venerdì 18 maggio 2018

III DOMENICA di PASQUA


III DOMENICA DI PASQUA ANNO B
… prese (la porzione di pesce) e mangiò davanti a loro……..
Sieger Köder, soldato di frontiera durante la seconda guerra mondiale, fu prigioniero di guerra. Tornato in libertà, frequentò la scuola dell'Accademia dell'arte e insegnò per 12 anni. In seguito divenne prete cattolico. Gli anni del suo ministero furono fra i più prolifici.
C’è completa sinergia fra il Köder ministro e l’artista. Usa le sue pitture come Gesù usava le sue parabole. Rivela la profondità del messaggio cristiano attraverso le metafore, spargendo luce e colore sulla vita e sulla storia umana. La sua pittura è simbolica; non descrive le cose come si vedono, ma allude senza esplicitamente dire. Il suo simbolismo non è di tipo ieratico, come nell’arte medioevale, ovvero fino allo scisma delle chiese di Oriente e, nemmeno, è simile a quello dell’iconologia orientale successiva. È un simbolismo esistenziale. Da un lato, esaspera il segno, dall’altro ne fa una caricatura, ove la forma umana è disfatta; ma i suoi simboli, pur non belli, trasportano l’attenzione nel cuore del mistero.
Uno dei leitmotiv di Köder è l’Arlecchino. Controparte del robot moderno, creazione della della progettazione e della precisione, Arlecchino simbolizza l’irrazionalità, la poesia, la libertà, il divertimento. Arlecchino corrisponde all'arte e all'artista. In realtà, dietro la facciata comica c’è la realtà umana. Dichiara: siamo tutti dei matti. E Arlecchino corrisponde alla ‘stravaganza’ di Dio nell’aver creato esseri impotenti eppure simili a Lui.

Luca 24,35-48
35 In quel tempo, di ritorno da Emmaus, i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. 36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!. 37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho. 40  Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. 45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: 46 Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni.
C o m m e n t o

a) PREMESSA
Le Scritture di Israele non parlavano esplicitamente della morte e della risurrezione del Messia, ma del rinnovamento finale del popolo di Dio, espresso in termini di risurrezione. Inoltre al tempo di Gesù si era sviluppata l’attesa secondo cui, alla fine dei tempi, nel momento in cui popolo sarebbe risorto definitivamente a nuova vita, anche i giusti sarebbero risorti per partecipare pienamente alla felicità degli eletti. Gesù, ormai considerato il Messia atteso, viene così interpretato come colui per mezzo del quale e nel quale ha inizio il regno di Dio annunziato dai profeti. Chi aderisce a lui mediante la fede entra già in possesso di questa realtà escatologica, alla quale sarà definitivamente aggregato mediante la sua risurrezione corporea alla fine dei tempi.
La risurrezione di Gesù non viene dunque vista come il grande miracolo in forza del quale si dimostra in modo incontrovertibile la divinità di Gesù. Al contrario essa rappresenta l’inizio di una trasformazione di tutto il mondo, nel quale Dio fa il suo ingresso portando quei valori di giustizia e di amore che rappresentano l’essenza del suo regno.
b) IL VANGELO DI LUCA
Mentre Marco non racconta alcun episodio sulle apparizioni del ‘Risorto’, Luca, in parte concorde con Matteo, ci lascia questo racconto.
35 In quel tempo, di ritorno da Emmaus, i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane.
Questo brano segue immediatamente quello dei discepoli di Emmaus. Essi, dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare il pane, ritornano di corsa a Gerusalemme per raccontare agli apostoli l'accaduto. Solo dopo di ciò essi possono raccontare la propria esperienza, sottolineando che anche loro lo hanno incontrato e lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane. L’evangelista sottolinea questo dettaglio perché da esso i lettori potranno dedurre che anche a loro è possibile incontrare Gesù risorto.
36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!
Dopo il preludio viene narrata l’apparizione di Gesù agli Undici. Egli si presenta in piedi (da histêmi, stare in piedi) e li saluta con l’espressione tipica del mondo ebraico: šalôm, eirênê, cioè pace.
37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?
Dei discepoli si sottolinea lo stupore impaurito e la perplessità. Per dire lo stupore e lo spavento Luca usa tre termini dal significato molto forte: ptoeo, spavento che atterrisce; emphobos, impaurito, intimorito, spaventato, tarasso, con l’animo agitato (e non si tratta di un turbamento passeggero, perché il verbo viene usato al tempo perfetto). Il rimprovero di Gesù, al v.38, parla anche di dubbio e perplessità: dialoghismos.
La ragione di tanto spavento, agitazione e perplessità sta nel fatto che i discepoli immaginavano di vedere uno spirito. Il vocabolo pneuma, spirito, qui indica qualcosa di fluttuante, inconsistente, come può essere un fantasma, o un qualcosa che pare reale, ma che di fatto non lo è.
39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho.
I discepoli pensavano di vedere, ma non vedevano. Il loro sguardo si è fermato all'apparenza, allo spettacolo. Il risorto li invita a guardare scorgendo ciò che è così reale da potersi toccare.
40  Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Non si dice che i discepoli abbiano veramente toccato Gesù risorto. Il verbo toccare è detto solo una volta, ma poi Gesù stesso lo lascia cadere. Si insiste piuttosto sul guardare.
41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Questo gesto non ha un significato conviviale, ma vuole significare una prova della sua presenza.
L’insistenza sulla corporeità del Risorto si comprende nel contesto di un dibattito sviluppatosi verso la fine del primo secoIo; ed è all’origine del racconto giovanneo riguardante Tommaso, l’apostolo che per credere voleva toccare il corpo del Signore. Anche Paolo, che scrive alcuni decenni prima di Luca, attesta un dibattito circa le modalità della risurrezione.
La progressività nell'offrire segni convincenti rivela un'indubbia preoccupazione apologetica. In questa apparizione Gesù soltanto agisce e parla; i discepoli sono fermi e silenziosi, ma di loro sono descritti i sentimenti: sconcerto e paura, turbamento e dubbio, stupore e incredulità, infine anche la gioia.
44 Poi disse: Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.:
Circa il mandato missionario è da notare l’uso de verbo ‘dovere’: ciò che è avvenuto non è effetto di casualità, ma ‘doveva’ avvenire perché le Scritture lo avevano preannunziato. Con queste parole l’evangelista presenta Gesù come il vero e definitivo interprete delle Scritture.
45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse:
Senza l'azione di Gesù risorto non si comprendono le Scritture e senza l'intelligenza delle Scritture non si comprende chi Egli sia e il significato del cammino da lui percorso. L'intelligenza delle Scritture è un evento cristologico: Gesù è al tempo stesso l'oggetto di questa intelligenza e Colui che ne fa dono.
Tutto questo è esplicitamente contenuto nel testo che stiamo leggendo. Ma il discorso può essere coerentemente allargato. Senza l'intelligenza delle Scritture la storia umana, e non solo la storia di Gesù, resta oscura.
46 Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.
Gesù include nella ‘divina necessità’ anche la predicazione a tutte le genti. La predicazione fa parte dell'evento cristologico. Passione, risurrezione e missione costituiscono un solo evento. Il compimento è la risurrezione predicata. Solo Luca colloca la missione a tutte le genti così strettamente all'interno dell'evento salvifico.
Non si specifica chi siano i predicatori. Destinatari sono tutte le genti: l'universalità è inclusa nell'evento di Gesù e ne caratterizza la missione. Non c'è vera missione senza universalità. Il contenuto della predicazione è la metanoia, la conversione della mentalità.
48 Di questo voi siete testimoni.
C'è un cammino di salvezza in cui gli Undici sono direttamente coinvolti. Sono loro i martyres, i testimoni che andranno a predicare il Cristo in tutto il mondo.
Secondo Luca, Gesù durante la sua vita terrena aveva dato numerose attestazioni del carattere universalistico della salvezza, ma egli stesso aveva riservato la sua opera ai giudei. Solo ora, dopo la sua risurrezione, affida ai suo discepoli il compito di testimoni: essi saranno gli strumenti attraverso i quali la realizzazione del progetto divino, attuato da Cristo, sarà portato a compimento mediante l’annunzio a tutte le genti.
c) RIFLESSIONI PERSONALI
= Fa pensare il fatto che Marco, l’evangelista più ‘antico’, cioè il maggiormente vicino ai fatti accaduti dopo la morte di Gesù, non racconti nessuna apparizione del Risorto. Non c’è da meravigliarsene: ciascuno dei quattro gli evangelisti si esprime, ciascuno secondo la propria personalità e la propria formazione, influenzata da non pochi fattori; né è da tenere in poca considerazione l’importanza dei diversi rimaneggiamenti nella stesura dei testi.
= Ma vorrei fare un discorso che, a partire dal fattore ‘Cristo Risorto’, valido per chi ha la fede vissuta in una Chiesa (cattolica, ortodossa, ecc.), si dilati in considerazioni di carattere generale, in particolare quella riguardante la domanda su che cosa è la fede.
= Ciò potrebbe sconvolgere una visione rassicurante della fede, per cui basterebbe seguire passo passo quanto viene offerto dalla liturgia per credere che Dio abbia ‘detto tutto’ (non per nulla le letture sono collaudate dall’espressione Parola di Dio).
= Ma la fede non deve essere né cieca, né puramente razionale, né sentimentale, né sovversiva, né ritagliata sulle nostre misure. Per un verso la fede è un contatto profondamente personale con Dio, che penetra nell’intimo e mette di fronte a Lui in assoluta immediatezza in modo cioè che si possa parlargli, amarlo ed entrare in comunione con Lui. Ma al tempo stesso questa realtà massimamente personale ha inseparabilmente a che fare sia con l’esistenza umana nella sua interezza, sia nel rapporto e confronto con gli altri; infatti non si può vivere la fede come un fatto tutto privato, gestito in solitudine. Come dice Rudolf Bultmann, la risurrezione non è un evento della storia passata, suscettibile di verifica storica; è una realtà che concerne l’essere umano nella sua concretezza, nel vivere quotidiano, nelle scelte di vita… Teresa d’Avila, in coincidenza con la definizione di Tommaso d’Aquino, parla di un tipo di amicizia con Dio.
Joseph Ratzinger e tanti altri tra gli studiosi, religiosi, mistici, ecc. hanno sviscerato il tema della fede non tanto da un punto di vista teorico, quanto da quello concreto.
= Da parte mia sento profondamente che a) non potrei vivere senza trovare la verità di me stessa; b) questa me la può dare solo Dio; c) la posso implorare con la preghiera; d) debbo, però, ‘sudarla’ con impegno non superficiale.
d) L’IPOTECA APOCALITTICA DELLA RISURREZIONE  (cenni)
La trama dell’apocalisse riproduce soprattutto due trasformazioni profonde della fede in JHWH .
1) Quando appare l’apocalittica, il regno delle ombre dello Sheol perde presto di significato rispetto alla sfera della Geenna: al posto del mondo degli inferi, compare l’inferno, con il suo fuoco che mai cesserà di bruciare. Il dualismo dell’apocalittica è ancora più brusco di quello dello gnosticismo o del (neo-)platonismo. Per essa il ‘misero’ mondo materiale è contrapposto al regno dello spirito e, infine, è del tutto rigettato.
2) E’ soprattutto questa seconda componente ereditata dall’apocalittica che fa gravare sulla fede nella risurrezione un tratto disumano che, dal punto di vista della storia delle religioni, non si rinviene altrove. Questo orizzonte mentale si mostra particolarmente soggetto a strumentalizzazioni, soprattutto allorché la minaccia di una condanna eterna si connette alla prospettiva secondo la quale, grazie a determinati atti eroici, si può invece sicuramente giungere a un luogo presso Dio in cui si sarà definitivamente protetti.
Sullo sfondo delle molteplici rappresentazioni dell’aldilà offerte dalla storia delle religioni, la fede nella risurrezione che è sorta nell’ambito dell’apocalittica ebraica e che, modificata, permane nel cristianesimo e nell’islam, rappresenta un fenomeno pressoché unico, difficile da intendere. Al di fuori di questa tradizione, è solo nello zoroastrismo (una possibile fonte dell’evoluzione del primo ebraismo) che ritroviamo la fede in un’infinita ricostituzione dell’uomo nella sua interezza (i riscontri qui rimangono però legati al modello dei tempi ultimi).
= La resurrezione di Cristo non ha avuto testimoni, ha un carattere segreto: da solo, prima che facesse giorno. Questo è un prodotto di Paolo, quel ‘funesto cervellaccio’, come lo chiamò Nietzsche, che non comprese il messaggio evangelico della morte dell’anima e della rinascita nello spirito e costruì un dysanghelion, una cattiva novella, appoggiandosi a ‘quella’ apocalittica giudaica. L’apostolo scrive nella prima lettera ai Corinti: se non c’è la resurrezione dai morti, neanche Cristo è resuscitato, mostrando come l’idea della resurrezione di Cristo dipenda da quella della resurrezione dai morti, propria della mitologia apocalittica. In parallelo, l’affermazione paolina mostra un concetto di fede, non come esperienza spirituale interiore, la cui verità è testimoniata dalla coscienza, ma come credenza estrinseca, la cui verità dipende dal miracolo. E ciò è quanto di più antievangelico ci sia: nel vangelo infatti la ricerca del miracolo è sempre condannata come mancanza di fede, adorazione della forza, dunque non di Dio ma del demonio.
La cosa è chiara proprio dalla resurrezione: proporla come una sorta di super-miracolo per convincere gli increduli è tipico dei falsi profeti, degli impostori. Secondo un’antica e ben documentata tradizione, era infatti Simon Mago ad organizzare resurrezioni di morti ‘dimostrative’ della propria messianicità; ed uno dei segni della fine dei tempi sarà proprio la messa in scena della propria resurrezione, peraltro falsa, da parte dell’ingannatore supremo, l’Anticristo.
               Davide Galliani: la risurrezione e l’apocalittica

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