venerdì 19 luglio 2013

XVI DOMENICA T.O. anno C

21 luglio 2013 XVI DOMENICA T.O. anno C
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Col. 1, 24-28
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Luca 10, 38-42
38 In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39 Ella aveva una sorella di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Marta, invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c’è bisogno. ria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.
PREMESSA
- L’episodio che Luca racconta si colloca dopo la parabola del Buon Samaritano e riprende in altro modo la stessa questione, vissuta vivacemente in seno alla sua comunità in un periodo di accelerazione nella crescita.
- Le poche pennellate con le quali Luca riproduce la scena di Gesù presso  Marta e Maria in un primo momento appaiono veridiche. Eppure dietro ad esse si nasconde il filtro della tradizione orale vissuta in seno alla comunità, sicché l’episodio non si può riportare  ad un preciso fatto.
La mancanza di assoluta attendibilità storica sorprende? Se così fosse, ci si comporterebbe da persone rimaste con l’appetito di racconti ‘veri’ dei quali i bambini non dubitano, appagati come sono dell’alimentazione della loro fantasia. Per persone adulte la verità dovrebbe risultare, più che dai fatti, dalla loro valenza simbolica: è questa che li illumina del’unica verità alla quale anela il cuore umano. Non si può restare fissi ad una concezione mitologica della storia quando si è verificato un marcato trapasso dal tipo di società nutrito di mitologia a quello di società improntato alla pura ricerca della verità. Non è auspicabile che nella storia si chiuda il capitolo dei racconti, ma che il loro fascino sia visto per quello che è: pertinente alla sfera dell’immaginifico, che è fondamentale a livello antropologico e spirituale.
- Mi riservo di enucleare nella conclusione spunti personali che aiutino a sfuggire alle interpretazioni stereotipe ancor oggi dominanti sulla questione. Per anticipare una di esse ecco una  prima osservazione che nasce dall’evidenza: mentre nella parabola del samaritano si accennava ad una soluzione del dilemma tra il dire ed il fare a vantaggio del fare, nel racconto che leggiamo oggi pare risulti in vantaggio il dire, anche se attenuato nei toni (secondo lo stile compromissorio, che dà e non dà preminenza ad una cosiddetta ‘chiamata privilegiata’ alla sequela di Cristo).
ANALISI DEL TESTO LUCANO
38 Ora, mentre essi erano in cammino, egli entrò in un villaggio; una donna di nome Marta lo accolse. 39 Ed ella aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
Il villaggio non è indicato con un nome preciso, ma sappiamo che si tratta di Betania. Lì Gesù trova accoglienza nella piccola casa a pianterreno, di cui ormai è padrona Marta (il nome aramaico di Marta significa padrona). Le due sorelle dell’amico di Gesù, Lazzaro, erano solite, anche dopo la morte del fratello, offrirgli un ambiente familiare.
Nella casa mediorientale non esistono le sedie, si sta seduti per terra. Essere seduti ai piedi di qualcuno significava accoglierlo ed ascoltarlo. Ad esempio c’è Paolo che dice di essere stato istruito “ai piedi di Gamaliele”, oppure nel Talmud si dice: “sia la tua casa un luogo di convegno per i dotti; impolverati della polvere dei loro piedi e bevi con sete le loro parole”. L’atteggiamento di Maria non è né di adorazione né di contemplazione: lei ascolta Gesù e si comporta da discepola. La parola da ascoltare in greco è chiamata logos e si riferisce, non soltanto all’insegnamento attraverso la parola, ma soprattutto al suo contenuto, il quale non può non avere risvolti nella pratica.
[Nelle divagazioni di un esegeta trovo la descrizione poetica di quegli incontri, che mi piace trascrivere, anche se parzialmente: - in queste soste Gesù ritrovava i colori e gli odori della sua casa, collocata su a Nord, a Nazareth o a Cafarnao; era stanco dell’accalcarsi attorno a lui della folla che lo ascoltava, ma era esigente; e poneva domande che il più delle volte erano tranelli. Quando si stancava, Gesù salutava i suoi e si allontanava fino alla valle del Cedron, a pregare. Lì sedeva, molto probabilmente su un sasso, all'ombra di un ulivo secolare; poi alzava lo sguardo dalla terra assetata, e guardava la sua città, avvolto in un oscuro presentimento di sconfitta, di amante deluso, di morte].   
40 Marta era assorbita per il molto servizio; fattasi avanti, disse: «Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti!».
Ecco far capolino il tema dibattuto nella comunità di Luca: la diaconia nel suo duplice aspetto, di servizio in funzione della diffusione del vangelo e di servizio materiale, appesantito dalla grande affluenza di poveri alle mense. C’erano divisioni tra i fedeli di origine greca i quali lamentavano che le loro vedove fossero messe in disparte, e quelli di origine giudaica tra i quali prevaleva la concezione di un servizio della Parola distinto e di carattere prioritario rispetto al servizio delle mense.
41 Ma il Signore, rispondendo, le disse Marta, Marta, ti affanni e ti agiti per molte cose;
Il doppio vocativo Marta, Marta, tipico dell'Antico Testamento (cf. Gn 22,1), è utilizzato da Luca anche altrove (At 9,4; 22,7 ecc.).
Nelle parole poste in bocca a Gesù c’è tutto un significato simbolico: come Marta, anche i discepoli durante la missione si erano preoccupati di molte cose; era necessario far chiarire dallo stesso Maestro che la cosa più importante è quella di avere i nomi scritti nel cielo, cioè di essere conosciuti ed amati da Dio (Lc 10,20).
Mentre Luca non esita ad affermare che la priorità riguarda l’intimo rapporto con Dio, alimentato dalla contemplazione dell’ascolto umile e costante, gli esegeti di ieri e di oggi argomentano, chiariscono, dimostrano…; un modo tipico del dire e nel medesimo tempo non-dire. Ecco uno di questi ragionamenti che a molti pare convincente: la priorità non è di merito, bensì di fatto, di causa-effetto; lo spirito, irrobustito per avere attinto all’ascolto, diviene idoneo a profondersi nel servizio ai fratelli; non è il servizio materiale che Gesù biasima, ma l'affannarsi, il preoccuparsi in modo ansioso; et similia…
42 ora, c'è bisogno di una sola cosa. Maria, infatti, ha scelto la parte buona, che non le sarà tolta.
Di parte migliore si  parla nei salmi 16 e 119, nei quali ai fa scaturire il bene dalla fonte divina e si stimola alla cura della Parola e a pre-servarla nella sua integrità.
Fa eco al monito posto in bocca a Gesù la parabola del buon samaritano, dove il prete ed il levita sono talmente presi dai loro compiti religiosi da dimenticare l'essenziale del loro servizio, la compassione di Dio. Se Maria abbandonasse il suo atteggiamento di preghiera in presenza di Dio, non scoprirebbe quanto sia importante il dare la parola di conforto agli sfiduciati.
Per Luca, preoccupato di dare una formazione spirituale alla sua comunità, Maria concorda maggiormente con l’atteggiamento del Servo di Dio, poiché, come il Servo, lei si trova in atteggiamento di preghiera. Anche Gesù assume il ruolo di servo, cioè di Servo annunciato in Is. 50,4: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati”.
CONCLUSIONI PERSONALI
- E’ stato detto: le prime due letture si illuminano a vicenda nel confronto. Ma non meno illuminante è il confronto con la lettura di Paolo, di cu Luca era discepolo. Forse leggiamo Paolo attraverso l’ottica delle formulazioni dogmatiche, ma egli vuole dire semplicemente che sopporta tante sofferenze nell’annuncio e che tale carico non gli è pesante per la fede e la gioia di comunicare il mistero di Dio attraverso opere di bene.
- La soluzione della questione del rapporto tra vita contemplativa e vita attiva ci è stata data a iosa da sempre, ma in maniera conciliante, forse ipocrita (in buona fede!). Allora tentiamo di fare chiarezza.
Non è tanto la chiesa ( e le chiese) a volere negare che il ruolo di servizio della Parola di fatto genera un privilegio rispetto all’umile servizio materiale. E’ soprattutto la gente, nella sua generalità, a voler contare su persone di garanzia in ordine a tutto ciò che concerne il problema per eccellenza: la propria salvezza, o comunque la si voglia chiamare; si aspira a fornirsi di una garanzia, mediatrice della Verità sull’essere umano. Per esemplificare basti accennare al furore fanatico di fronte ai preti, tanto più se occupanti ruoli elevati, a persone ‘consacrate’ e quindi diverse dal comune modo di essere, di persone carismatiche da idolatrare; un furore che investe tutti – atei e credenti DOC in prima fila -. E’ uno scempio che non so come si possa evitare, tale e tanto è l’intreccio con la disponibilità offerta dai ruoli di prestigio. Il prestigio di non pochi eterni leader politici di cui ci lamentiamo impallidisce di fronte a quello delle persone ‘religiose’, dall’umile suorina ai vari don e padri, a monsignori, vescovi e su-su fino ai papi.
E, per favore, non si dica che i problemi sono stati risolti dallo stesso Gesù: io, ad esempio, lo nego, da credente nell’eccezionale carisma  di Gesù verso il quale è orientata tutta la mia vita.
- Invece! C’è un invece, che è il benvenuto: costituito dai mistici.
Qui ne avrei una folla da citare e non posso essere selettiva: perciò ne cito alcuni quasi a caso.
Cominciamo da Meister Eckhart, il grande mistico domenicano del Medio Evo, che dà una simpatica interpretazione dell’episodio di Marta e Maria. Ecco come sfugge ad ogni teorizzazione: Marta sapeva già come lavorare e vivere in presenza di Dio; Maria non sapeva e stava imparando, e per questo non poteva essere interrotta!
Il frate carmelitano Giovanni della Croce, caposcuola in campo mistico, era ben attivo: in poco più di 10 anni percorse a piedi nella Spagna 27.000 chilometri.
Teresa d'Avila non rimaneva mai ferma, occupata com'era nella fondazione di tanti monasteri. Da lei voglio estrarre qualche citazione tra le meno estasianti, ma che denota il suo parlare franco e schietto. In Cammino di perfezione, Città Nuova 1980 leggiamo: Se ambedue le sorelle fossero rimaste assorte, non ci sarebbe stato nessuno che desse da mangiare all’Ospite… (p.114); la contemplazione è un mero dono di Dio. E siccome non necessaria alla salvezza, né Dio la richiede in dotazione aggiuntiva, non tema [l’anima] che qualcuno venga a domandarglierla… Io sono stata quattordici anni senza poter fare neanche meditazione, senza abbinarla alla lettura…  In fondo cosa ne sappiamo noi se le delizie di cui sopra provengono da Dio o da demonio? (pp.112-113). …Cercate di farvi un concetto esatto di Dio, ricordando che egli non bada a tante minuzie… (p.245).
Giacomo Cusmano (1880), umile uomo che temeva una possibile aureola dopo morte (che invece gli hanno pervicacemente posto in testa), fondatore dell’Opera nella quale ho fatto la mia esperienza di vita religiosa per quindici anni, in un tempo di carestia che provocava a Palermo almeno un morto per fame al giorno, percorreva ogni giorno l’intera città bussando alla porta dei ricchi e chiedendo, non soldi, non pasti, ma un semplice boccone tolto da ogni singolo piatto (per tener vivo il ricordo ad ogni boccone) e, fatto il giro, ripercorreva la città in cerca degli affamati a cui distribuirli: bocconi - vera eucaristia! La frase che ripeteva continuamente, contemplazione nell’attività, era tutto il suo essere.

Nessuno dei mistici ha risolto il problema in via teorica. Ma tutti hanno visto brillare il volto invisibile di Dio, riflesso nel Crocifisso, nel misero, nel lebbroso, nell’emarginato.

Nessun commento: