venerdì 31 maggio 2013

Corpus Domini

2 giugno 2013 anno C –
Celebrazione del Corpus Domini

CRONISTORIA SULLA CELEBRAZIONE
C’è un episodio vetero-testamentario che fa risalire alla festa commemorativa dell’Antica Alleanza di YHWH col suo popolo. Melchisedek, re di Salem, offre a YHWH pane e vino, benedicendolo e ricevendo da lui a sua volta la benedizione. Pur essendo sacerdote pagano, esprime un sentimento religioso universale, poiché attraverso il suo gesto è benedetto, assieme al suo popolo, anche Abramo e la sua gente. [Oggi, afferma l’esegeta Manicardi, si avrebbe qualche perplessità a vedere il Papa o un Vescovo benedetti da un rappresentante di altra religione; e invece è bellissimo vedere l'Eucarestia dentro una ritualità di benedizione a Dio e all'umanità]. Ma il significato di tale episodio ben poco ha inciso nella Nuova Alleanza.
Nelle prime comunità cristiane si commemorava la cena senza fare un’effettiva cena: ognuno andava a prendere il suo pezzo di pane come un'elemosina e poi andava a mangiarselo per suo conto. Il "Fate questo in memoria di me" non coincideva col “Fate una cena”. Nei secoli III e IV tali comunità furono attraversate dall’angoscia di una crisi epocale che investiva tutta la società. Ciò produsse l’effetto di una loro crescita vertiginosa grazie alla capacità di accoglienza, espressa soprattutto in banchetti condivisi che non tenevano conto di barriere etniche. La gente li praticava, non soltanto per sfamarsi, ma anche per cercare conforto nella religione; intanto esigeva che questa fosse con meno culti e più contatti personali.
La trasformazione in Celebrazione della Cena segna un passaggio netto nella direzione cultuale. Il modo in cui ciò si avvera è, in un certo senso, casuale.
Bisogna risalire al 1252, quando il cadinale Ugo di san Carlo, allora legato pontificio in Germania, la introduceva nella sua circoscrizione. Nel 1263 papa Urbano IV, già arcivesovo di Liegi, sollecitato dal vescovo Enrico di Ghedina e commosso anche dal miracolo di Bolsena, la estendeva a tutta la chiesa, fissando la data della sua celebrazione al giovedì dopo l’ottava di Pentecoste.
Nel 1317, papa Giovanni XXII, la estendeva a tutta la chiesa, ma non voleva farne una ripetizione del giovedì santo, caratterizzato dall’aspetto sacrificale; centro della festa doveva essere un culto gioioso e popolare, senza Messa né processione. In seguito la chiesa cattolica ricalcherà l’aspetto sacirifcale, anziché quello di culto gioioso.
Oggi si tenta, da qualche parte, un’interpretazione sociale della Cena eucaristica: se Gesù ha saziato la fame dei poveri e provocato il miracolo dell’abbondanza, lo stesso avviene quando si condivide quello che si ha, anche se scarso. Ma forse manca una sufficiente attenzione ai molti banchetti dei quali parlano i vangeli: dal come, quando e con chi Gesù mangiava, non è difficile dedurre che predisponesse un suo piano di avviamento dei suoi verso il mistero del suo corpo che vuole offrirsi in cibo [tenteremo qui di seguito di scavare sul significato del cibo eucaristico].


LETTURE DI OGGI
Genesi 14, 18-20; 1Corinzi 11, 23-26;
Luca 9, 11b-17
In quel tempo, Gesù 11b prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12 Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”. 13 Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. 14 C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. 15 Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16 Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17 Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici Ceste.
Compendio esegetico [con alcune trascrizioni letterali]
Da un punto di vista storico la moltiplicazione dei pani non è la descrizione precisa di un fatto storico: si tratta piuttosto di una costruzione letteraria fortemente influenzata dai motivi teologici che la costituiscono: questi ultimi hanno dato la forma agli elementi della composizione del racconto. Questo non significa che siamo di fronte a un’invenzione della comunità. Il fatto è che quest'ultima ha rivestito con la sua riflessione un evento che non è più possibile descrivere nella sua oggettività.
Seguiamo il testo di Luca da vicino.
11b E avendo accolte le folle Gesù parlava loro del regno di Dio e sanava coloro che avevano bisogno di cure. Gesù nel v. 10 aveva portato con sé i discepoli in disparte. Ma le folle lo avevano saputo e li avevano seguiti. Si incrociano qui due compiti sempre attuali nella Chiesa: il desiderio di ritirarsi con i discepoli e la necessità di accogliere le folle. Gesù riesce a conciliare queste due realtà e a preparare tutti a ricevere il pasto eucaristico. L'ultima parte del versetto ricorda Lc 5,31, le parole dette durante il pranzo di Gesù con Levi e i peccatori: il medico serve a chi ha bisogno di cure. Gesù sta dunque accogliendo i peccatori, invitandoli e preparandoli al pasto che poco dopo avrebbe offerto nella moltiplicazione del pane e del pesce. Qui Gesù è indicato come il "salvatore", che aiuta, che in ogni tempo è presente ai suoi, perdonando e nutrendo.
12 Ora il giorno cominciava a declinare. Allora, essendosi avvicinati i dodici, dissero a lui: “Rimanda la folla, affinché essendo andati nei villaggi e campi attorno alloggino e trovino cibo perché qui siamo in un luogo deserto”. Gli apostoli prendono l'iniziativa - per la prima volta in questo Vangelo - e si rivolgono a Gesù, ma la loro proposta è per lo meno ingenua: come trovare viveri per più di cinquemila uomini nella piccole borgate vicine? Solo Gesù potrà dare una risposta a questa situazione. Il giorno che declina riecheggia l'incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus: «Resta con noi, poiché si fa sera e il giorno è già declinato» (Lc 24,29). Il riferimento alla cena eucaristica è lampante.
13 Ma egli disse a loro: “Date voi stessi da mangiare”. Essi allora dissero: “Non sono a noi più di cinque pani e due pesci, a meno che, essendo andati noi compriamo per tutto questo popolo cose da mangiare”. La risposta di Gesù non è mancanza di realismo. Richiama direttamente l'episodio del profeta Eliseo. Anche lui aveva detto a chi serviva "Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche" (2 Re 4,42). Nel nutrimento dei cento, Eliseo era rappresentato come il nuovo Mosè. Il lettore che conosceva il testo dell'Antico Testamento capiva che Gesù aveva realizzato pienamente la promessa di Jahwè: ne mangeranno e ne avanzerà anche. Al di là di questo, il dialogo tra Gesù e i discepoli serve soprattutto per sottolineare l'opera di Gesù e dei Dodici, e in filigrana l'opera della futura Chiesa. Gli apostoli avevano con loro cinque pani e due pesci. Un pane e un pesce in salamoia erano il sandwich dell'epoca e costituivano una normale cena. Il pesce inoltre era uno dei simboli utilizzati dai primi cristiani perché in greco la parola ichthus era un acrostico delle parole Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore.
14 C'erano infatti circa cinquemila uomini. Disse poi ai suoi discepoli: “Fateli coricare in gruppi di cinquanta circa”. Luca a differenza di Marco dice il numero dei presenti prima che avvenga il miracolo. Il numero è esorbitante, necessariamente simbolico. Se Eliseo con un pane aveva sfamato 100 persone, Gesù per ogni pane ne sfama 500, quindi il suo potere è 10 volte superiore a quello di Eliseo, 10 è il simbolo della pienezza, quindi Gesù supera Eliseo come il compimento supera ciò che lo ha prefigurato. Il verbo "sdraiarsi a tavola" è stato usato da Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,30) e ricorda il di mettersi a mensa degli antichi.  Luca riprende il numero dei gruppi di cinquanta da Mc 6,40, però non conosce più l'allusione ai gruppi in cui era diviso il popolo di Dio (Es 18,27). Per Luca probabilmente il numero cinquanta rappresenta la media dei partecipanti al banchetto eucaristico in una chiesa locale.
15 E fecero così e fecero coricare tutti. I discepoli e la folla obbediscono all'ordine di Gesù, tutti insieme, come in un movimento liturgico.
16 Avendo preso poi i cinque pani e i due pesci guardando in su verso il cielo (li) benedisse e (li) spezzò e (li) dava ai discepoli per por(li) dinanzi alla folla. E' questo il culmine del racconto: Gesù fa ciò che ogni responsabile di tavola compie prima del pasto: rivolge una preghiera di ringraziamento a Dio (Beraka), spezza e distribuisce il pane ai commensali. Ma alcune espressioni "alzare gli occhi al cielo" e la formula stereotipata indicano il significato proprio che questo gesto di Gesù ha ormai acquistato nella Chiesa: non ricorda più tanto l'evento originale, quanto la prassi liturgica della cena eucaristica. Senza dubbio la comunità postpasquale ha visto nella moltiplicazione.
17 E mangiarono e si saziarono tutti e fu raccolto ciò che era loro avanzato, dodici canestri di pezzi. Il racconto finisce non con la menzione di stupore o di meraviglia dei presenti, ma con il tema della sazietà e dell'abbondanza. In forma narrativa, e quindi come compimento, viene espresso ciò che era stato formulato in 2Re 4,44 come promessa divina: «Ne mangeranno e ne avanzerà anche». Il motivo della sazietà è frequente nella preghiera biblica. Jahwé manifesterà la sua bontà colmando di beni il popolo eletto. L'abbondanza promessa e attesa diventa segno dei tempi messianici. Questi ormai sono arrivati, come sta a significare la finale del racconto della moltiplicazione. I pezzi o frammenti (lo stesso termine klasma indicava nella Chiesa primitiva i resti del pane eucaristico conservato con cura e destinato agli infermi) sono raccolti in dodici ceste. Il nome (kopinos) indicava una grande sporta utilizzata dai giudei in viaggio o dai soldati per il loro equipaggiamento e razione. Il numero è simbolico: dodici indica la totalità e non manca di ricordare la totalità del popolo di Dio: dodici erano le tribù di Israele. Si può pensare anche ai dodici apostoli. E' dunque un richiamo al tema della sazietà, segno della venuta dei tempi messianici, che conclude il racconto della moltiplicazione. Dando da mangiare a chi ha fame, Gesù esplicita la sua comprensione della propria funzione messianica e così, alla sua maniera, a quanto gli suggeriva Satana nella prima tentazione (Lc 4,3-4).

Il CORPO DATO IN CIBO
Gesù si propone come cibo in quanto si offre come corpo-che-si-dona. La centralità del corpo è fondamentale perché lui possa adempiere il suo compito messianico e proporlo agli altri. Nel vangelo di Giovanni si parla del Verbo quale Luce che si fa carne. Questo mistero trova scarso aiuto attraverso i paradigmi offerti dalle formulazioni dogmatiche. Ben lo hanno avvertito tutti i mistici di ogni cultura, compresi i potenziali mistici che tutti siamo chiamati ad essere.  E ci possono aiutare anche riflessioni sul concetto di corpo, che ha preso forma, stranamente, anche attraverso approfondimenti propri del femminismo. Questo fino a poco tempo fa reclamava: “Il corpo è mio e me lo gestisco io”. Ma ulteriori studi avanzano ripensamenti interessanti, basati su tre aspetti degni di esame circa l’importanza del corpo:
a) un corpo da auto-possedere e gestire, riduce il corpo ad una cosa;
b) un corpo da dare identifica il donare con l’essere della persona, la quale in un certo senso si dissolve nel donare;
c) essere un corpo senza perdersi è il ritrovarsi nel proprio corpo come a casa propria: per farsi accoglienza nello scambio reciproco.
Quest’ultima affermazione, unita alla frase “fate queto in memoria di me”,  potrebbe indicare che Gesù si offre in un corpo pronto a donarsi, ma che chiede lo scambio del dono.

PREGHIERA
Gesù, tu mi indichi una via maestra per amare, rispettare e donare il mio corpo. Ma, come sempre, so che non ce la farei mai senza implorazione,
Non m’interessano i devozionalismi cultuali, anche se non voglio disprezzare nulla, perché riconosco di essere nei limti della storia.
Come te, come tanti altri, imploro l’aiuto del Padre che è nei cieli. Perché sono convinta che solo ciò che trascende la temporalità illumina la temporalità stessa.  

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