venerdì 4 agosto 2017

LA TRASFIGURAZIONE


LA TRASFIGURAZIONE - XVIII DOMENICA T.O. anno A

 

Mt 17,1-9

1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia. 5 Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo. 6 All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: Alzatevi e non temete. 8 Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti.

 

C o m m e n t o

 

La visione di Gesù trasfigurato nella gloria è sempre legata al tema della pas­sione.

Da un punto di vista iconografico la Trasfigurazione va classificata nel ciclo della Glorificazione di Cristo, prima dell’Ascensione, della quale è una sorta di anticipazione e con la quale viene spesso confusa.

La Trasfigurazione è comune a tutti e tre i vangeli sinottici ed è presentata da loro in modo pressoché identico. Matteo e Marco, però, subito dopo questa pericope aggiungeranno un ulteriore annuncio della passione.

Siamo al culmine della vita pubblica di Gesù (quindi è da ricordare l’ambientazione di un Gesù pre-pasquale.

La scena descritta appare in pendant con la preghiera nell’Orto degli olivi; in entrambi i casi, infatti, Gesù rimane con i tre apostoli preferiti per pregare con loro in disparte e sul Tabor, come nel Getsemani, e anche in questo caso i discepoli si addormentano mentre il Maestro si intrattiene con Dio. Le due scene sono parallele, con la sola differenza che l’una appartiene al ciclo della passione e l’altra, la nostra di oggi, al ciclo che culminerà  nella glorificazione

Per Agostino e Tommaso d’Aquino la Trasfigurazione è una teofania come il Battesimo.

Nell’organizzare la scena, Matteo segue la sua fonte, il vangelo di Marco, con qualche variante:  quando si parla delle vesti di Gesù, il Nostro subito aggiunge al fatto che le vesti di Gesù diventano candide come la luce e  il suo volto brillò come il sole, mentre Luca si limita a dire che “il suo volto cambiò d’aspetto”. Sono evidenziazioni di non poco conto: Gesù ha contorni epifanici; a metà del suo itinerario terreno svela il suo autentico Volto, fino ad ora celato sotto i lineamenti dell’uomo di Galilea.

Lo schema di Matteo amplia la forma di Marco con l’espressione: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Compare, così, il profilo messianico del Figlio e la filiazione va letta attraverso il fatto che ai lati del Salvatore appaiono Mosè ed Elia, rappresentanti della Legge e dei Profeti; mentre il compiacimento del Padre rimanda al Servo sofferente di cui parla Isaia.

Il luogo non è specificato: si parla solo di una montagna alta, che dal IV sec. è stata identificata con il Tabor.

- Tra gli esegeti di questo avvenimento vanno ricordati in particolare Jean-Marie Van Cangi e Michel Van Esbroeck. Essi hanno sviscerato il rapporto di questa ricorrenza con il calenda­rio delle festività giudaiche, richiamando l'atten­zione sul fatto che soltanto cinque giorni separano due grandi feste giudaiche nell’autunno: prima vi è lo Yom Kippur, la grande festa dell’espiazione; sei giorni dopo viene celebrata la festa delle Capanne (Sukkot) che dura una settimana.

Jean Daniélou invece ricolle­ga l'indicazione della data fornita dagli evange­listi esclusivamente alla festa delle Capanne, sicché la trasfigurazione di Gesù avreb­be avuto luogo l'ultimo giorno di questa fe­sta. La rela­zione con tale festa si manifesta nel testo stesso e consente una comprensione più profonda dell'intero avvenimento. Infatti i grandi avvenimenti della vita di Gesù, per i cristiani hanno un rapporto intrinseco con il calendario delle festività ebraiche. La commemorazione diventa realtà, vita, che riconduce a sua volta alla liturgia e che da essa vuol ridiventare vita.

A questa interpretazione liturgica della data se ne con­trappone un’altra, sostenuta con insistenza soprattutto da Hartmut Gese, che non reputa sufficientemente fondata l'allusione alla festa delle Capanne e legge in­vece l'intero testo sullo sfondo di Esodo 24, dove è descritta la salita di Mosè sul monte Sinai. In effetti, questo capitolo, in cui viene descritta la stipulazione dell’Alleanza di Dio con Israele, è una chiave interpretativa essenziale per l'evento della trasfigurazione. Ciò che si è realizzato nel mondo ebraico antico, ora ha suo suggello nel nuovo. Gesù è il Cristo atteso da millenni di storia dell’AT.

Entriamo ora nel testo.

Come  nel Discorso della montagna e nelle notti trascorse da Gesù in preghiera, incontriamo di nuovo il monte come luogo della particolare vicinanza di Dio; di nuovo dobbiamo pensare ai vari monti della vita di Gesù come a un tutt'uno: il monte della tentazione, il monte della grande predicazione, il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell'angoscia, il monte della croce e infine il monte dell'a­scensione; su di esso il Signore - in contrasto con l'of­ferta del dominio sul mondo in virtù del potere del de­monio, ora il potere è dato al Figlio in funzione opposta all’antecedente.

Nella ricerca di un'interpretazione, si profila, sullo sfondo dello scenario della Trasfigurazione, dapprima  il simbolismo generale del monte, non solo come luogo della salita esteriore, ma anche come luogo dell'ascesa interiore; il monte come il liberarsi dal peso della vita quotidia­na, come il respirare nell'aria pura della creazione; il monte che dà elevatez­za interiore e permette di sentire vicino il Creatore.

La trasfigurazione è un av­venimento di preghiera. Ciò che acca­de nel dialogo di Gesù con il Padre, diventa visibile: l'intima compe­netrazione del suo essere con Dio, diventa pura luce. Ciò che Gesù sa di essere nel suo intimo e ciò che Pietro aveva cercato di dire nella sua confessione, in questo momento si rendono percepibili anche ai sensi.

Qui appaiono chiaramente il riferimento alla figura di Mosè e la sua differenza. Daniele (proposto dalla liturgia odierna) aveva profetizzato la glorificazione del Cristo come espressione di potere; potere da usare come segno di sovranità imperitura ed espansiva a tutti:

Gli furono dati potere, gloria e regno / tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: / il suo potere è un potere eterno, / che non finirà mai, / e il suo regno non sarà mai distrutto.

Leggiamo qualche versetto:

3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

La Legge e i Profe­ti parlano con Gesù di Gesù. Mosè ed Elia sono figure e testi­moni della passione. Parlano con il Trasfigurato di ciò che hanno detto sulla terra, della passione di Gesù; ma, mentre ne parlano con il Trasfigurato, diventa pa­lese che questa passione porterà salvezza, perché è permea­ta della gloria di Dio; e la passione viene trasformata in luce, in libertà e gioia.

E tuttavia Pietro prende la parola, anche se – dicono alcuni esegeti - forse non sapeva cosa dire: v.4 Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia. Certamente Pietro vorrebbe dare continuità con l’AT all'evento e perciò chiede di erigere tende di rivelazione, tanto più che poteva confermarlo la presenza di Dio attraverso la nube sacra, la Shekinah:

v.5 una nube luminosa li coprì con la sua ombra.

Si ripete così la scena del battesimo di Gesù, in cui era stata proclamata da parte dello stesso Padre la filiazione (di amore) nei riguardi di Gesù. Nello stesso tempo torna visibile la relazione con la salita di Mosè sul Si­nai. E infatti ora la voce arcana del Padre emette l’imperativo: Ascoltatelo!.

Acquista nuovo si­gnificato la frase fondamentale del Prologo di Giovanni, dove l'evangelista riassume il mistero di Ge­sù: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare [lette­ralmente: pose la tenda] in mezzo a noi» = Il Padre parla attraverso Gesù, il Cristo con il carico dell’umanità. 

Non è solo il discepolo di Gesú che passa per questa esperienza. Il discepolo si può distinguere dagli altri solo se traduce in pratica quest’Ascoltatelo. Il comando può essere doloroso, ma non è  capriccioso, da parte di Dio, perché Egli dà più di quanto promette.

- Un appropriato commento della gloria trasfigurante lo canta in forma poetica il salmo 96, proposto dalla liturgia odierna. Il poeta si affaccia su un mondo perfetto e pacificato nel quale la lode raggiunge facilmente il cielo e il cuore di tutti è fremente di amore. ed ecco esplode in un canto corale e in una danza cosmica.

 

Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sostengono il suo trono.

I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
Annunciano i cieli la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria.

Perché tu, Signore,
sei l’Altissimo su tutta la terra,
eccelso su tutti gli dèi.

 

La Nube della divina trascendenza nasconde qualunque visione corporea, tuttavia rivela Dio quale Presenza indicibile ed efficace. La Nube e la Voce sono le due componenti della Rivelazione biblica.

il Padre comanda di obbedire al suo Unico Figlio, e noi gli rivolgiamo l'epiclesi, affinché nutra il nostro spirito con la sua Parola, e purifichi le nostre facoltà per gioire della Visione trasformante di Lui.

 

v.6 All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.

Questa descrizione è esclusivamente di Matteo ed è costruita sullo schema della visione di Daniele, quando vide l’uomo vestito di lino (Dn 10,5).

Gli altri due discepoli condividono pienamente l’ideologia nazionalista espressa da Pietro: atteggiamento che, se non rettificato, sarà causa di divisione nella comunità dei discepoli. Sentendo infranto il loro sogno di restaurazione della Legge di Mosè mediante lo zelo violento di Elia, la loro reazione assune un duplice aspetto: il cadere sulla faccia (traduz. lett.) è segno di sconfitta, e la paura è il riconoscimento di essere in presenza di una manifestazione divina e quindi di dover morire (Is 6,5; Dn 10,9). Nonostante Gesù abbia ripetutamente parlato ai suoi di Dio quale Padre, essi continuano a pensare secondo le categorie della tradizione religiosa che incuteva la paura di Dio: Nessun uomo può vedermi e restare vivo (Es 33,20).

Ascoltatelo! L’ordine imperativo dato da Dio non ammette eccezioni e si richiama a quanto promesso dal Signore a Mosè: il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto (Dt 18,15).

Matteo invita la sua comunità a prendere le distanze dal legislatore Mosè e dal riformatore Elia, per fissare la loro attenzione solo in Gesù, l’unico che devono ascoltare perché il solo che rispecchia pienamente la volontà divina in quanto Figlio di Dio.

v.7 Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: Alzatevi e non temete.

Il gesto di Gesù è lo stesso da lui adoperato con gli infermi e i morti per restituire loro vita.

L’invito di Gesù ad alzarsi verrà ripetuto nel Getsèmani: alzatevi, andiamo (Mt 26,46), ma allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono (Mt 26,56). Non erano ancora capaci di raggiungere la condizione divina passando attraverso il dono di sé e la morte. La tentazione di raggiungere una perennità senza limiti attraverso pratiche di potere, spinge quei discepoli a voler piegare persino Dio e averlo per sé in folli e sovrumani progetti di gloria.

Per questo, sul monte della risurrezione, vedendo Gesù, dubiteranno: non saranno ancora pronti e capaci di accogliere il progetto divino su Gesù e sull’umanità.

v.8 Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

Mosè ed Elia vengono eliminati in quanto ormai non avevano nulla da dire ai discepoli. Colui che devono seguire è Gesù e nessun altro, fosse pure un legislatore come Mosè o un profeta grande come Elia.

v.9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti.

Descrivendo il fatto come visione, l’evangelista situa l’episodio sul piano della verità teologica e non su quello della fattualità storica. La trasfigurazione di Gesù appartiene al genere visione/sogno e non alla realtà. Si tratta di una rivelazione che Gesù fa ai suoi discepoli.

Gesù proibisce ad essi di parlare della loro esperienza, in quanto ancora incapaci di seguirlo sulla croce, e di comprendere che la condizione divina passa attraverso la morte. Solo quando Gesù sarà risuscitato questo sarà chiaro e potranno parlare di quanto avevano sperimentato.

Ogni essere umano ha la possibilità di diventare figlio di Dio, se realizza il progetto di Dio sull’umanità.

 

UNA RIFLESSIONE

Noi cristiani dobbiamo ascoltare, attraverso Cristo, il Padre, la sua vera voce, con l’impegno di accoglierla nel cuore. E’ quanto meno una perdita di tempo ascoltare altri messaggi celesti.

Sono ancora attuali le parole di Dante: Siate, cristiani, a muovervi più gravi, / non siate come penna ad ogni vento (Par. V, 73 s.).

Giovanni della Croce diceva che, da quando sul Tabor il Padre ha detto di ascoltare Gesù, Dio è diventato, in certo senso, muto. Ha detto tutto, non ha cose nuove da rivelare. Chi gli chiede nuove rivelazioni, o risposte, lo offende, come se non si fosse ancora spiegato chiaramente. Dio continua a dire a tutti la stessa parola: “Ascoltate lui!, leggete il vangelo: vi troverete più, non meno, di quello che cercate”.

 

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