III DOMENICA DI PASQUA ANNO B
Sieger Köder, soldato
di frontiera durante la seconda
guerra mondiale, fu prigioniero di guerra. Tornato in libertà, frequentò la
scuola dell'Accademia dell'arte e insegnò per 12 anni. In seguito divenne prete
cattolico. Gli anni del suo ministero furono fra i più prolifici.
C’è completa sinergia
fra il Köder ministro e l’artista. Usa le sue pitture come Gesù usava le sue
parabole. Rivela la profondità del messaggio cristiano attraverso le metafore,
spargendo luce e colore sulla vita e sulla storia umana. La sua pittura è
simbolica; non descrive le cose come si vedono,
ma allude senza esplicitamente dire. Il suo simbolismo non è di tipo ieratico,
come nell’arte medioevale, ovvero fino allo scisma delle chiese di Oriente e,
nemmeno, è simile a quello dell’iconologia orientale successiva. È un simbolismo
esistenziale. Da un lato, esaspera il segno, dall’altro ne fa una caricatura,
ove la forma umana è disfatta; ma i suoi simboli, pur non belli, trasportano
l’attenzione nel cuore del mistero.
Uno dei leitmotiv di
Köder è l’Arlecchino. Controparte del
robot moderno, creazione della della progettazione e della precisione,
Arlecchino simbolizza l’irrazionalità, la poesia, la libertà, il divertimento.
Arlecchino corrisponde all'arte e all'artista. In realtà, dietro la facciata
comica c’è la realtà umana. Dichiara: siamo
tutti dei matti. E Arlecchino corrisponde alla ‘stravaganza’ di Dio
nell’aver creato esseri impotenti eppure simili a Lui.
Luca 24,35-48
35 In quel tempo, di ritorno da
Emmaus, i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come
avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. 36 Mentre essi parlavano
di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!. 37 Stupiti e
spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi
nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono
proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete
che io ho. 40 Dicendo
questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41
Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. 42 Gli offrirono una porzione di pesce
arrostito; 43 egli lo prese e lo
mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: Sono
queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si
compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei
Salmi. 45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e
disse: 46 Così sta scritto: il Cristo
dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le
genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48
Di questo voi siete testimoni.
C o m m e n t o
a) PREMESSA
Le Scritture di Israele non parlavano
esplicitamente della morte e della risurrezione del Messia, ma del rinnovamento
finale del popolo di Dio, espresso in termini di risurrezione. Inoltre al tempo
di Gesù si era sviluppata l’attesa secondo cui, alla fine dei tempi, nel
momento in cui popolo sarebbe risorto definitivamente a nuova vita, anche i
giusti sarebbero risorti per partecipare pienamente alla felicità degli eletti.
Gesù, ormai considerato il Messia atteso, viene così interpretato come colui
per mezzo del quale e nel quale ha inizio il regno di Dio annunziato dai
profeti. Chi aderisce a lui mediante la fede entra già in possesso di questa
realtà escatologica, alla quale sarà definitivamente aggregato mediante la sua
risurrezione corporea alla fine dei tempi.
La risurrezione di Gesù non viene
dunque vista come il grande miracolo in forza del quale si dimostra in modo
incontrovertibile la divinità di Gesù. Al contrario essa rappresenta l’inizio
di una trasformazione di tutto il mondo, nel quale Dio fa il suo ingresso
portando quei valori di giustizia e di amore che rappresentano l’essenza del
suo regno.
b) IL VANGELO DI LUCA
Mentre Marco non racconta alcun
episodio sulle apparizioni del ‘Risorto’, Luca, in parte concorde con Matteo,
ci lascia questo racconto.
35 In quel tempo, di ritorno da Emmaus,
i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come avevano
riconosciuto Gesù nello spezzare il pane.
Questo brano segue immediatamente quello dei discepoli
di Emmaus. Essi, dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare il pane, ritornano
di corsa a Gerusalemme per raccontare agli apostoli l'accaduto. Solo dopo di ciò essi possono raccontare la propria esperienza,
sottolineando che anche loro lo hanno incontrato e lo hanno riconosciuto allo
spezzare del pane. L’evangelista sottolinea questo dettaglio perché da esso i
lettori potranno dedurre che anche a loro è possibile incontrare Gesù risorto.
36 Mentre essi parlavano di queste cose,
Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!
Dopo il preludio viene narrata l’apparizione
di Gesù agli Undici. Egli si presenta in piedi (da histêmi, stare in piedi) e li saluta con l’espressione tipica del mondo
ebraico: šalôm, eirênê, cioè pace.
37 Stupiti e spaventati
credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?
Dei discepoli si sottolinea lo stupore impaurito e la
perplessità. Per dire lo stupore e lo spavento Luca usa tre termini dal
significato molto forte: ptoeo,
spavento che atterrisce; emphobos, impaurito, intimorito, spaventato, tarasso,
con l’animo agitato (e non
si tratta di un turbamento passeggero, perché il verbo viene usato al tempo
perfetto). Il rimprovero di Gesù, al v.38, parla anche di dubbio e perplessità:
dialoghismos.
La ragione di tanto spavento, agitazione e perplessità
sta nel fatto che i discepoli immaginavano di vedere uno spirito. Il vocabolo pneuma, spirito, qui indica qualcosa di fluttuante, inconsistente, come
può essere un fantasma, o un qualcosa che pare reale, ma che di fatto non lo è.
39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono
proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete
che io ho.
I discepoli pensavano di vedere, ma non vedevano.
Il loro sguardo si è fermato all'apparenza, allo spettacolo. Il risorto li
invita a guardare scorgendo ciò che è così reale da potersi toccare.
40 Dicendo
questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Non si dice che i discepoli abbiano veramente toccato
Gesù risorto. Il verbo toccare è detto solo una volta, ma poi Gesù stesso lo
lascia cadere. Si insiste piuttosto sul guardare.
41 Ma poiché per la
grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. 42 Gli offrirono una porzione di pesce
arrostito; 43 egli lo prese e lo
mangiò davanti a loro.
Questo gesto non ha un significato
conviviale, ma vuole significare una prova della sua presenza.
L’insistenza sulla corporeità del
Risorto si comprende nel contesto di un dibattito sviluppatosi verso la fine
del primo secoIo; ed è all’origine del racconto giovanneo riguardante Tommaso,
l’apostolo che per credere voleva toccare il corpo del Signore. Anche Paolo,
che scrive alcuni decenni prima di Luca, attesta un dibattito circa le modalità
della risurrezione.
La progressività nell'offrire segni convincenti rivela
un'indubbia preoccupazione apologetica. In questa apparizione Gesù soltanto
agisce e parla; i discepoli sono fermi e silenziosi, ma di loro sono descritti
i sentimenti: sconcerto e paura, turbamento e dubbio, stupore e incredulità, infine
anche la gioia.
44 Poi disse: Sono
queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si
compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei
Salmi.:
Circa il mandato missionario è da notare l’uso de verbo ‘dovere’:
ciò che è avvenuto non è effetto di casualità, ma ‘doveva’
avvenire perché le Scritture lo avevano preannunziato. Con queste parole
l’evangelista presenta Gesù come il vero e definitivo interprete delle
Scritture.
45 Allora aprì loro la mente
all’intelligenza delle Scritture e disse:
Senza l'azione di Gesù risorto non si comprendono le
Scritture e senza l'intelligenza delle Scritture non si comprende chi Egli sia
e il significato del cammino da lui percorso. L'intelligenza delle Scritture è
un evento cristologico: Gesù è al tempo stesso l'oggetto di questa intelligenza
e Colui che ne fa dono.
Tutto questo è esplicitamente contenuto nel testo che
stiamo leggendo. Ma il discorso può essere coerentemente allargato. Senza
l'intelligenza delle Scritture la storia umana, e non solo la storia di Gesù,
resta oscura.
46 Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il
terzo giorno 47 e nel suo nome
saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati,
cominciando da Gerusalemme.
Gesù include nella ‘divina necessità’ anche la
predicazione a tutte le genti. La predicazione fa parte dell'evento cristologico.
Passione, risurrezione e missione costituiscono un solo evento. Il compimento è
la risurrezione predicata. Solo Luca colloca la missione a tutte le
genti così strettamente all'interno dell'evento salvifico.
Non si specifica chi siano i predicatori. Destinatari
sono tutte le genti: l'universalità è inclusa nell'evento di Gesù e ne
caratterizza la missione. Non c'è vera missione senza universalità. Il
contenuto della predicazione è la metanoia, la conversione della
mentalità.
48 Di questo voi siete testimoni.
C'è un cammino di salvezza in cui gli Undici sono
direttamente coinvolti. Sono loro i martyres, i testimoni
che andranno a predicare il Cristo in tutto il mondo.
Secondo Luca, Gesù durante la sua vita
terrena aveva dato numerose attestazioni del carattere universalistico della
salvezza, ma egli stesso aveva riservato la sua opera ai giudei. Solo ora, dopo
la sua risurrezione, affida ai suo discepoli il compito di testimoni: essi
saranno gli strumenti attraverso i quali la realizzazione del progetto divino,
attuato da Cristo, sarà portato a compimento mediante l’annunzio a tutte le
genti.
c) RIFLESSIONI PERSONALI
= Fa pensare il fatto che Marco,
l’evangelista più ‘antico’, cioè il maggiormente vicino ai fatti accaduti dopo
la morte di Gesù, non racconti nessuna apparizione del Risorto. Non c’è da
meravigliarsene: ciascuno dei quattro gli evangelisti si esprime, ciascuno
secondo la propria personalità e la propria formazione, influenzata da non
pochi fattori; né è da tenere in poca considerazione l’importanza dei diversi
rimaneggiamenti nella stesura dei testi.
= Ma vorrei fare un discorso
che, a partire dal fattore ‘Cristo Risorto’, valido per chi ha la fede vissuta
in una Chiesa (cattolica, ortodossa, ecc.), si dilati in considerazioni di
carattere generale, in particolare quella riguardante la domanda su che cosa è
la fede.
= Ciò potrebbe sconvolgere
una visione rassicurante della fede, per cui basterebbe seguire passo passo quanto
viene offerto dalla liturgia per credere che Dio abbia ‘detto tutto’ (non per
nulla le letture sono collaudate dall’espressione Parola di Dio).
= Ma la fede non deve essere
né cieca, né puramente razionale, né sentimentale, né sovversiva, né ritagliata
sulle nostre misure. Per un verso la fede è un contatto profondamente personale con Dio, che
penetra nell’intimo e mette di fronte a Lui in assoluta immediatezza in modo
cioè che si possa parlargli, amarlo ed entrare in comunione con Lui. Ma al
tempo stesso questa realtà massimamente personale ha inseparabilmente a che
fare sia con l’esistenza umana nella sua interezza, sia nel rapporto e
confronto con gli altri; infatti non si può vivere la fede come un fatto tutto
privato, gestito in solitudine. Come dice Rudolf Bultmann, la risurrezione non
è un evento della storia passata, suscettibile di verifica storica; è una
realtà che concerne l’essere umano nella sua concretezza, nel vivere
quotidiano, nelle scelte di vita… Teresa d’Avila, in coincidenza con la
definizione di Tommaso d’Aquino, parla di un tipo di amicizia con Dio.
Joseph Ratzinger e tanti altri tra gli studiosi, religiosi, mistici, ecc. hanno sviscerato
il tema della fede non tanto da un punto di vista teorico, quanto da quello
concreto.
= Da parte mia sento
profondamente che a) non potrei
vivere senza trovare la verità di me stessa; b) questa me la può dare solo Dio; c) la posso implorare con la preghiera; d) debbo, però, ‘sudarla’ con impegno non superficiale.
d) L’IPOTECA APOCALITTICA DELLA RISURREZIONE (cenni)
La
trama dell’apocalisse riproduce soprattutto due trasformazioni profonde della
fede in JHWH .
1) Quando
appare l’apocalittica, il regno delle ombre dello Sheol perde presto di significato rispetto alla sfera della Geenna: al posto del mondo degli inferi,
compare l’inferno, con il suo fuoco che mai cesserà di bruciare. Il dualismo
dell’apocalittica è ancora più brusco di quello dello gnosticismo o del
(neo-)platonismo. Per essa il ‘misero’ mondo materiale è contrapposto al regno
dello spirito e, infine, è del tutto rigettato.
2)
E’ soprattutto questa seconda componente ereditata dall’apocalittica che fa
gravare sulla fede nella risurrezione un tratto disumano che, dal punto di
vista della storia delle religioni, non si rinviene altrove. Questo orizzonte
mentale si mostra particolarmente soggetto a strumentalizzazioni, soprattutto
allorché la minaccia di una condanna eterna si connette alla prospettiva
secondo la quale, grazie a determinati atti eroici, si può invece sicuramente
giungere a un luogo presso Dio in cui si sarà definitivamente protetti.
Sullo
sfondo delle molteplici rappresentazioni dell’aldilà offerte dalla storia delle
religioni, la fede nella risurrezione che è sorta nell’ambito dell’apocalittica
ebraica e che, modificata, permane nel cristianesimo e nell’islam, rappresenta
un fenomeno pressoché unico, difficile da intendere. Al di fuori di questa
tradizione, è solo nello zoroastrismo (una possibile fonte dell’evoluzione del
primo ebraismo) che ritroviamo la fede in un’infinita ricostituzione dell’uomo
nella sua interezza (i riscontri qui rimangono però legati al modello dei tempi ultimi).
= La
resurrezione di Cristo non ha avuto testimoni, ha un carattere segreto: da
solo, prima che facesse giorno. Questo è un prodotto di Paolo, quel ‘funesto
cervellaccio’, come lo chiamò Nietzsche, che non comprese il messaggio
evangelico della morte dell’anima e della rinascita nello spirito e costruì un dysanghelion, una cattiva novella,
appoggiandosi a ‘quella’ apocalittica giudaica. L’apostolo scrive nella prima
lettera ai Corinti: se non c’è la
resurrezione dai morti, neanche Cristo è resuscitato, mostrando come l’idea
della resurrezione di Cristo dipenda da quella della resurrezione dai morti,
propria della mitologia apocalittica. In parallelo, l’affermazione paolina
mostra un concetto di fede, non come esperienza spirituale interiore, la cui
verità è testimoniata dalla coscienza, ma come credenza estrinseca, la cui
verità dipende dal miracolo. E ciò è quanto di più antievangelico ci sia: nel
vangelo infatti la ricerca del miracolo è sempre condannata come mancanza di
fede, adorazione della forza, dunque non di Dio ma del demonio.
La cosa è chiara proprio dalla resurrezione: proporla
come una sorta di super-miracolo per convincere gli increduli è tipico dei
falsi profeti, degli impostori. Secondo un’antica e ben documentata tradizione,
era infatti Simon Mago ad organizzare resurrezioni di morti ‘dimostrative’
della propria messianicità; ed uno dei segni della fine dei tempi sarà proprio
la messa in scena della propria resurrezione, peraltro falsa, da parte
dell’ingannatore supremo, l’Anticristo.
Davide Galliani: la risurrezione
e l’apocalittica
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