2Re
4, 42-44 Ef 4, 1-6
Giovanni 6, 1-15
1 In quel tempo,
Gesù passò all' altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, 2 e lo
seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3 Gesù
salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina la
Pasqua, la festa dei Giudei. 5 Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una
grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove potremo comprare il
pane perché costoro abbiano da mangiare?". 6 Diceva così per metterlo alla
prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7 Gli rispose
Filippo: "Duecento denari di pane, non sono sufficienti neppure perché
ognuno possa riceverne un pezzo". 8 Gli disse allora uno dei suoi discepoli,
Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 "C’é qui un ragazzo che ha cinque pani
d’orzo e due pesci; ma che cos'é questo per tanta gente?". 10 Rispose
Gesù: "Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a
sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo
aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei
pesci, quanto ne volevano. 12 E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli:
"Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". 13 Li
raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo,
avanzati a coloro che avevano mangiato. 14 Allora la gente, visto il segno che
egli aveva compiuto, diceva: "Questi è davvero il profeta, colui che viene
nel mondo!". 15 Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si
ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
1. premessa
Il miracolo del pane è l’unico presente in tutti e quattro i
Vangeli. Marco e Matteo ne riportano addirittura due redazioni. Viene
interrotta la lettura di Marco nella liturgia domenicale e subentra Giovanni,
l’unico degli evangelisti che non riporta la cena di Gesù a Pasqua, ma che mette
a fuoco elementi importanti del suo significato: il necessario passaggio dalla
mentalità profetica dell’A.T., bene incarnata nel Battista, a quella del Figlio
di Dio che si fa prodigo del cibo di Vita per tutti, fino ad identificarsi ben
presto in esso col dono della sua vita.
Al tempo della scrittura evangelica nei quattro evangelisti
c’era la consapevolezza di tale passaggio; consapevolezza filtrata dalle
elaborazioni comunitarie successive alla morte di Gesù, ma che Giovanni orienta
verso la formazione di comunità di credenti. Il suo dire è molto coerente, né
nuoce cogliervi elementi carichi di accostamenti biblici e di simbolismo. Se si
preoccupa di usare simbolismi e richiami biblici ormai tramandati nelle
comunità del suo tempo, lo fa per porre in primo piano a) l’invito a trascendere il bisogno di miracolo e di profezia
carismatica, (a cui il mondo oggi più di prima è legato con una miriade di
tendenze e scuole ‘spiritualiste’ e con le sue deviazioni devozianaliste della
fede), b) ad introdurre al senso
della Rivelazione del Padre in Lui.
La liturgia sottolinea la congiunzione e il superamento tra
nuovo e passato: in 2Re,4, 42-44 Eliseo [leggi!] offre un pre-copione del
miracolo del pane, e Paolo in Ef.4, 1-6 afferma l’epilogo a cui deve indurre la
condivisione del pane: “c’è un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre”.
Rappresentative sono le figure di Filippo e di Andrea: il
primo rispecchia l’attesa tradizionale di un Messia-restauratore; il secondo si
mostra più disponibile ad accettare un Messia che annunzia la novità della sua
condividione dei bisogni umani, chiedendo soltanto una FEDE libera da illusorie
credenze.
La figura del re che si profila nell’interpretazione miope
dei tempi di Gesù e da cui Lui fugge ‘da solo’, forse è ancor oggi attuale,
quando si cerca di imbrigliare la novità evangelica nei dommatismi e nel
ritualismo: ma anche il fare dall’anti-dommatismo e dell’anti-ritualismo un
motivo di contestazione in nome del Vangelo, nasconde un inaridimento del senso
della storia di Gesù, che non si è conclusa con la sua morte, ma attende l’integrale
compimento del destino dell’umanità ‘alla fine dei tempi’, tanto che l’Apocalisse
si conclude con il “Vieni, Signore Gesù”.
2)un racconto pieno di simboli e di
richiami
a) E’ primavera: la molta erba richiama i
pascoli e il Salmo del buon pastore; l’erba è segno dell’abbondanza di vita e
della fecondità del tempo messianico (“Abbondi il frumento nel paese…, la sua
messe come l’erba dei campi.” Sal 72,16).
b) La moltitudine: in un primo momento dell’episodio
si parla di folla; poi, nel bel mezzo dell’atto miracoloso, si parla di uomini.
c) Il monte è
simbolo della casa, della gloria di Dio dove venne stipulata l’alleanza con Mosè,
come anche del Tempio. Con questi richiami, il luogo può ben essere ovunque si
raccolgano delle persone che vogliono un Dio presente.
d) I numeri: cinque pani e due pesci formano il sette,
simbolo della pienezza.
C’è un rapporto tra il numero dei pani (cinque) e il numero degli uomini
(cinquemila), sia perché è il numero della prima comunità cristiana secondo il
Libro degli Atti, al capitolo 4, sia soprattutto perché i multipli di 50
indicano, nell’Antico Testamento, l’azione dello Spirito. “Pentecoste”, termine
greco che significa ‘cinquantesimo giorno dopo la Pasqua’, è il giorno
dell’effusione dello Spirito. Gli apostoli sono
dodici, quante le tribù d’Israele, e i pezzi avanzati sono dodici cesti, che da
popolo eletto si dovrà fare umanità…
e) Il pane d’orzo è pane di primizia perché l’orzo è
il primo dei cereali che matura, primo pane nuovo. Forte è il richiamo ad
Eliseo, come indicato nella prima lettura.
f) La distribuzione: Gesù si fa servo
degli uomini sdraiati-adagiati, secondo
l’usanza degli uomini liberi, e “distribuisce”
loro il pane e il pesce. Ecco perché il miracolo della moltiplicazione dei
pani perde il suo aspetto numinoso e diventa modello di condivisione nel nome
della Fede in Lui.
g) I frammenti e l’unità: Alla
fine Gesù disse: "Raccogliete i
pezzi avanzati" che in greco suona piuttosto "radunate i
frammenti". I pezzi avanzati sono
segno di abbondanza, ma anche di dispersione. Gesù vuole che tutto
si ‘riunisca” come sottolineerà Paolo.
Wilma Chasseur immagina la trovata di
Andrea di ricorrere ad un ragazzo generoso, una primizia d’uomo, che sente la
richiesta di Gesù rivolta ai discepoli e tira Andrea per la tunica,
mostrandogli le cose che la madre previdente gli ha infilato nella sacca; e le
pare di vedere il sorriso di Gesù che si compiace della proposta di sfamare le
persone senza ricorrere al danaro (che non avevano), ma utilizzando quel poco
che lui aveva con sé.
D.M.Turoldo affermava: «Credo sia più
facile moltiplicare il pane, che non distribuirlo. C’è tanto di quel pane sulla
terra che a condividerlo basterebbe per tutti». [C’è da aggiungere: anche
quando ciò si facesse, la vera fame di Dio resterebbe insaziabile senza la
parola di verità pronunziata da Gesù].
Armando e Lucia. In noi gioca un ruolo prepotente il bisogno di ‘storia’, di
concretezza che poco si confà con il modo di fare storia degli scrittori
biblici: per noi storia è ciò che è accaduto, per loro storia è ciò che serve o
che è utile a descrivere ed a penetrare la realtà del personaggio che sta nella
scena. Ma forse oggi difettiamo proprio di capacità di entrare nel simbolismo,
mentre ci adagiamo senza volerlo, sulle interpretazioni critiche di questo
o di quello. Ci ravvediamo: forse quel simbolismo era pascolo abituale ai tempi
della scrittura di Giovanni ed era il modo più appropriato per enunciare il
disegno di Gesù nello sfamare le persone insoddisfatte delle precarietà della
vita terrena e per enucleare il punto chiave della via necessaria a saziarsi
della fede nella rivelazione del Padre in Lui.
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