venerdì 24 maggio 2013

Trinità Divina annoC


26 maggio 2013 Trinità Divina - Anno C
PREMESSA
La teologia riassume tutto il messaggio della fede cristiana nel mistero della Trinità. Karl Ranher parla della Trinità immanente (quella che non possiamo raggiungere) e della Trinità economica (quella che è al nostro livello perché in essa incontriamo il modello di dedizione reciproca tra di noi).
A mio modesto parere, non si tratta di comprendere l’incomprensibile, ma di trarre da questa celebrazione liturgica spunti di riflessione.
Anche i più navigati esegeti parlano della Trinità come del modello divino esemplare, che si ripercuote sul bisogno umano di comunicazione, di donazione (tipico quello legato alla genitorialità, 
alla bontà naturale, alla creatività), di reciprocità nello scambio umano tra uguali. Ma si potrebbe dire altrettanto che sia questo bisogno umano a proiettarsi, attraverso l’immaginario, nella concezione del divino.
E’ cosa certa che la fede non riguarda né una dottrina codificata attraverso una istituzione, né un fatto psicologico.
Non si può negare che Dio si sia rivelato in ogni luogo e tempo, comprese le culture primitive o ciò che resta di esse, e che, nel rivelarsi, non si è mai identificato attraverso una definizione di sé. Il biblico "Io sono colui che sono" non va interpretato secondo categorie filosofiche, teologiche, dottrinali. Come hanno percepito i mistici presenti in tutta la storia e geografia umana, la rivelazione divina è nel silenzio delle parole. Ma si richiede ascolto interiore.
La rivelazione interiore non è fatto così straordinario come siamo portati a ritenere, perché è propria dell'umano inappagato attraverso  la soddisfazione terrena, e si verifica anche in persone prive di cultura, semplici e sapienti, aperte a cogliere e a praticare il bene. E forse anche chi nella sua esistenza è proteso soltanto verso il godimento dei beni materiali, può fare il salto di qualità attraverso le prove, soprattutto quella estrema della fine.
Noi cristiani possiamo considerare Gesù quale prototipo di una rivelazione del divino, percepita anche da credenti in altre espressioni religiose, nonché da coloro che si definiscono atei unicamente perché si riferiscono alla fede codificata.
Le letture odierne, passate al vaglio di una corretta esegesi, possono aiutare a riconoscere nel messianismo di Gesù un’ottima chiave per affinare lo sguardo interiore teso verso la verità trascendente di Dio, se sgombro di alienanti illusorie esaltazioni para-mistiche.
LETTURE: breve parziale illustrazione di tipo esegetico
Proverbi 8, 22-31 costituiscono un inno di rara bellezza dedicato alla Sapienza che intesse un dialogo con Dio. Un dialogo da cui prende forma, in modo armonico, l'intero creato. Al suo vertice sono collocati i figli dell'Uomo, in compagnia dei quali la Sapienza trova la sua delizia. Ed è proprio in questo incontro gioioso – scrive G. Ravasi - che la Tradizione cristiana ha identificato nella Sapienza divina il profilo di Cristo stesso: per Dio creare è una festa, è gioia, è atto artistico, è pace. Lo conferma il SALMO (letto oggi), che sembra riprendere il tema del ruolo dello Spirito nella creazione del mondo. E’ vero che la realtà terrena, esposta ai condizionamenti temporali, spesso non favorisce la condivisione di questo stato gioioso, ma il fondo dell’anima, come lo chiamano i mistici, ha sempre uno spazio di accesso alla bussola che dà l’orientamento necessario per non perdere il senso della vita.
Romani 5, 1-5 parla dell'amore di Dio effuso nei cuori per mezzo dello Spirito e fa un invito a potenziare le proprie capacità nel semplice riconoscimento del limite e della finitezza, nonché  nell'accoglienza dei suoi doni.
GIOVANNI 16,4b-33
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 12 “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.
Il discorso evocato da Giovanni è ancora una volta quello letto durante le festività post-pasquali. Sappiamo che è stato attribuito a Gesù, il quale lo avrebbe pronunziato prima di morire come testamento di amore verso i suoi.
Nel passo di oggi è molto presente la situazione di prova vissuta dalla comunità di Giovanni, espulsa dalla comunità ebraica. Da qui il senso di spaesamento degli ebrei passati al cristianesimo. Per ridare fiducia, l'evangelista punta sul fatto che Gesù risorto è tornato al Padre, e dal Cielo ormai protegge i suoi attraverso lo Spirito. Nel testo c'è la contrapposizione tra due tempi: il tempo di Gesù di Nazareth, il quale ha parlato in vita, e il tempo dopo la sua morte, in cui a parlare al cuore umano sarà lo Spirito, per condurre alla verità tutta intera, cioè ultra-terrena.
12 Ancora molte cosa ho da dirvi, ma non potete portar(le) ora.  Il verbo bastàzein significa portare un oggetto pesante. Gesù ha fatto conoscere ai suoi ciò che il Padre gli ha rivelato, ma durante la sua vita terrena per essi era pesante, per mancanza di maturità, reggere il senso di tale rivelazione; dopo la sua fine sarà lo Spirito a tramettere loro in maniera comprensibile l'illuminazione di cui lui era stato inondato.
13 Ma quando verrà quello, lo Spirito di verità, vi guiderà nella verità tutta intera: infatti non parlerà da se stesso, ma dirà quanto ascolterà e annuncerà a voi le cose venienti. Lo Spirito non offrirà credenziali sul raggiungimento della verità piena; ma darà la sicurezza di poterla attingere attraverso la preghiera (e per questo egli è chiamato nel Vangelo Paraclito, cioè Invocato). 
14 Quello mi glorificherà perché prenderà dal mio e (lo) annuncerà a voi. Lo Spirito Santo (il termine santo qualifica sempre la trascendenza), svolgerà adeguatamente il compito messianico di Gesù.
15 Tutte quante le cose (che) ha il Padre sono mie: per questo ho detto che prende dal mio e (lo) annuncerà a voi. Gli esegeti cattolici non hanno dubbi sul senso trinitario di questo brano di Vangelo. Ma già Sant'Agostino si esprimeva in altra ottica: "o carissimi, non aspettatevi di ascoltare da noi quelle cose che allora il Signore non volle dire ai discepoli, perché non erano ancora in grado di portarle; ma cercate piuttosto di progredire nella carità, che viene riversata nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che vi è stato donato, di modo che, fervorosi nello spirito e innamorati delle realtà spirituali, possiate conoscere, non mediante segni che si mostrino agli occhi del corpo, né mediante suoni che si facciano sentire alle orecchie del corpo, ma con lo sguardo e l'udito interiore, la luce spirituale e la voce spirituale che la sola intelligenza umana non sono in condizione di portare". E’ doveroso ricordare che tale consapevolezza era già viva nell'Antica Alleanza: il pio uomo di Dio, in Sap 9,1-18, era perennemente in preghiera perché il Signore mandasse su di lui la sua sapienza.
PREGHIERA
preghiera
respiro dell’anima
in te mi rifugio
per scampare
ad inquieti pensieri
tu li sprofondi
nell’Abisso divino
ed in esso mi acquieto
svuotata di me
e forse per questo resa
capace di attingere
all'AMORE

2 commenti:

Anna Petraroja ha detto...

Nell' ultima riflessione fai riferimento alla rivelazione divina e all'ascolto interiore quest'ultimo precede o segue la rivelazione divina? Ti ringrazio se me lo chiarisci scusami ma per me è importante

Ausilia ha detto...

L’ascolto interiore accompagna l’esperienza terrena e la illumina. Non c’è un prima o un dopo. Dio si rivela per sua natura, in quanto relazionale; solo che l’essere umano se ne accorge in qualche momento esistenziale particolare, come quello della prova, soprattutto quella suprema della fine. Bisogna prepararsi ininterrottamente alla ricezione di questa illuminazione attraverso la preghiera. Il mondo è arido e senza speranza senza preghiera. Penso con tremore ai giovani non avviati alla preghiera; forse l’epoca attuale così ingarbugliata risente di tale aridità: in un mondo velocizzato in ogni suo aspetto, come si può fare spazio alla preghiera intima, respiro dell’anima?