Il tema del “pastore” è uno tra i più emblematici dell’arte
cristiana antica e la statuetta del Museo Pio Cristiano – riadattamento
settecentesco di un frammento di sarcofago – è senza dubbio la più celebre ed
evocativa tra le rappresentazioni di questo tema. Quella del pastore ‘crioforo’,
recante sulle spalle un ariete o un agnello, è un’iconografia che affonda le
radici nell’arte classica, come rappresentazione di un fedele offerente e, più
tardi, allegoria della filantropia; l’immagine fu acquisita all’arte funeraria,
tra i protagonisti delle scene bucoliche allusive alla beatitudine oltremondana
e, infine, fu ereditata dai cristiani, in rapporto alla figura di Cristo Buon Pastore e alla parabola
della pecorella smarrita: la statuetta del Museo Pio Cristiano, con lo
splendido volto apollineo, caratteristico della più antica iconografia di
Cristo, è senza dubbio una testimonianza di quest’ultima evoluzione semantica.
La Chiesa antica ha trovato nella scultura
del suo tempo la figura del pastore che porta una pecora sulle sue spalle.
Forse queste immagini fanno parte del sogno idillico della vita campestre che
aveva affascinato la società di allora. Ma per i cristiani questa figura
diventava con tutta naturalezza l'immagine di Colui che si è incamminato per
cercare la pecora smarrita: l'umanità; l'immagine di Colui che ci segue fin nei
nostri deserti e nelle nostre confusioni; l'immagine di Colui che ha preso
sulle sue spalle la pecora smarrita, che è l'umanità, e la porta a casa.
Gv10,11-18
11 Io sono il buon pastore. Il buon
pastore dà la propria vita per le pecore.12
Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede
venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le
disperde; 13 perché è un mercenario
e non gli importa delle pecore. 14 Io
sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io
conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche
quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge,
un solo pastore. 17 Per questo il
Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18 Nessuno me la toglie: io la do da me
stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il
comando che ho ricevuto dal Padre mio.
C o m m e n t o
a) PREMESSA
Il
brano che la Chiesa presenta per la IV domenica di Pasqua è tratto ogni anno dal
capitolo 10 del vangelo di Giovanni e presenta Gesù come il Buon Pastore. Per
l'anno B è proposta la parte centrale del capitolo, in cui si afferma che il
Buon Pastore offre la vita per le sue pecore e le conosce.
Quello
del pastore è un tema molto ricorrente nell'Antico Testamento. L'immagine viene
associata a quella di Dio o delle guide del popolo (re, sacerdoti, profeti) che,
come pastori, si prendono cura di Israele.
Anche
nell'antico Oriente i re solevano designare se stessi quali pastori dei loro
popoli.
Nell'Antico
Testamento Mosè e Davide, prima di essere chiamati a diventare capi e pastori
del Popolo di Dio, erano stati effettivamente pastori di greggi. Nei travagli
del periodo dell'esilio, di fronte al fallimento dei pastori d'Israele, cioè delle
guide politiche e religiose, Ezechiele aveva tracciato l'immagine di Dio stesso
come del Pastore del suo popolo: Come un
pastore passa in rassegna il suo gregge …, così io passerò in rassegna le mie
pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi
e di caligine.
Attraverso la penna di Giovanni, tale immagine viene
vista in riferimento alla chiesa, nuovo popolo di Dio. I credenti in Gesù
partecipano della stessa libertà di cui è dotato il loro pastore. Essi non lo
seguono per costrizione, ma perché hanno fatto propria la sua mentalità e il
suo modo di vivere. E qui si può percepire una critica verso il popolo giudaico,
la cui obbedienza a Dio veniva squalificata come obbedienza servile a dei
comandi imposti dall’esterno.
Quando si fa strada la dimensione universalistica del
nuovo popolo di Dio, questa riguarda tutti i credenti in Cristo, compresi i
provenienti dal di fuori del mondo giudaico [siamo ben
lontani da una estensione della universalità a coloro che appartengono ad altre
religioni e culture…]
b) ANALISI
DEI SINGOLI VERSETTI
11 Io sono il buon pastore. Il buon
pastore dà la propria vita per le pecore.
Il IV vangelo parla
sempre di Gesù il Cristo come di colui che si rivolge alla sua comunità,
rivelarndole la sua identità più profonda, quale il Padre gli ha conferita.
Nella pericope di
oggi il Risorto si presenta con l’espressione già riportata nell’Antico
Testamento: Io sono, Egó
eimi. E
il termine che in italiano troviamo tradotto con buon ha un significato
molto profondo: si tratta del termine greco kalòs, che letteralmente
significa bello, ma il cui senso indica compiutezza e perfezione.
12 Il mercenario – che non è pastore e
al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e
fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13
perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Le
pecore sono i credenti. Il lupo può essere inteso come i pericoli che insidiano
la fede della comunità cristiana, e la trascinano verso la lontananza da Dio e
dalla fede; lontananza che esclude dalla salvezza. Per questo motivo il lupo
può essere identificato come l'Avversario di Dio, nelle evocazione del passato
tragico di Israele, della sua deportazione e dispersione in mezzo agli altri
popoli.
14 Io sono il buon pastore, conosco le
mie pecore e le mie pecore conoscono me,
La
relazione tra Gesù e i credenti è di conoscenza, intesa nel senso biblico di
legame d'amore profondo.
15 così
come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
Questa affermazione sembra uguale a quella del versetto 11, ma, se sopra
significava ‘essere disposto a mettere a repentaglio la propria vita a favore
delle pecore, qui significa letteralmente privarsi della vita - atteggiamento
che ha caratterizzato tutta la missione di
Gesù sulla terra e non solo la sua passione e morte.
16 E ho altre pecore che non provengono
da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Il
discorso si allarga: Gesù non è venuto solo per Israele, ma per tutti i popoli
da radunare in un solo gregge. il tema
ecclesiale e quello cristologico sono strettamente legati, ma qui la preminenza
è data al secondo: Cristo è unico Pastore.
17 Per questo il Padre mi ama: perché
io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di
darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto
dal Padre mio.
Quest'ultima
sezione del brano si apre e si chiude con la figura del Padre. Ciò indica che
la prospettiva della morte imminente di Gesù si colloca in un orizzonte reso
possibile dalla relazione con il Padre. Nonostante il clima dell'intero vangelo
e i diversi tentativi di uccidere Gesù, la sua morte dipende solo dalla sua
volontà e dal suo amore per noi.
L’espressione greca di ‘ho
il potere di dare…la mia vita’ va tradotta con deporre, e ciò
significa che la morte di Gesù è vista nella prospettiva della resurrezione.
c) CONSIDERAZIONI
= In una civiltà agricolo-pastorale, come era quella palestinese
del primo secolo d.C., l’immagine del pastore e del rispettivo gregge era molto
più evocativa di quanto non lo sia oggi per noi, ospiti di una cultura
postindustriale, per i quali non è davvero frequente incontrare un gregge con
il suo pastore, e meno ancora immaginare che possa esistere un rapporto
tra lui e le singole pecore. Se qualcuno ha avuto la ventura di conoscere i
pastori che custodivano i loro greggi negli estesi pascoli dell’Abruzzo o della
Maremma, non se ne stupirà.
= Gli antichi chiamavano pastori anche i loro capi;
Abramo, Isacco, Giacobbe e perfino il re Davide erano considerati pastori santi,
chiamati a guidare il popolo. Ai giorni nostri è tutto il contrario: i
governanti che hanno avuto la pretesa di essere guide di popoli, hanno lasciato
brutti ricordi, sia che si trattasse di führer e di duce, ma non solo, sia che
si tratti di amabile leader carismatico.
D’altro canto i nostri contemporanei non accettano
facilmente di essere paragonati ad un gregge di pecore che sarebbe difficile
distinguere l’una dall’altra. Ognuno, anche se indossa lo steso tipo di jeans,
parla attraverso analoghi telefonini, fa le stesse cose degli altri, pretende
distinguersi, considerarsi un diverso, o un ribelle, o anche un marginale.
= Le mie pecore conoscono
la mia voce e io le conosco. Nel linguaggio semitico il verbo conoscere
si usa per dire la relazione amorosa e perfino la relazione sessuale. E’ questo
il significato profondo della conoscenza che il Pastore ha di noi. Per Lui
nessuno è solo un numero, ma ognuno ha un nome proprio, con il quale è
chiamato: Pensare che Dio sa il tuo nome e che silenziosamente ti chiama, è affascinante.
Gesù non spiega come fare ad essere conosciuti da Lui; chiede soltanto
l’ascolto della sua Parola.
= Se osserviamo attentamente le reazioni dei
bambini a questa parabola, vediamo che è proprio l'essere chiamati per nome ad
avere una risonanza molto forte in loro. E ciò neppure la pur grande tradizione
esegetica patristica aveva colto. La maggiore sottolineatura che i bambini
manifestano riguardo alla relazione pastore-pecorella, più che riguardo alla
protezione che il pastore esercita sulla sua pecora, mette in evidenza la
grande dignità del bambino. Egli certo cerca anche la protezione e ne gode; ma
non è solo passivo nel rapporto: si pone in esso con tutta la dignità di un
partner, di qualcuno cioè che percepisce la voce che lo chiama e ad essa
risponde.
= Papa Francesco, all'udienza generale in piazza
san Pietro ha raccontato la parabola del buon pastore ed ha sottolineato che essa ha
ispirato il concetto della misericordia di Dio: la salvezza c'è per tutti e non
solo per quelli che sono già stati radunati nel recinto sicuro, o per quelli
che credono di poter ‘possedere il Signore’, o di averlo dalla loro parte. Ciò
sarebbe come imprigionare anche il Signore nei nostri
schemi.
Invece il pastore sarà trovato là dove è
la pecora perduta. La misericordia verso i peccatori è lo stile con cui Dio agisce
Dio. La decisione di uscire a cercare la centesima pecora non deve scandalizzare, ma al contrario
provocare in tutti una seria riflessione su come viviamo la nostra fede.
V sec. - mosaico – Ravenna - Mausoleo di Galla
Placidia
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