venerdì 11 agosto 2017

XIX DOMENICA T.O. anno A – La tempesta sedata


XIX DOMENICA T.O. anno A – La tempesta sedata

 

Mt14 ,22-33

Dopo che la folla si fu saziata, 22 subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: "È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura". 28 Pietro gli disse: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque. 29 Ed egli disse: "Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato? 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: "Tu sei veramente Figlio di Dio!"

C o m m e n t o

1) Un commento di G.Ravasi, come visione d’insieme

La celebre scena di Gesù che avanza sulle acque agitate del lago di Tiberiade (detto “mare” secondo il linguaggio biblico) crea un certo imbarazzo nel lettore moderno, anche credente. Sappiamo, infatti, che Cristo evita intenzionalmente i prodigi taumaturgici, rifugge dalle magie spettacolari, teme che lo si scambi per una star degli eventi miracolosi, tant’è vero che spesso egli compie le guarigioni in disparte dalla folla, imponendo il silenzio ai beneficiari.

E allora, come spiegare questo atto così clamoroso, peraltro riferito non solo da Marco, la fonte primaria di Matteo, ma anche dal più tardo Vangelo di Giovanni (6,16-21)? 

La scena si svolge – se stiamo all’originale greco del Vangelo – alla quarta veglia della notte, cioè nell’ultima delle quattro fasi in cui essa era divisa, ossia fra le tre e le sei. Abbiamo, quindi, ancora il segno della tenebra, che è nella Bibbia un simbolo negativo. Analogo è il valore del mare che, come è noto, nella Sacra Scrittura incarna il caos, il nulla, il male, tant’è vero che il Giovanni dell’Apocalisse, quando s’affaccerà sulla nuova creazione, scoprirà che il mare non c’era più (21,1). Similmente il vento tempestoso è emblema di terrore e di distruzione. Tutta la scena è, quindi, all’insegna della negatività. 

Gesù si leva solenne su questo orizzonte, che è agli antipodi della terra, della luce, della quiete, quasi come il Creatore agli inizi dell’atto creativo descritto dalla Genesi. Egli, perciò, compie nei confronti dei discepoli una sorta di azione simbolica simile a quelle che i profeti – soprattutto Geremia ed Ezechiele – manifestavano al loro uditorio, accompagnandole con una spiegazione religiosa. Facile è l’equivoco di chi interpreta la scena come un evento magico o preternaturale. E’ ciò che accade ai discepoli terrorizzati che urlano: È un fantasma!

È per questo che, subito dopo, Gesù spazza via la loro sensazione attraverso due frasi illuminanti che decifrano l’atto nel suo significato teologico e non magico o spettacolare. La prima è da scoprire nell’originale e non nella versione che suona così: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». In realtà, in greco si ha: egó eimi, Io sono!. Ora, questa è la versione del nome che Dio rivela a Mosè al Sinai: «Io sono colui che sono!» (Esodo 3,14), nome abbreviato, già in quell’occasione, in ‘Io sono’. L’espressione, variamente interpretata, ci ricorda comunque che Dio è una persona (“Io”) la quale esiste e opera (il verbo “essere”). 

Ebbene, in quel momento Cristo svela ai discepoli con questo atto eccezionale la sua realtà intima, nascosta dal velo della sua umanità. È un po’ quello che accadrà sul monte della Trasfigurazione: egli ora si presenta in una teofania, cioè in un segno rivelatore del suo intimo rapporto con YHWH, che si manifesta a Lui e all’umanità come Padre [mia breve esplicazione di ciò che è implicito nel testo].

L’altra frase significativa è quella rivolta in finale a Pietro: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (14,31). Per comprendere l’evento del cammino sulle acque – come anche gli stessi miracoli – è necessario un canale di conoscenza ulteriore rispetto a quello dei sensi e della pura e semplice ragione, ossia la via della fede e dell’adesione al mistero divino.

2) Un esame più minuzioso del testo (i particolari sono preziosi)

22 subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.

Matteo inizia il suo racconto quasi con le stesse parole di Marco. L’altra riva è un termine tecnico col quale l’evangelista indica il lato orientale del lago di Galilea. L’uso del verbo anankazô, costringere, usato dal solo Matteo, presuppone una resistenza da parte dei discepoli: è terra pagana e i discepoli non ne vogliono sapere di andare verso i pagani, o forse non vogliono che la condivisione dei pani, narrata precedentemente, sia estesa anche ad essi.

L’azione di Gesù tende a separare i discepoli dalle folle (le quali nella narrazione di Giovanni vogliono proclamare re Gesù; Gv 6,15).

La barca è figura della comunità di Gesù, che non è in grado di assimilare e cristianizzare i pagani. Il suo ondeggiare e il rischio  di affondare è immagine della sua fragilità ed incapacità di fronteggiare il pericolo.

23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.

Con l’espressione sul monte l’evangelista indica il luogo della proclamazione delle beatitudini, che sostituisce il Sinai, luogo della sfera di Dio. Con il suo intervento redazionale, Matteo crea un formidabile contesto in riscontro con la storia d’Israele. La scena del monte è piena di reminiscenze sul magistero di Mosè, ritenuto la fonte dell’insegnamento e del profetismo d’Israele. È inevitabile vedervi un parallelismo tra la sua funzione didattica e quella di Gesù.

La forza di resistere e di adempiere la sua missione, Gesù la trova nella preghiera fatta in solitudine. E’ proprio vero che la solitudine, per essere luogo della presenza di Dio, deve essere piena di preghiera

In questo vangelo Gesù viene presentato in preghiera unicamente due volte: qui e nel Getsèmani (Mt 26,36). La ripetizione della parola solo, in disparte, che in Matteo è sempre indice di incomprensione o di situazione negativa, fa ritenere che  il momento sia di grave pericolo per il gruppo di Gesù. Ma in realtà la sottolineatura della solitudine di Gesù vuole essere teologica: Egli cerca lo spazio di comunione con il Padre. Il Gesù solitario e orante sulla montagna, ora lo è nel suo dominare le acque, dopo aver ricevuto la dynamis, la potenza, dal Padre.

24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.

Secondo l’interpretazione dei Padri della chiesa, la barca rappresenta la chiesa, che non viveva tempi pacifici.

25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare.

Siamo alla quarta vigilia (o veglia). Poiché ogni turno di veglia era di circa tre ore, alla quarta c’era l’ultimo turno, dalle tre alle sei, e quindi la notte stava per terminare.

Da questa suddivisione della notte, si è sviluppata, nel pensiero dei Padri, una linea interpretativa che pone ogni vigilia in relazione con una tappa della salvezza, culminante nella venuta salvifica di Cristo.

26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: "È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura.

La scena sembra quella descritta nel salmo 106: Egli parlò e scatenò un vento burrascoso che fece alzare le onde. / Salivano al cielo, scendevano negli abissi, / il respiro veniva meno per il pericolo.

Non solo questo, ma anche altri salmi trovano riscontro nella descrizione di Matteo.

27 Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura".

Nel testo greco dei Settanta egó eimi è formula di auto-identificazione di Dio.

Il non abbiate paura è l’invito-comando indirizzato da Dio, quando si manifesta ai profeti ed ai loro discepoli, perché sappiano discernere la sua presenza e quindi aver fiducia.

E’ questo il messaggio essenziale della pericope di oggi: contrapporre alla paura la fiducia attraverso la preghiera.

28-32

Viene introdotto un inciso ‘petrino’, che Matteo probabilmente ha attinto da una preesistente tradizione orale e ha amplificato ed elaborato, conferendogli un'impronta ecclesiale. In esso la figura di Pietro è tutt’altro che idealizzata; infatti viene descritta in tutta la sua contraddittorietà, con i tratti tipici del discepolo impulsivo ed entusiasta, ma anche fragile e volubile. (Sarà proprio per questo che, durante la passione, Pietro giungerà al punto di rinnegare Gesù. Ma proprio in quel momento troverà la forza di risalire alla superficie con un pianto che manifesta tutto il suo pentimento).

La situazione di Pietro si ripeteva per molti fedeli nelle comunità guidate da Matteo, a causa delle persecuzioni e delle divisioni interne. D’altronde i veri nemici non sono quelli esterni, ma quelli interni: le tentazioni. Eppure la comunione può essere ricostruita dalla Parola rigeneratrice, che trascende la persona e agisce sul singolo, mentra attraversa la storia umana.

33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: "Tu sei veramente Figlio di Dio!"

Con l’espressione Figlio di Dio essi proclamano la messianicità di Gesù. Infatti il testo dice che Gesù, non è il Figlio di Dio, ma Figlio di Dio (senza l’articolo). Egli ha una figliolanza nuova che spetta ora ai discepoli scoprire e fare propria e che verrà riconosciuta anche dai soldati pagani posti a guardia di Gesù: Davvero costui era Figlio di Dio! (27,54).

Gesù non è “il figlio di Dio” atteso dalla tradizione, il messia violento, giustiziere, ma è figlio di Dio in una modalità nuova, che si rivela, non  nel potere inteso come dominio, ma nell’umanità che mette al primo posto i martoriati, gli insicuri, coloro che si dibattono nella notte oscura, coloro che vedono fantasmi e gridano di paura, quelli che sprofondano come sprofondava Pietro…..Tutto questo racconto è il grande simbolo della bontà appassionata, che cammina sulle acque e sulle tenebre, alla ricerca di chi soffre e sprofonda. (Castillo).

3) Miscellanea di annotazioni

* Per la Bibbia, non c’è solo il terrore primordiale di fronte alle energie scatenate della natura. Non c’è solo l’esperienza fisica dello stordimento e del mal di mare, usata tra l’altro dal libro di Proverbi per dipingere ironicamente l’ondeggiare dell’ubriaco. C’è, invece, l’emozione tutta metafisica dell’incontro col nulla; c’è la sensazione raggelante dell’abbraccio con gli inferi e con la morte.
È per questo che nella nuova e perfetta creazione escatologica il mare scomparirà: Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, annota Giovanni nell’Apocalisse perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più.

 

* Il termine vento, anemos, nel brano appare per ben tre volte; quindi significa la totalità. Il vento era contrario: rappresentazione, questa, della resistenza dei discepoli che non ne vogliono sapere di andare verso i pagani; loro pensano alla supremazia di Israele, al dominio di Israele sopra i popoli pagani, e non vogliono andare a servire i popoli pagani. Ecco il vento contrario. (Maggi)

 

* Gesù nella solitudine è un’icona da tenere sempre presente. Egli ha trovato in essa il modo per vincere la tentazione e per sentire e vivere la vocazione messianica, contro Satana che voleva trascinarlo nella direzione opposta.

 

* Dove si trova la risposta divina al grido di invocazione della salvezza? Non nelle certezze umane, non nella confidenza in se stessi. Bisogna continuare a credere, anche se toccati dall’esperienza del turbamento.

Nelle tempeste che possono alzarsi improvvise, si può sperimentare il soffio dello Spirito che è più forte di ogni vento contrario. Sì, il suo amore è per sempre (Salmo responsoriale).

Ci siano di esempio, nell’oggi, i cristiani che rischiano la vita perfino per entrare in chiesa e partecipare alla liturgia. E la storia registra vere stragi di cristiani, uccisi da altri che si dichiarano altrettanto cristiani ma con una ideologia diversa.

 

* Al v.28 Pietro sfida Gesù, lo tenta, Se sei tu, esattamente come il diavolo nel deserto tentò Gesù. E lancia una sfida: Comandami di venire a te sulle acque. Gesù accetta la sfida, invitandolo, e Pietro comincia a camminare sulle acque, 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare… Il vento forte è quello che Gesù nella parabola della casa costruita sulla roccia aveva indicato come avversità normali, le quali piombano sulla vita del credente. Eppure, se la casa è fondata sulla roccia, la casa rimane salda. Se invece è costruita sulla sabbia crolla…. Come crollò Pietro.

 

* Un aneddoto parla di un uomo che fece un sogno. Vedeva due paia di orme che si stampavano sulla sabbia del deserto e capiva che un paio erano le orme dei suoi piedi e l’altro dei piedi di Gesù che gli camminava a fianco. A un certo punto, il secondo paio di orme scompare e l’uomo capisce che questo avviene proprio in corrispondenza di un momento difficile della sua vita. Allora si lamenta con Cristo che lo ha lasciato solo nel momento della prova. Ma io ero con te!, risponde Gesù. Replica l’uomo:Come eri con me, se sulla sabbia non c’erano che le orme di due piedi?. E Gesù: Erano le mie. In quei momenti ti avevo preso sulle mie spalle!

 

* La pratica di umanità di Gesù di Nazaret, che possiamo apprendere alla scuola del vangelo, è fonte di insegnamento e di ispirazione per ogni vita che, volendo umanizzarsi, non può che apprendere e mettere in pratica l’arte della fiducia (Manicardi).

 

* Pietro, tu andrai verso il Signore, ma non cam­minando sul luccichio illusorio di acque mi­racolose, bensì sulla strada polverosa del buon samaritano; andrai verso Gesù, ma prolungando il suo modo di vivere, di acco­gliere, di inventare strade che conducano al cuore dell'uomo.

Pietro, emblema di tutti i credenti, imparerà a camminare verso un mondo nuovo, contando, non sulla forza di imprevedibili miracoli, ma sulla forza prodi­giosa di un amore quotidiano che non si ar­rende, sulla bellezza di una fede nuda (Ronchi).


* Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste della vita, il discepolo è chiamato, come Elia, ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio, recuperando la dimensione assoluta che è il silenzio, la preghiera, l'ascolto meditato del grande e quieto oceano della presenza di Dio, per vedere il volto di Dio che si nasconde nel vento, che pare evanescente come un fantasma… (Curtaz).

 

4) Dio nel silenzio

Le lettura che più ha toccato il mio cuore è stata la prima, proposta dalla liturgia di oggi.

In essa si racconta che Elia fugge verso l’Oreb. E lì il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

Siamo di fronte ad nn episodio biblico altamente simbolico.

E’ l’850 a.C.. Il re Acab e sua moglie Gezabele avevano introdotto il culto di Baal (dio mitologico, che presumeva di essere signore dell’universo)

L’autore sacro racconta al cap.18 come Elia, sul monte Carmelo, sconfigge e distrugge i profeti di Baal. Naturalmente si sente fiero e protagonista perché ha riportato il suo popolo alla verità. Gezabele si infuria e promette che Elia sarà ucciso entro una giornata.

Elia si impaurisce e fugge nel deserto. Entra nella caverna e si addormenta pensando di dover morire. Invece incontra Dio! La caverna è per lui quasi come un utero dove rinascere un’altra volta.

* Così avviene nella vita spirituale quando ci si ritira in un deserto per meditare e, pregando fervidamente, pian piano si rinasce. Elia si era rifugiato in una caverna per passarvi la notte; notte in cui non si vede nulla e si attende la luce dell’alba: è il tempo della ricerca, dell’attesa.

E lì Dio si rivela a Elia: Che fai qui Elia?

Nei deserti dell’esistenza, nel buio della notte della fede, la parola di Dio, prima o poi, arriva sempre e non passa senza che una traccia resti nella mente e nel cuore dell’orante.

Mentre egli spiega a Dio ciò che gli è successo, comprende meglio se stesso: Sono qui, Signore. Sono pieno di zelo per Te. Io voglio servirti, io volevo liberare questa terra dagli dei stranieri, Signore, ma tutti Ti hanno abbandonato. Sono rimasto solo, cercano di togliermi la vita.

La parola di Dio aiuta Elia a fare luce dentro di sé, a fare la verità di se stesso.

Il Signore lo chiama di nuovo: Esci, fermati lì, alla mia presenza.

Elia adesso è pronto. Fermo, nella notte, nella caverna, in silenzio, finalmente attende l’incontro personale con Dio attraverso qualche evento atmosferico: un uragano, un terremoto, un fuoco…

Ma Dio parla al suo cuore quando Elia avverte la Presenza di Dio nel sussurro di una brezza leggera.

E’ una presenza silenziosa, ma forte, viva.

Elia, allora, si copre il volto con il mantello, come Mosè si era tolto i sandali quando aveva avvertito la Presenza nel roveto che ardeva e non bruciava.

* Quando si incontra Dio ci si copre sempre il volto perché l’incontro con Lui rivela l‘inadeguatezza alla chiamata. Eppure egli ora non è più quello di prima.

Dio svela ad Elia che non è rimasto il solo a credere in Lui: si è riservato un resto: vai da quel resto di gente che mi sono riservato, torna a essere il loro profeta. L’incontro personale con Dio non allontana mai dalla gente, dalla missione.

Elia ora prova cosa significa essere amato da Dio e amarlo. E non desidera altro che di comunicarlo a tutti quelli che incontra.

* Vale la pena cercare del tempo per ritirarsi in qualche caverna, cioè in un angolo non esposto, e nel silenzio lasciare che Dio faccia rinascere nella propria esistenza la Sua profezia.

 

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