venerdì 6 marzo 2015

III DOMENICA di QUARESIMA - anno B


III DOMENICA di QUARESIMA anno B

I testi

Es 20,1-17
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Sal 18
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
      I precetti del Signore sono retti,
      fanno gioire il cuore;
      il comando del Signore è limpido,
      illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
      Più preziosi dell’oro,
      di molto oro fino,
      più dolci del miele
      e di un favo stillante.
1Cor 1,22-25
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Gv 2,13-25 13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!". 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Sguardo d‘insieme sui testi

Il decalogo
La lettura del decalogo mostra che Dio esige per sé il dono totale del suo popolo, perché solo rapportandosi a lui gli israeliti possono entrare nella dinamica della liberazione da lui offerta, la quale consiste, in radice, nella vittoria sul proprio egoismo e sul peccato. Il castigo, in caso di trasgressione, è attribuito a Dio in senso metaforico: in realtà, chi si ribella a lui provoca il male a se stesso. I comandamenti non pretendono di fissare in modo esauriente e definitivo ciò che bisogna fare o evitare per far piacere a JHWH, ma piuttosto intendono delimitare un campo di azione nel quale ciascuno deve operare per il bene di tutti in modo responsabile: Dio lascia all’essere umano la libertà di scegliere tra il bene e il male.
Il salmo
Il pio salmista non sente la Legge come un’imposizione gravosa, ma come un dono meraviglioso con il quale JHWH guida la sua vita. Mediante l’osservanza dei comandamenti sa di poter costruire la sua esistenza su un fondamento sicuro. Perciò afferma che JHWH sarà per lui una rupe (zûr) e un redentore (gô'el). Il timore di Dio non è fatto di paura, ma di ascolto: i suoi giudizi sono più dolci del miele e di un favo stillante.
Paolo ai Corinti
Questo testo si situa nella prima sezione della lettera in cui Paolo affronta il tema della divisioni della comunità in partiti, secondo gli insegnamenti di singoli predicatori: i giudei si aspettano segni, sêmeia, analoghi a quelli compiuti in favore degli israeliti quando erano schiavi in Egitto; i greci invece vorrebbero possedere una sapienza consistente nella conoscenza delle leggi che reggono il mondo, allo scopo di possederlo e dominarlo. In contrasto con queste aspettative umane Paolo annunzia Cristo crocifisso, estaurômenon: il fatto che sia usato un participio perfetto passivo significa che, anche dopo la risurrezione, lui resterà per sempre il crocifisso, con tutto ciò che questa prerogativa comporta: la rinunzia a qualsiasi forma di potere. La croce di Cristo capovolge tutti i criteri e le aspettative umane e manifesta un Dio che per salvare l’umanità non ha scelto la forza, ma l’amore.
Il Vangelo
Dopo le prime due domeniche con i testi classici di apertura dedicati al racconto delle tentazioni e della trasfigurazione di Gesù, raccontata da Marco, la liturgia offre alla lettura alcuni brani del vangelo di Giovanni. La pericope di questa domenica pone al centro dell'attenzione Gesù che parla del tempio come casa del Padre mio.
Il tempio di Gerusalemme è l’unica istituzione religiosa del popolo ebraico che sia sorta non per comando divino, ma per l’iniziativa di una persona, il re Davide. Nonostante ciò, l’idea di un Dio che abita personalmente in mezzo al suo popolo ha segnato profondamente la vita religiosa di Israele, facendo di Gerusalemme e del tempio, con i suoi riti e pellegrinaggi, il cuore della vita religiosa e sociale del giudaismo. Di fronte a questa realtà così importante il Gesù giovanneo si colloca in modo bivalente: da una parte si presenta come colui che porta a compimento nel suo corpo l’esperienza religiosa di cui il tempio era il segno, al punto tale che il tempio stesso e il suo corpo giungono quasi a identificarsi; dall’altra egli mostra come sia il tempio che il suo corpo devono essere distrutti per dar vita al tempio escatologico che è il suo corpo risorto.

Analisi del Vangelo

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Nel quarto vangelo la missione di Gesù si svolge soprattutto nella città santa, a differenza dei sinottici che invece ambientano il ministero pubblico in Galilea.
L'introduzione della pericope fa menzione della Pasqua dei Giudei, espressione tipica di Giovanni, che intende porre una netta separazione tra la festa ebraica e la pasqua cristiana.
Secondo l'evangelista Gesù andò tre volte a Gerusalemme per celebrare tale festa, e quella del testo odierno è la prima pasqua.
Tale festa era celebrata ogni anno nel plenilunio di primavera come memoriale dell’esodo dall’Egitto, l’azione salvifica con cui il Signore ha creato il suo popolo.
14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!".
Come Geremia, Gesù critica la pratica religiosa che il tempio sembrava richiedere a nome di Dio: cioè il sacrificio di animali. Di fronte allo spettacolo poco edificante e ancor meno religioso del commercio di tali animali, che si svolgeva nel cortile del tempo riservato ai pagani come scorciatoia per raggiungere il monte degli ulivi, Gesù richiama il senso profondo del tempio e dell'attività che vi si deve svolgere.
Quello di Gesù è un gesto messianico che si rifà a testi dell’AT. A differenza dei sinottici, Giovanni non definisce il tempio casa di preghiera, ma casa del Padre mio. Si tratta di un distinguo importante: il tempio come dimora di Dio è un dato tipico e tradizionale nell'AT, centrato sul culto a lui dovuto; in questo testo Gesù, chiamando Dio Padre, invita a scoprire la figliolanza divina, quale si realizza in lui e quale è aperta a coloro che seguono le sue orme.
17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Quando i discepoli lo videro compiere quel gesto, come condanna eloquente del sistema religioso su cui si reggevano il tempio e il sacerdozio, lo ritennero pieno di passione come Elia e ricordarono le parole del salmo 69: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. In realtà questo è un commento redazionale per dire che  la vicenda di Gesù si svolgerà nel segno dello zelo per Dio (è da notare l’uso del verbo al futuro, perché l’evangelista aveva presente la resurrezione).
18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?".
Come altrove nei vangeli, davanti ai gesti profetici di Gesù (in questo caso l'autorità esercitata sul tempio e su quanto vi accade), i giudei, o più in generale i suoi avversari, chiedono un segno prodigioso a garanzia dell'autorità di Gesù. Ma il segno proposto da lui si pone su di un piano completamente diverso: non un prodigio strepitoso, segno di potenza, ma un gesto profetico. Giovanni gioca intenzionalmente sull'ambiguità del verbo
risorgere: in greco eghéiro significa sia innalzare un edificio, sia far risorgere un morto.
21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Questi due versetti sono redazionali: l'evangelista precisa il senso delle parole di Gesù come profezia della sua pasqua. Il corpo indica l'umanità di Gesù, in cui si manifesta Dio.
La fede nella Scrittura è posta dall'evangelista sullo stesso piano di quella nella parola detta da Gesù, a significare che solo dopo la resurrezione i discepoli compresero appieno la portata delle sue parole e gesti.
23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
Questi tre versetti costituiscono un sommario (come se ne trovano anche nei sinottici) che riassume l'attività di Gesù e ne anticipa il senso.
Gesù non si fidava di loro, cioè non accettava il ruolo che intendevano attribuirgli, perché non voleva lasciarsi strumentalizzare. Per la frase, Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo, rimando a qui di seguito.

Considerazioni e suggestioni personali

Alcune lettrici e lettori mi hanno scritto circa le mie riflessioni evangeliche sul Dolore, in commento all’atteggiamento di Gesù, il quale voleva formare i suoi discepoli a vedere in lui, non un messia glorioso, ma compagno del Dolore umano fino ad accettare la passione e morte, pegno della sua risurrezione.
Ecco come si esprime una lettrice:  
ho appena riletto le tue riflessioni personali sulle letture della domenica scorsa e mi accorgo che sono incentrate sul Dolore. Tu sostieni che il "Dolore può aprire sconfinati spazi di felicità". Se lo sostieni vuol dire che ne sei convinta, e allora ti chiedo: potresti allargare questo concetto?
Ecco in risposta le mie suggestioni, che si concentrano attorno all’ultima frase della pericope evangelica odierna, Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
- Gesù è Maestro della Legge, intesa come espressione, più che di obblighi, di amore. Questa parola magica che dà senso all’esistenza, è la più malintesa e bistrattata. Sinonimo di ricerca di pienezza e di felicità, l’amore umano non è tale se devia o si arresta di fronte alla prova. La frase, allora, va letta in un’ottica universale. Cristo non è venuto a salvare (= dare pienezza di vita) coloro che si definiranno cristiani. Al contrario, come affermava Giovanni XXIII, “è il cristianesimo che deve tendere a coincidere con l’umanità”. Come si esprime un esegeta del vangelo odierno, il vangelo è un libro in cui gli attori non contano per il loro nome e cognome, ma per la loro appartenenza all’umanità.
- Potrei riportare tante citazioni di autori di ogni tempo ed appartenenza per esprimere lo stesso concetto: bisogna scavare nel nostro cuore per dare senso all’inevitabile Dolore e, in tal modo, trasformarlo in dono di amore. Cristo lo ha accettato totalmente, non per stupido dolorismo!, ma per contagiarci del suo amore per l’umanità.

Alcune citazioni:
Un cuore è una ricchezza che non si vende e non si compra: si dona (Gustave Flaubert).
La vera bellezza, dopotutto, consiste nella purezza del cuore (Mahatma Gandhi).
Se hai la passione per la sacra felicità, getta via la tua arroganza e diventa un ricercatore di cuori (Rumi).
La mente si arricchisce di quel che riceve, il cuore di quel che dà (Victor Hugo).
Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni (Rita Levi-Montalcini).
L’inverno è nella mia testa, ma una eterna primavera è nel mio cuore (Victor Hugo).
La nostra mente è una spugna, il nostro cuore è un fiume. Non è strano che molti di noi preferiscano assorbire piuttosto che scorrere (Khalil Gibran).
La sola cosa che il cuore può vedere è ciò che si chiama Dio, il divino (Osho).
Segui il consiglio del tuo cuore, perché nessuno ti sarà più fedele di lui (Siracide).
Il cuore dell’uomo è come il vestito del povero; è dove è stato rammendato più volte che è più forte (Paul Brulat).
Come una candela ne accende un’altra e così si trovano accese migliaia di candele, così un cuore ne accende un altro e così si accendono migliaia di cuori (Lev Tolstoj).

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