domenica 20 maggio 2018

V DOMENICA DI PASQUA


V DOMENICA DI PASQUA
           Gesù  vera vite - icona russa

Gv 15,1-8
1. Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

C o m m e n t i

a) SGUARDO D’INSIEME
Il brano del vangelo di oggi è tratto da quel lungo discorso di addio, che Gesù aveva rivolto ai suoi prima di morire. In quel contesto egli aprì il suo cuore ai discepoli, manifestando loro i sentimenti più profondi, ricorrendo all’immagine della vigna.
Tale simbolismo era molto conosciuto ai tempi di Gesù. Nell’Antico Testamento Isaia parlava della vita come immagine del popolo di Israele e Dio era il vignaiolo che si prendeva cura della vite. Nel Nuovo si riprendono tali immagini, usandole in maniera cristologica.
Il discorso di Giovanni, posto in bocca a Gesù, si apre bruscamente con l’allegoria della vite e dei tralci nella prospettiva pedagogica di educare i seguaci di Cristo ad evitare che la ricerca di sé anche quando si cerca il bene degli altri. L’operare contiene sempre una realizzazione di sé che può portare ciascuno a dimenticare che il fine ultimo deve essere l’altro, e non se stesso.
Il Padre vignaiolo, avendo cura di questa vite e desiderando che faccia frutti abbondanti, interviene non solo lavorando la terra ma anche con la potatura, operazione che il contadino fa d’inverno, quando la vite non ha foglie e sembra morta: piange dove è tagliata, fino a quando la ferita guarisce e si cicatrizza.
Per i discepoli di Gesù c’è la necessità di rimanere tralci della vite. Rimanere non è solo ‘restare’, ma essere comunicanti in e con Gesù a tal punto da poter vivere, per la stessa linfa, della sua stessa vita. Ma non spetta né alla vigna né alla vite potare; solo Dio lo può fare. Per questo è assolutamente necessario che nella vita dei credenti sia presente la parola di Dio con tutta la sua potenza e la sua signoria.

b) ANALISI DEL TESTO
1. Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore.
Gesù si identifica con la vite. Aggiungendo l'aggettivo vera, Gesù sottolinea che in lui si compiono le promesse di Dio a Israele. Dopo ripetuti richiami di Dio al suo popolo e i suoi continui fallimenti, ecco che il Figlio realizza nella propria persona ciò che Dio voleva dall'umanità: che rimanesse vite pregiata, che desse frutto. Il Padre diventa qui l'agricoltore, colui che si prende cura personalmente della vigna perché porti un frutto sempre più abbondante. Così viene meglio caratterizzata la relazione personale richiesta dall'Alleanza.
2. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
In questo versetto vediamo il vignaiolo al lavoro della potatura. I verbi tagliare e potare descrivono la sua attività del vignaiolo che condiziona la fecondità della pianta.
Non c’è da esagerare sul dare un significato allegorico a questo potare e tagliare; la cosa che più conta è questo lavoro instancabile del vignaiolo perché la vigna dia un frutto abbondante (il portare frutto è uno dei motivi ricorrenti di tutto il brano).
3. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. miei discepoli.
Collegandosi alla potatura dei tralci da parte del Padre vignaiolo, Gesù assicura ai discepoli che essi sono già puri, o meglio, purificati, in quanto innestati nella vite. Sono quindi adatti per principio a portare frutto. La potatura, nell’AT, era opera del Padre, ma qui è realizzata dal Figlio mediante la Parola annunciata e praticata.
4. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.
C'è una unità all'interno della vite che va necessariamente mantenuta attraverso la reciprocità (voi in me e io in voi). Il paragone del tralcio chiarisce il perché dell'imperativo rimanete. L'immagine del tralcio viene forzata, non si sono mai visti tralci liberi di rimanere o no nella vita; tuttavia in questo modo si fa evidente la necessità per i discepoli di rimanere in Gesù per poter portare frutto.
5. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Gesù ripete qui il suo essere la vite. In questo caso però è in relazione ai tralci cioè ai discepoli, mentre prima riguardava il vignaiolo, cioè il Padre. Nel rimanere nella vite i tralci trovano la loro vera identità. I discepoli che rimangono in Cristo sono a sua immagine, come Adamo. Unito a Cristo nella vite il tralcio può collaborare alla produzione del frutto. Senza di lui non può fare nulla, questa affermazione ricorda il Prologo di Giovanni (1,3). Se il discepolo accoglie in sé l'attività di Gesù, permette all'Amore, espansivo di sua natura, di suscitare la vita.
6. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano
Secondo uno stile semitico si passa ora alle affermazioni contrarie. Il tralcio che non rimane unito alla vite viene gettato. Il principe di questo mondo viene gettato fuori (Gv 12,31). Il fuoco di cui si parla non è quello dell'inferno, ma esprime in modo vivido la morte di colui che non rimane in Cristo. Non c'è scampo: o si rimane uniti a Cristo o non si serve a niente. Questi versetti 4-6 sono nati in una Chiesa che ha fatto l'esperienza della propria appartenenza a Cristo ma anche della propria fragilità. C'è il rischio di non perseverare nella fede. La comunità di Giovanni era sottoposta a forti pressioni da parte della Sinagoga. I tralci che si staccano allora sono i cristiani di origine giudaica che ritornavano alla loro antica fede. Questo discorso però ovviamente riguarda i cristiani di tutti i tempi.
7. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Il rimanere riguarda le parole di Gesù. Le sue parole devono rimanere in noi, cioè dobbiamo ascoltare, meditare, mantenere nel nostro cuore ciò che Lui dice. Questa è una garanzia per rimanere nella comunione con Dio e la promessa per essere esauditi nella propria preghiera. Il passivo vi sarà fatto è un passivo divino. E' Dio che compirà per noi ciò che gli chiediamo. 
Non solo si instaura questa reciprocità, ma essa diventa per il Padre un motivo di gloria. La richiesta riguarda certo il portare frutto e il restare in questa situazione di sequela, di comunione grande con il Padre e il Figlio.


c) COMMENTO DI MADRE TERESA DI CALCUTTA
Il capitolo 15 di Giovanni ci avvicinerà al Cristo. Il Padre, essendo il vignaiolo, deve potare il tralcio perché dia più frutto, e il frutto che dobbiamo produrre nel mondo è bellissimo: l'amore del Padre e la gioia. Ognuno di noi è un tralcio.
Quando andai l'ultima volta a Roma, volevo dare qualche piccolo insegnamento alle mie novizie e pensai che questo capitolo fosse il più bel modo di capire che cosa siamo noi per Gesù e che cosa è Gesù per noi. Ma non mi ero resa conto di ciò di cui invece si resero conto quelle giovani suore quando considerarono quanto è robusto il punto di innesto dei tralci nella vite: come se la vite temesse che qualcosa o qualcuno le strappi il tralcio.
Un'altra cosa su cui quelle sorelle richiamarono la mia attenzione fu che, se si guarda la vite, non si vedono frutti.
Tutti i frutti sono sui tralci. Allora esse mi dissero che l'umiltà di Gesù è così grande che egli ha bisogno dei tralci per produrre frutti. Questo è il motivo per cui ha fatto tanta attenzione al punto di innesto: per poter produrre quei frutti egli ha fatto l'attacco in modo tale che si debba usare la forza per romperlo. Il Padre, il vignaiolo, pota i tralci per produrre più frutto, e il tralcio silenzioso, pieno d'amore, incondizionatamente si lascia potare. Noi sappiamo che cos'è la potatura, poiché nella nostra vita ci deve essere la croce e quanto siamo più vicini a lui e tanto più la croce ci tocca e la potatura è intima e delicata.
Ognuno di noi è un collaboratore di Cristo, il tralcio di quella vite; e che cosa significa per voi e per me essere collaboratori di Cristo?
Significa dimorare nel suo amore, avere la sua gioia, diffondere la sua compassione, testimoniare la sua presenza nel mondo.

d) PERSONALE: DUBBI e quant’altro.
Quel po’ che ho scritto riguarda semplicemente il testo lasciato da Giovanni che può sembrare anche idillico, ma che lascia tanti interrogativi aperti per chi, come me e come parecchi di voi, volendo guardare in profondità.
Sento il dovere di sottoporvi il mio punto di vista.
Bisognerebbe avere la capacità, la volontà e l’impegno di cogliere l’essenza di quella che chiamiamo Parola di Dio, e far sì che essa parli al nostro cuore come se fosse Dio stesso a comunicarcela. Però non dobbiamo ricorrere a semplificazioni.
1) Giovanni avrebbe dovuto avere un registratore per trascrivere le parole di Gesù…
2) A mio parere, la parabola della vite è frutto di un’elaborazione delle prime comunità cristiane.
3) Mi chiedo perché i preti, facendo l’omelia, ripetono quanto è scritto nel testo senza cercare di distinguerlo dalla realtà dei fatti. In tal modo agli ascoltatori della Parola di Dio non resta che prendere il contenuto alla lettera.
4) Carlo Carretto (per citare uno dei grandi maestri spirituali), diceva CHE IL DISCEPOLO DI GESÙ DEVE UBRIACARSI DI GIOIA. Per raggiungere un tale obbiettivo bisogna imparare ad avere il ‘gusto di Dio’, non senza gli aiuti necessari, pena il rischio di peccare di superficialità, inventandosi una mistica a propria misura.
Il profeta Gioele (3,1) dice che il Signore effonderà il suo spirito su ogni creatura, nessuno escluso. Ciò vuol dire che tutti possiamo permettere a Dio di operare in noi una trasformazione radicale, tale che l’acqua della nostra povertà spirituale sia trasformata nel vino della Risurrezione.
5) I miei ricordi di bambina mi sono spesso di rimprovero. Ricordo come, ancora prima di aver fatto la prima comunione, al momento della consacrazione e della comunione, mi raccoglievo, mettendo le mani davanti agli occhi per non distrarmi e… per comunicare con il ‘trascendente’, tanto mi pareva priva di senso la realtà esterna. In seguito, invece, questa esperienza si è afflosciata.
6) Talvolta penso, o forse mi illudo, che i lettori dei miei commenti vogliano crescere nelle vie dello Spirito ma che ciò sia una cosa facile, ma non è così…
Dammi, o Dio, la gioia del cuore.
Trasformami in Te, mia Linfa Vitale.
E fa’ che, anche nelle prove, resti saldo in Te il mio spirito!

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