questo che intendeva dire il primo dei due, Andrea: Ho incontrato colui che ricrea l’umanità, che darà un nuovo inizio alla storia.
E’ un sogno grande. Si tratta di ri-messianizzare il cristianesimo, riproponendo in ogni era, ad ogni mutazione sociale, il sogno dei primi chiamati.
c) Un primo rimando biblico per la comprensione dell’espressione Ecco l'Agnello di Dio, usata da Giovanni Battista per indicare la persona di Gesù è la figura dell'Agnello vittorioso nel libro dell'Apocalisse; in 7,17 l'Agnello è il pastore dei popoli; in 17,14 l'Agnello schiaccia le potenze malvagie della terra: al tempo di Gesù si immaginava che alla fine della storia sarebbe apparso un agnello vittorioso o distruttore della potenza del peccato, delle ingiustizie, del male.
d) Tale idea è in sintonia anche con la predicazione escatologica di Giovanni il Battista, il quale ammoniva che l'ira era imminente (Lc 3,7), che la scure era già posta alla radice dell'albero, e che Dio era pronto ad abbattere e a gettare nel fuoco ogni albero che non portasse buoni frutti…
Per molti padri orientali la figura dell’agnello è ricavata dalla profezia di Isaia che presenta il Servo del Signore come un agnello mansueto davanti ai suoi carnefici: Maltrattato si lasciò umiliare, era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori (Is 53,7). Sempre in Is 53,5-6, iI Servo-Agnello è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati salvati, il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi. Egli, non toglie, ma porta, i nostri peccati per espiarli e cancellarli.
C’è chi ha pensato che il Battista parlando di Gesù abbia usato il termine aramaico talya’ che significa sia servo che agnello. Allora il riferimento a Isaia sarebbe ancora più chiaro ed esplicito.
 
3. ‘RESTARE’ CON CRISTO
La prima indicazione data da Gesù ai due è: Venite e vedrete.
Nel quarto vangelo i verbi venire e vedere sono parole di invito a che i chiamati si accostino alla sua esperienza. Ed essi andarono... e restarono con lui.
E’ da notare l'insistenza, tipica di Giovanni nell’uso del verbo ménein, rimanere, restare, abitare.
A questo punto troviamo una precisazione che stupisce un po': Era circa l'ora decima, ovvero circa le quattro pomeridiane. Come mai questo richiamo cronologico? Si tratta di evidenziare un momento preciso che ha segnato una svolta nella loro vita. Invece alcuni esegeti danno una interpretazione di tipo simbolico: dieci sta a dire la pienezza del tempo ormai giunto. E ancora per altri starebbe a significare l'ora del tramonto, con riferimento all'antica alleanza rappresentata dal Battista che prelude al giorno nuovo.
Giungiamo così all'ultimo passaggio (vv.40-42): Andrea Accosta il fratello Simone per annunciargli lo straordinario incontro avvenuto con Gesù. Le sue parole sono un chiaro segno di fede: Abbiamo trovato il Messia. Se prima Gesù era solo un Rabbi, dopo essere stati con Cristo si è realizzata in loro una conoscenza più profonda del Messia e quindi una crescita di fede,.
Circa il cambiamento del nome di Simone in Pietro, c’è da dire che nella tradizione biblica un nome nuovo sta ad indicare un cambiamento nella vita e nel destino di una persona. Ma in questo caso, più che di un nome, si tratta di un soprannome, indicante, in senso amichevolmente ironico, l'avere la testa dura come una pietra. Ma alcuni esegeti dissentono da questo modo di leggere il vangelo di Giovanni: Simone Testadura è colui che difficilmente si sposta dalle sue idee, oppure, detto in senso più spirituale, ha una tempra solida come una roccia.
La sequela di Cristo è frutto di una ricerca continua, che sfocia nello stupore di una risposta dall’Alto, come avvenne ad Elia, il quale, al risveglio da un sonno profondo dovuto alla stanchezza causata da un travagliato pellegrinaggio al monte di Dio, si trovò accanto pane ed acqua.
Concludo con qualche preghiera di chi ha vissuto la chiamata:

 

 

«Non devi fare nulla, ma abbandonare la tua volontà alla propria disposizione. Le tue cattive qualità si indeboliranno e ti tufferai con la tua volontà nell'Uno dal quale uscisti in principio. Tu giaci prigioniera delle creature: abbandona la tua stessa volontà e morranno in te le creature e le loro  cattive inclinazioni, che ti trattengono perché tu non vada a Dio» [1]
(Jakob Böhme, Dialogo tra un'anima illuminata e una priva di luce, n. 48)

 

«Non è volontà di Dio che l'anima si turbi di qualche cosa e che soffra tormenti: se essa, nei casi avversi del mondo soffre, ciò accade per la debolezza della sua virtù, poiché l'anima del perfetto si rallegra in ciò in cui si affligge quella di un imperfetto.»
(Giovanni della Croce, Avvisi e sentenze)

 

«Tutte le immagini non mi fanno bene, non posso nutrirmi se non della verità. Per questo non ho mai desiderato visioni. Non si possono vedere, sulla terra, il Cielo, gli Angeli tali quali sono, preferisco aspettare dopo la morte»
(Teresa di Lisieux, Novissima verba, 5 agosto)

 

«Tutto il bene che hai decretato per me in questo mondo, donalo ai tuoi nemici; e tutto ciò che hai decretato per me nel paradiso, concedilo ai tuoi amici. Io non aspiro che a te solo.»

(Rābi´a al-´Adawiyya, I detti)

 

«Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore».
(Francesco d'Assisi, Regole ed esortazioni, XXVIII, FF 178)

 

«La peggiore malattia oggi è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio. Vi è fame d’amore, e vi è fame di Dio.»
(Madre Teresa di Calcutta)

 

«Non deve l'animo nostro essere turbato, nessuna cattiva parola deve sfuggire dalla nostra bocca, amorevoli e compassionevoli vogliamo rimanere; e noi illumineremo quella persona con animo amorevole, da essa muovendo irradieremo il mondo intero, con ampio, profondo, illimitato animo, schiarito di rabbia e rancore»
(Majjhimanikaya, I, 21)

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