domenica 20 maggio 2018

VI DOMENICA DI PASQUA


Gv15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 9 “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore. 10 Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Vi ho detto questo affinché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. 13 Nessuno ha amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. 1 Voi siete miei amici, se farete quello che vi comando. 15 No vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone: ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio ve l'ho fatto conoscere. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho inviati affinché andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto rimanga. Perché tutto quello che chiediate al Padre nel mio nome ve lo conceda. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.

a) INTRODUZIONE
Questo testo fa parte del discorso di congedo, fatto nell'ultima cena consumata dal Maestro coi suoi, prima di consegnarsi alla morte. Un discorso tutto sull'amore e che molti esegeti considerano il suo testamento d’amore.
La scorsa domenica la liturgia invitava a riflettere sulla sua esortazione a rimanere in Lui, come tralci in una vite; oggi, la stessa esortazione è a dimorare in Lui; non ci sono più immagini né simboli, ma l'invito a fare di Dio la propria abitazione.
E’ facile banalizzare questi termini; ma il discorso si fa concreto nella consegna finale: 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati.
Il brano mette fortemente in luce l’esigenza che tra i discepoli si instauri un rapporto d’amore. Questo viene presentato come dono che scaturisce dal Padre e che prende forma nella persona e nell’opera di Gesù, per poi comunicarsi ai discepoli. In modo metaforico questo amore viene chiamato ‘comandamento’ (al singolare e al plurale). In realtà, l’amore vicendevole a cui i discepoli sono chiamati, non è un precetto in senso proprio, bensì un’esigenza interiore: l’amore tra il Padre e il Figlio trasborda e si irradia nell’umanità e a ciascuno è dato di esserne partecipi.
Tale amore ha un nome particolare: φιλία, amicizia.
A partire dall’inizio dell’Ultima cena (13,1) ricorre spesso un altro sostantivo: agapê, amore, molto raro nella grecità classica, mentre nel NT è divenuto un termine tecnico, usato soprattutto da Giovanni per esprimere l’amore gratuito e disinteressato di Dio, e di riflesso quello realizzato dal credente in risposta al dono di Dio.
Nell’AT il concetto di amicizia ricorre in Genesi a proposito di Abramo, in Esodo a proposito di Mosè e nel libro ‘La Sapienza’ in riferimento all’atto creativo.
Proprio in quanto amici, i discepoli ricevono da Gesù la rivelazione dei segreti di Dio; espressione, questa, che non fa riferimento a nozioni astratte, ma indica la prerogativa divina dell’amore. Gesù ne è il rivelatore, non perché ha manifestato la natura di Dio in senso ontologico, ma perché ha dato un volto umano a Dio che, nella sua natura profonda, è amore. L’amicizia, pur implicando reciprocità, non esclude che l’iniziativa provenga da una delle due parti: in questo caso da Gesù. Questi infatti chiama i discepoli philoi, amici, in quanto compiono il suo comandamento dell’amore.
Il rapporto di amicizia che lega i discepoli al Maestro non dipende da una loro scelta spontanea, ma è frutto del dono gratuito e della libera iniziativa di Gesù, che li ha scelti (da eklegesthai), e li ha costituiti (da tithênai),termine tecnico che significa l’affido di un compito speciale).

b) ANALISI DEL TESTO
9 Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore.  
Il brano, Con un evidente legame al v. 8, si apre citando il Padre. Anche qui è Lui l'attore principale: dal suo amore per il Figlio proviene quello per i suoi discepoli.
Con la ripetizione dell'appello rimanete nel mio amore la richiesta si fa più specifica e profonda.
10 Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
L'amore qui non è un sentimento o un'esperienza mistica, ma la comunione delle volontà: Gesù incita i suoi a restare uniti obbedendo ai suoi comandamenti; e il comportamento di Gesù è la fonte di quello dei credenti.
11 Vi ho detto questo affinché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena.
La gioia è un tema presente in diversi passi del testo giovanneo: essa deriva dal compimento della salvezza. Gesù la sperimenta perché ha compiuto l'opera che il Padre gli ha affidato, ed è questa gioia che egli dona a chi accoglie il suo amore.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati.
L'enunciazione del comandamento è la stessa espressa in 13,34, in cui si parla di comandamento nuovo. Giovanni, accentuando l'aspetto etico dell'amore, esclude un'interpretazione ideale, mistica o gnostica; basti ricordare che lo stesso evangelista si era così espresso in 1Gv 3,18: amare non a parole né con la lingua, ma nei fatti e in verità.
13 Nessuno ha amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici.
Questo versetto riprende un detto diffuso nel mondo antico come sentenza. Ma qui Gesù sta parlando di se stesso: il testo suggerisce che solo l'amore ha spinto Gesù a morire sulla croce; guardando all'amore dimostrato da Lui - sembra dire Giovanni - i credenti troveranno il coraggio per essere fedeli alla pratica dell'amore fraterno.
14 Voi siete miei amici, se farete quello che vi comando.
Questo versetto e il seguente riprendono il termine phíloi, amici, che nell'AT era riservato ad Abramo e a Mosè e la tradizione sapienziale ne aveva esteso il senso.
15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone: ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio ve l'ho fatto conoscere.
L'affermazione che leggiamo in questo versetto sembra audace; infatti sorprende la contrapposizione del termine ‘amici’ al termine ‘servo’, che nella Bibbia in genere ha una connotazione negativa.
In realtà il testo del quarto vangelo si propone di stabilire un forte legame tra conoscenza e amore; e di precisare che Gesù ha ascoltato dal Padre quale deve essere il legame di amicizia tra Lui e i discepoli.
16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho inviati affinché andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto rimanga. Perché tutto quello che chiediate al Padre nel mio nome ve lo conceda.
L'iniziativa divina affermata in questo versetto è in linea con la tesi del settimo capitolo del Deuteronomio, dove si afferma che Dio ‘sceglie gratuitamente Israele’.
6 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho inviati affinché andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto rimanga. Perché tutto quello che chiediate al Padre nel mio nome ve lo conceda.
Come Dio ha scelto Israele per offrire la sua salvezza a tutti i popoli (cfr. Isaia e Sal 87), così Gesù sceglie i suoi (tutti i discepoli, non solo gli apostoli) perché portino frutto. Il valore del frutto è superiore a quello della predicazione o della fedeltà ai comandamenti di Gesù, perché coincide con l'irradiamento che la loro fede e il loro amore avranno nel mondo.
17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Chiude così la pericope, tutta centrata nel tema dell'amore.

c) RACCOLTA da ESEGETI ‘spirituali’ (attraverso selezione nel contenuto e nella forma, onde facilitare la lettura)
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Per comprendere l'amore di Dio non bisogna partire da se stessi, dalle proprie speculazioni teoriche, sentimenti o psicologia, ma da Dio stesso. La Bibbia è il documento privilegiato per comprendere tale amore; essa infatti non è altro che la narrazione della vicenda storica dell'amore di Dio per gli esseri umani. Pagina dopo pagina, si scorge un Dio che sembra non darsi pace finché non trova riposo nel cuore umano. Si potrebbe parafrasare, invertendo i termini, Agostino d’Ippona: Inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te.
Davide Maria Turoldo, prete poeta, così si esprime: Dio si fa mendicante di amore. In verità, mentre Egli stende la mano per chiedere amore, lo dà. E’ spirito che scende nella materia, luce che penetra nelle tenebre per dare vita, spiritualizzare, elevare e salvare.
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Giovanni è un fiume in piena nel cercare di esprimere l'intensità dell'esperienza fatta nell'incontro con Gesù; si è adoperato a rendere visibile e sperimentabile, l'invisibile; ha fatto conoscere l'amore di Dio nel rapporto con gli altri; ha aperto la via per conoscere tale amore.
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Bisogna credere l'Amore! Sì, perché l'amore che è in noi rimane sempre la goccia di un infinito oceano, che si infrange in noi, diventando fragile per non schiacciarci; che anche ci tormenta, si nasconde, ci scandalizza, sino al punto che il cuore si pone la domanda radicale: ma dov'è l'Amore, quando accadono tragedie di ogni tipo? Come è possibile credere l'Amore quando l'essere umano arriva a vertici di durezza e di crudeltà?.
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Il comandamento di Gesù non è un imperativo etico affidato alle forze umane: è il dinamismo nuovo generato nel cuore umano dall'accoglienza dell'amore del Padre: chi si lascia amare dal Padre come Lui, ama gli altri come Lui.
Tommaso d’Aquino parla dell’amicizia quale vertice dell'amore in senso verticale ed in senso orizzontale. E fa questo ragionamento: Dio potrebbe permettersi di giudicare e distinguere gli esseri umani tra buoni e cattivi (in quanto conosce le intenzioni di ogni cuore); ma è paradossale che l'essere umano, arrogandosi un diritto che non ha, si permetta di sostituirsi a Lui, ergendosi a giudice e discriminatore. Anzi fa ancora peggio: preferisce il suo Dio a quello degli altri, e in nome di questo Dio giudica, sentenzia, condanna, discrimina...
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Riporto parte di alcune interviste fatte al professor Rob Faesen, docente presso la Facoltà di Teologia e Scienze Religiose dell’Università Cattolica di Lovanio e presso l’Università di Anversa. Si tratta di un esperto dei grandi mistici e mistiche del Trecento e del Quattrocento.
- Professor Faesen, Lei è specializzato in letteratura mistica dei Paesi Bassi e delle Fiandre. Da dove viene questo interesse o passione?
Faesen: Inizialmente, questo interesse nacque dall’incontro con diverse persone che mi hanno fatto conoscere con grande entusiasmo la letteratura mistica. In particolare, desidero ricordare Padre Albert Deblaere, che è stato professore alla Gregoriana di Roma. Era quasi cieco, ma aveva uno sguardo spirituale e intellettuale molto profondo sulla letteratura mistica. E man mano che venivo a contatto con i testi degli autori mistici dei Paesi Bassi, come Ruusbroec, ne restavo sempre più affascinato. Qui ho scoperto scrittori per i quali Dio è veramente Dio, e che osavano prendere molto sul serio l’incontro tra Dio e l’essere umano. Sono autori che nello scrivere, pensare e vivere hanno esplorato la profondità abissale dell’amore di Dio; amore non quale ‘sensazione’, ma quale vera e propria base senza limite dell’esistenza.
- Qual è la specificità della mistica dei Paesi Bassi?
Faesen: Si dice che il cistercense del XII secolo Guglielmo di Saint-Thierry, sia stato il primo autore mistico dei Paesi Bassi. Anche se scriveva in latino, ha effettivamente aperto la strada alla letteratura mistica in lingua olandese. Jan van Ruusbroec dice che noi esseri umani, siamo essenzialmente rivolti all’altro-da-noi, e quindi a fortiori all’Altro, con la maiuscola. Nell’incontro con l’altro come altro, troviamo finalmente la felicità. L’egocentrismo, il riposare in noi stessi non dà la felicità. La mistica tipica è quella per cui si fa radicalmente l’esperienza dell’amore abissale, vertiginosa, base divina di ogni amore.
- Come i grandi Padri della Chiesa, Jan van Ruusbroec ha anche combattuto contro le eresie del suo tempo. Che tipo di eresie c’erano nei Paesi Bassi nel XIV secolo?
Faesen: Non direi che Ruusbroec fosse un cacciatore di eretici; ma ha combattuto con passione contro alcune idee sbagliate, principalmente quelle che venivano sperimentate nei gruppi chiamati ‘dello Spirito Libero’. Storicamente non sappiamo molto su come questo movimento fosse in realtà. Pare che fosse un movimento sciolto, che aveva originariamente un’autentica anima mistica, vale a dire una forte coscienza di essere profondamente uniti all’amore divino. Loro credevano di aver superato quella fase della vita spirituale, e che quindi erano diventati liberi. Jan van Ruusbroec ha fondamentalmente confutato questa tesi, non riducendo i suoi avversari al silenzio, ma mostrando che la loro visione era viziata. E il nucleo delle sue argomentazioni giunge a dimostrare che, nello sviluppo spirituale umano, il criterio è l’amore.
- La più profonda unione con Dio è quella dell’amore, e come si potrebbe essere uniti con Lui nell’amore, se non ubbidendo, ad esempio ai suoi comandamenti? La vita mistica crea l’etica: la cura per il prossimo e l’impegno concreto non sono superflui, al contrario, aprono le porte alla scoperta della sua profondità.
Faesen: In realtà la letteratura mistica in lingua olandese comincia con due autrici, vale a dire Hadewijch e Beatrijs. L’opera di Hadewijch è veramente grande: oltre alle sue lettere conosciamo anche le sue visioni e le sue belle poesie, che originariamente venivano cantate. Appartengono al vertice della letteratura europea. Jan van Ruusbroec ha conosciuto i testi di Hadewijch. Lui la cita di tanto in tanto, ma senza menzionarne il nome. Stranamente Hadewijch è storicamente del tutto sconosciuta; non sappiamo nemmeno chi fosse. Di solito si dice che fosse una beghina, ma avrebbe potuto essere anche una monaca cistercense, come l’altra mistica a lei coeva e corregionale, Beatrijs di Nazareth, di cui abbiamo un breve e bel trattato di mistica (Sette maniere di amare). Hadewijch e Beatrijs appartengono all’affascinante movimento di donne mistiche del XIII secolo (mulieres religiosae).
- Qual è stato il ruolo o l’influenza dei tedeschi o piuttosto dei mistici renani, come Ildegarda di Bingen (circa due secoli prima di Ruusbroec) e Meister Eckhart?
Faesen: Mi sembra difficile considerare insieme Hildegard e Eckhart, anche se entrambi sono esponenti di una teologia contemplativa. Nella vita intellettuale del tardo Medioevo, questa dimensione contemplativa diventava a mano a mano sempre meno evidente. E mi sembra che Eckhart, nel XIV secolo, ha voluto precisamente fare un tentativo di inserire nuovamente la contemplazione radicale nel pensiero accademico cioè nel posto che gli spettava.
- Il tentativo di Eckhart di integrare la dimensione contemplativa in quella intellettuale, apparentemente non fu del tutto riuscito. Due secoli prima, ai tempi di Hildegard, questo era diverso. Un esempio significativo: i monaci dell’abbazia di Villers avevano una serie di domande teologiche, e per questo scrissero una lettera alla visionaria Hildegard, non ai docenti dell’Università di Parigi.
Questi autori, spesso poco conosciuti, sembrano appartenere al passato. È così?
Faesen: In un certo senso è vero: quando li ascoltiamo, sentiamo una voce dal passato. Una voce che suona diversa rispetto a quelle del nostro tempo, forse strana, insolita. E mi sembra giusto non scavalcarla troppo in fretta. Perché questi scrittori sono in grado – proprio perché così ‘strani – di aprire i nostri occhi a dimensioni che sono inusuali nella nostra epoca, ma non per questo sono meno importanti. Una di queste dimensioni è il grande rispetto per la persona umana. I mistici cristiani dei Paesi Bassi di allora aveva una reverenziale attenzione per la persona umana, perché ciascuno ha una vocazione molto speciale ad amare Dio.
- Oggi c’è una fioritura di spiritualità orientali e pratiche come il buddismo e il Reiki. Questo significa che le persone, attratte dall’esotico, stanno dimenticando le proprie radici?
Faesen: Questo fenomeno può essere visto in due modi. In primo luogo, penso che sia un segnale che la vita interiore delle persone non è completamente persa. La nostra cultura contemporanea è fortemente rivolta all’esteriore, e si può vedere questo interesse come un contro-movimento. Apparentemente queste persone sentono che c’è una dimensione più interna, che vale la pena di essere scoperta. In secondo luogo, può essere davvero un segnale che semplicemente non si conosce la tradizione spirituale cristiana. Secondo la mia maniera di vedere la tradizione cristiana è altrettanto affascinante, impegnativa e radicale. Quello che si cerca nelle tradizioni orientali (o per meglio dire: nella rappresentazione occidentale di queste tradizioni) è già presente anche nella tradizione cristiana.
- Si prevede di fare qualcosa per rendere questi mistici più noti al grande pubblico?
Faesen: In realtà succede già. La società Ruusbroec dell’Università di Anversa esiste dal 1925, e il suo primo compito è uno studio scientifico dei testi spirituali e mistici dei Paesi Bassi. Ma fin dall’inizio, si è cercato di renderli conosciuti anche in ambienti più ampi e ciò accade anche oggi. Ci sono molte iniziative per far conoscere i testi mistici alle persone che sono interessate. Ad esempio, ogni estate nella Abbazia di Drongen (nei pressi di Gand), viene organizzata da oltre quindici anni un settimana di studio sulla letteratura mistica. Ci sono ogni anno circa un centinaio di partecipanti. Relativamente nuovi sono invece gli inviti a volte inattesi provenienti dall’estero. Pochi mesi fa, per esempio sono stato invitato da due delle migliori università in Cina (Nankai University, di Tianjin, e Renmin University di Pechino), e mi ha colpito quanto interesse gli studenti cinesi avessero per questi autori mistici. Tra l’altro, non era la prima volta. Nel 1998 c’è stata una simile sessione di studio su Ruusbroec all’Università di Pechino. E di recente è stata pubblicata una traduzione in cinese di alcune importanti opere di Jan van Ruusbroec nella Repubblica Popolare.
- Lei è un Gesuita, un figlio spirituale di Sant’Ignazio di Loyola. Nonostante le differenze significative tra loro, ci sono punti di incontro tra la mistica fiamminga e la spiritualità ignaziana?
Faesen: Sicuramente. Direi che Ignazio appartiene al movimento spirituale di fine medioevo della Moderna Devotio. Questo movimento non è strettamente un movimento mistico, ma ha cercato di dare alla vita interiore, quante più opportunità possibili. Si potrebbero descriverlo come un ampio sviluppo della cultura europea occidentale in cui si dava ogni giorno un grande valore alle esperienze interiori.
- Professor Faesen, lei è anche un esperto di letteratura inglese, in particolare della poesia di Gerard Manley Hopkins. Che cosa l’ha toccata nella sua opera?
Faesen: Definirmi un esperto è probabilmente esagerato! Mi piace leggere la letteratura inglese, ed ho condotto - ormai anni fa - alcuni studi su Hopkins. All’epoca mi concentrai in particolare sui suoi, così chiamati, Terribili Sonetti, poesie scritte negli ultimi anni della sua vita. Quel periodo fu molto pesante per lui, fu un tempo di dimenticanza di Dio. La cosa che più mi colpì fu il fatto che lo scrivere poesie, come pure quei sonetti, venisse da lui vissuto come un’esperienza di preghiera, una preghiera quasi impossibile, in cui si rivolgeva a Dio, che a volte veniva visto come avversario, Colui che ostacolava i suoi progetti. Mi ha impressionato il fatto che si potesse vivere la relazione con Dio in maniera più profonda dei tranquilli sentimenti religiosi. Ho ritrovato ciò in molti altri scrittori della letteratura spirituale cristiana. Per Ruusbroec il segno più evidente è l’abbandonarsi all’Altro. Ho l’impressione che Hopkins, alla fine della sua vita e nei suoi ultimi scritti, fosse alla ricerca di questo abbandono.

d) PUNTI SU CUI SOSTARE
- Scriveva Michel Quoist: dopo Gesù Cristo, amare significa essere crocifissi per l’altro..., donarsi senza misura e senza aspettare niente in cambio, e perdonare sempre come ha perdonato Lui.
- Benedetto XVI commenta così il vangelo di questa domenica:...soltanto così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano, non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte, e, con ciò, una direzione decisiva...
- Negli Atti degli Apostoli leggiamo: ...Pietro disse loro: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma, chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto... Stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano...
- Nel salmo 97, proposto dalla liturgia per questa domenica, leggiamo: Tutti i confini della terra, /  hanno veduto la salvezza del nostro Dio. / Acclami al Signore tutta la terra, / gridate, esultate con voci di gioia.
- Quante volte i cristiani (e molto più di altri i clericali...) dicono: Questo comportamento è errato; questa situazione è immorale; quella persona si trova in uno stato di peccato. E’ Dio in persona che lo dice!. Pietro giunse all'accettazione dei pagani dopo un lento processo di conversione personale che sfocia nella famosa visione di Giaffa, descritta proprio in questo capitolo 10 del vangelo di Giovanni, dove Dio gli appare dicendogli di non dichiarare indegno ciò che Dio ha giudicato degno di sé, anche se apparentemente diverso da ciò che lui poteva avere in mente.
- Liberarsi da una mentalità pregiudiziale e discriminatoria nei confronti delle persone richiede un cammino di conversione che ha il suo punto di partenza nella presa di coscienza del nostro nulla di fronte a Dio, sapendo che è Lui a prendere l'iniziativa di salvarci, e non noi ad andare verso di Lui.

e) PERSONALE - possibilmente da condividere

\ O Dio, io non so pregare. Aiutami a pregare.
\ Tu sai toccare il cuore in profondità e poiché il mio è arido, confido che Tu lo possa vivificare.
\ Fa’ che io Ti appartenga; che metta al centro le sofferenze degli altri prima delle mie.
\ Io non so perdonare, anche se fingo a me stessa di farlo. Contagiami la Tua capacità di perdonare.
\ Capisco, ma non so tradurre nel mio tessuto di vita l'equivalenza tra perdono ed Amore. Aiutami Tu.
\ Sono triste a volte nel prevedere che il mio tormentato esilio forse durerà parecchio. Non mi piace
  il concetto di rassegnazione, ma Tu puoi darmela nella qualità più alta, come tuo Dono.
\ Dammi la gioia di fare la tua volontà nell’abbandono e nella gioia. E tanto, tanto amore….



Come s’intrecciano questi colori, così noi possiamo intrecciare
e dare unità alle nostre diversità.



guardando in alto, sempre più in alto
oltre il piccolo orizzonte dei nostri limiti

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