venerdì 17 giugno 2011

“Il Regno di Dio patisce violenza”

A volte è difficile cogliere il giusto senso di frasi celebri, come questa che nella Bibbia conclude la narrazione dell’episodio fondamentale della storia di Israele, in cui vediamo Giacobbe in lotta con Dio per una notte intera, segnata alla fine da una ferita al femore che lo renderà zoppicante, ma che strapperà una benedizione per il nuovo popolo, fatto erede del ‘Regno’ e cioè dell’assidua presenza divina.
Certamente per capire la Bibbia bisogna entrare nell’atmosfera specifica, tramite una preparazione specialistica. Ma se si porge al popolo con correttezza la quintessenza del nocciolo della verità, forse non è difficile smarrire profondi significati in maniera semplice.
Cosa significa lottare con Dio?
Torna il tema della volontà, tanto malintesa oggi ancor più di ieri, in epoca che punta sulle potenzialità del soggetto da far emergere. Il nodo da sciogliere è proprio nella parte che spetta all’io. E’ Dio a volere una creatura in un certo senso in competizione con Lui. Ecco: il resistere nel progetto di realizzare un destino in cui l’io diventa un noi potenziato dal divino, trasforma il cammino storico, sempre tortuoso, in un itinerario sovra-storico.
La violenza di cui si parla è la resistenza, non l’attacco; che è di Dio stesso. Il duello ‘corpo a corpo’ dà l’idea di quella che mi piace chiamare voglia di incarnazione di Dio …
Una nota personale: a me, per entrare nello spirito della frase, basta puntare sul fatto che è Dio per primo a voler entrare dentro di me. So che non dà luogo a realizzazioni di sorta cedere alla mollezza della vita tranquilla, mentre mi ritrovo di fronte alla possibilità di essere più grande di me stessa, lasciandomi trasportare dal fascino dell’immortalità.
Ausilia  

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