venerdì 3 agosto 2012

XVIII del Temo Ordinario anno B


Es.16, 2-4. 12-15; Ef. 4, 17. 20-24
Gv 6, 24-35
24 Quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25 Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». 26 Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28 Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29 Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». 30 Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da mangiare un pane dal cielo"». 32 Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 30. Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possimo credert? Quale opera compi? 31. I nostri Padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». 32 Rispose loro Gesù: “In verità , in verità vi dico: non Mosé vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33 il pane di Dio è colui che discende e dà la vita al mondo». 34 Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane» 35. Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Alcune note attraverso l’aiuto degli Studiosi
Goivanni, il teologo. A differenza dei discorsi presenti nei vangeli sinottici, che riflettono più da vicino le parole effettivamente pronunciate dal Gesù storico, quelli del 4° vangelo sono in genere piuttosto lunghi ed elaborati; infatti Giovanni sovrappone al discorso di Gesù la sua meditazione teologica, o per meglio dire le riflessioni della comunità, e perciò parla il Cristo risorto, vivo e spiritualmente presente in essa (Ileana Mortari). 
La folla. E’ rappresentativa della comunità del tempo in cui scrisse Giovanni, e dell’altra folla, che si addensa nella mentalità delle nostre comunità e dei singoli.
Alla ‘ricerca’ di Gesù. Il verbo greco usato sa di cattura, almeno psicologica. La folla non vuole farsi sfuggire un’occasione così allettante come quello della ‘pancia piena’ in maniera duratura. Intanto si rivolge a Gesù col titolo di Rabbi. Così era chiamato chi insegnava la legge: segno chiaro che in Lui essa non vede altro se non ‘un messia speciale’ in linea con lo schema dell’attesa messianica tradizionale. Anche la donna samaritana aveva chiesto a Gesù di darle quell’acqua che disseta per la vita eterna, ma la novità evangelica sfugge sempre.
Che cosa dobbiamo fare? Contro la mentalità giudaica legata al fare (e perdurante nella storia), la risposta di Gesù nel v. 29 è chiara: Egli chiede la fede nella rivelazione, attraverso la sua persona, del Padre, Sorgente della Vita imperitura.
La richiesta di un segno. la folla non si convince. Se i miracoli significano altro rispetto alle sue aspettative, allora ci vuole un segno speciale. Gesù allora si fa garante del dono del Padre col dono di se stesso (all’umanità).  Ma per capire ci vuole “una forte e decisa esperienza del Cristo”, “contro la tentazione del cibo e della bevanda che simboleggiano certe ideologie appariscenti ma che non saziano le coscienze, contro certe forme religiose consolatorie o esotiche che stordiscono ma non guariscono, contro il godimento che offusca la mente e ottunde il cuore” (A. Sceppacerca).
«Io sono il pane della vita». “L’autore del quarto vangelo ha un suo proprio modo di ripetere lo stesso tema, ma a un livello sempre più alto e profondo. Sembra una scala a chiocciola. Girando, si giunge allo stesso punto, ma a un livello più alto o più profondo” (Carmelitani). E proprio così nel brano di oggi si giunge alla grande affermazione dell’ultimo versetto: «io sono il Pane della vita».

 RIFLESSIONI personali
Armando e Lucia. Dunque Gesù, dopo la moltiplicazione di pane e pesce, si eclissa perché vogliono farlo Re. La folla, presa da entusiasmo, non pensa alla sovranità di fatto del tempio e alla presenza dell'impero romano. E Gesù, dice l'evangelista, se ne va! Perché? I commenti che abbiamo letto in questi giorni fanno immaginare un Gesù che vuole destare la collaborazione, il senso di iniziativa, l'autonomia ecc., che invece la gente tralascia in cambio del piatto pronto e gratuito. Forse è anche proprio questo il motivo della sua fuga. Noi due, però, vediamo prevalente un altro aspetto: la lotta interna ad ogni uomo, tra il messianismo di Gesù e quello della nostra astuzia che vorrebbe addomesticare Dio stesso.
Ausilia. In questo brano si parla di fede e solo di fede. La risposta, data da Gesù a chi gli chiedeva quali opere fare, è illuminante anche se sottintesa: le opere materiali debbono essere intessute di fede. Non una fede la quale (come attingo da più fonti) sarebbe contrapposta, oggi, alle norme dettate dall’istituzione-chiesa. Gesù non ha la necessità di sbandierare la condanna generalizzata con la quale gli ‘illuminati’ vogliono convertire le istituzioni; chiede piuttosto lo spirito di un Francesco d’Assisi, di altri credenti anche sconosciuti, i quali hanno irradiato dovunque abbiano operato il soffio della Novità Evangelica.
Wilma Chasseur. … Vogliamo i doni, ma non ci interessa il donatore. Quando diciamo: ‘ma è una vita che chiedo una grazia a Dio e Dio non me la dà’, è proprio questo che accade. Proviamo a non chiederla più per niente e ad interessarci più al datore della grazia, ed ecco che immediatamente la riceveremo…. Perché abbiamo scoperto e ci interessa di più il pane di vita eterna e le sorgenti d’acqua viva che ci disseteranno in eterno.

9 commenti:

Ausilia ha detto...

Rispondendo alle affermazioni di Mauro Borghesi nel suo blog Alternative nella chiesa:
Ho letto cose interessanti in ciò che affermi. Ma qualche perplessità me la concederai: amare Cristo per me è vedere in Lui la rivelazione di Dio.
Dio! Chi lo ha mai visto? Il suo rivelarsi è sempre relativo al nostro essere nel limite, e perciò il gioco di trascendenza e di immanenza continua.
Un buon paradigma ce lo offre l'arte, la quale è linguaggio divino in mezzi umani. Cristo è quella persona che incarna in sé il divino e ci richiama alla fede in Lui perché la storia faccia il salto qualitativo da una rivelazione carismatica qualsiasi a ciò che è radicato nel nostro esserci: il divino. Che si protende nel tempo oltre il tempo, fino all'Avvento finale. Non dimentichiamo che l'Apocalisse finisce con l'invocazione: "Vieni Signore Gesù".
E' questo che non sappiamo fare: vivere l'esperienza del divino nella tensione escatologica. Non è vero che il sacro è stato definitivamente sconfitto; il velo del tempio si ricompone sempre, e dobbiamo saper accettare la comunione divina in noi, senza dimenticare che la viviamo sempre nella contingenza. Le nostre conquiste e tutto ciò per cui lottiamo, comprese le nostre emarginazioni, è nella precarietà e.... necessità momentanea. Ecco perché continuiamo a chiedere a Gesù: aiutaci a chiedere il Pane della vita ogni giorno, e non una volta per tutte. Ausilia

domenica, 05 agosto, 2012

Carlo e Luacana Vai ha detto...

Fede e ragione
La lettura sul vangelo del pane di vita (conversazione del 3 agosto u.s., fatta dapprima in coppia e, successivamente, con l'aiuto dei commentatori, è stata fonte di confronto tra di noi (Carlo e Luciana) e con le posizioni degli interlocutori. Riassumerò i punti di vista: Luciana è stata colpita dalla frase di Gesù Io sono il pane di vita. Come tutti gli inviati dell'Assoluto, Gesù si presenta come l'incarnazione della volontà del Padre: Imparate da me, Io sono l'esempio. Dio nessuno lo ha visto ma il Figlio è la luce tangibile di Lui. Uomini e donne di fede che abbiamo conosciuto hanno dato una svolta alla loro vita dopo un incontro personale con il Cristo: Ho trovato la fede a 14 anni e non me ne sono più distaccato diceva Severino, l'Eremita conosciuto in Toscana, un modello vivente di spiritualità. E' uno stile di vita in cui la ragione si è eclissata per una motivazione superiore.
L'approccio di Carlo è più problematico, perché cerca d'interpretare il messaggio evangelico alla luce della cultura odierna: Sono stato impressionato – dice – dall'osseravazione di un medico che esprimeva le sue perplessità sulla presentazione che del vangelo viene fatta e che così chiarisce: Sono stanco di sentire narrata la fede con il linguaggio di una civiltà contadina di duemila anni fa (Gregge, pecore, seme,padre...) Come si può parlare di devozione al Padre quando fioriscono sempre più i figli della provetta? Osservazione condivisibile, anche perché è tutta la concezione dell'uomo a subire trasformazioni profonde. La stessa idea di persona è resa evanescente dalle acqusizioni delle neuroscienze, e prima ancora dalla psicoanalisi. Per scrutare a fondo il mondo scientifico, è necessario il dialogo e, per avviarlo, un uomo illuminato e di fede come il cardinal Martini, aveva attivato la cattedra dei non credenti.
Se ciò non avviene, sarà facile avviarsi verso il binario morto del linguaggio esclusivo ed elitario, incomprensibile per i più ( vedi le discussioni di lana caprina sulla formula pro vobis et pro multis) . Mentre nelle chiese si fa il deserto, ci si macera sulla filologia. Oppure,ancor più grave, ci si consola con il fondamentalismo. Vedi la tiritera infinita con il radicalismo lefebvriano.
Sarà possibile, anche sulle pagine del blog, ampliare questo discorso?

Darianna Saccomani ha detto...

Solo una piccola nota a margine: questo testo mi da molta assonanza con le donne che vanno al sepolcro a cercare il "corpo" di Gesù per imbalsamarlo. Cosa si cerca?
Posso solo affermare di essere stata trovata anche quando non cercavo.
Grazie
Darianna

Armando ha detto...

Le neuroscienze possono aiutare le ideologie di chi le tratta: personalisticamente per il personalista, materialisticamente per chi pensa che tutto il pensiero umano sia frutto di sinapsi. La paternità con cui la bibbia esprime l'amore di Dio (come quello coniugale di Osea...) è solo un esempio-tipo. Del resto quale altro è migliore? Inoltre il figlio della provetta, pure lui di solito è amato e difeso e coccolato... e anche in questo caso si realizza il legame amoroso padre- madre e figlio: cio' entra nella sfera dell'amore paterno. Non si tratta di "devozione al padre", ma di vera paternità di Dio che viene esemplata, incoattivamente, dall'amore di chi mi ha amato, nutrito...

Vito Mancuso ha detto...

Per Simone Weil, la fede in Dio si esprime praticamente per mezzo di un retto pensiero sul mondo e della retta azione in esso. Questo vuol dire credere in Dio, non credere in qualcuno che sta chissà dove, da qualche parte, ma avere un retto pensiero sul mondo e agire rettamente all’interno del mondo. Infatti, La Weil diceva che l’oggetto della sua ricerca non era il soprannaturale, il soprannaturale per definizione non si può ricercare, è al di là di noi che siamo solo natura, l’oggetto della sua ricerca era questo mondo, il soprannaturale era in un certo senso la luce per leggere adeguatamente i fenomeni di questo mondo e la logica che li lega.
Non postato, ma preso da un passo di Vito Mancuso

Giovanna Mezzatesta ha detto...

Giovanna Mezzatesta
mi ha molto impressionato il commento di Carlo e Luacana. Come ampliare il discorso? Io mi disoriento nella mia fede, mentre leggevo il post con simpatia,ora vedo che non capiamo niente di Gesù e di Dio
Giovanna

Armando Zecchin ha detto...

Gregge non è bello essere paragonato ad un gregge: passivo, senza autonomia, incapace di liberta'... Ma nel paragone si vuole far risaltare la funzione del pastore, senza il quale il gregge si estinguerebbe. Io incontrando quel paragone sono indotto a pensare che senza quella guida cesserei di conoscere la via della salvezza. Gregge è strumentale a pastore il quale si definisce per mezzo di un paragone. Si potra' trovare un circontanziale paragone migliore? Armando

Ausilia ha detto...

Risposta all’ultimo commento di Armando ed a quello di Carlo e Luciana.
Ricordate quanti simboli gli antichi ci hanno affidati? Essi, volta per volta, a seconda dei momenti storici e della mentalità dei tempi, hanno assunto vari significati. Chi ha visto mai Biancaneve o altre figure divenute bagaglio del nostro inconscio (e conscio)? Eppure le utilizziamo.
Oggi, con l’antropocentrismo, ci sentiamo al centro dell’universo con le nostre ‘consapevolezze’ e con i volontarismi sottesi all’autonomia della persona. L’ultimo colpo inferto al senso del divino l’ha dato l’ondata dissacratoria e progressista, causa della perdita del senso dell’osmosi mistica di cui la SOSTANZA di ogni religione è portatrice. Alcuni oggi, infine, ritengono possibile recuperare il senso del divino in noi in armonia con la natura, in forma - per me - del tutto impropria, perché, in disprezzo totale del buono che c’era nell’«acqua sporca », fino, ad esempio a disprezzare il progresso di una SANA scienza medica. Bisogna riconoscere che siamo già in preda di un altro ‘ASSOLUTO’ ideologico. E qui interrompo per non cadere nel pressapochismo, proprio di un’ulteriore ideologia che vorrebbe correggere tutte le precedenti, come fa ogni corrente di pensiero. Ecco il nostro vero essere pecore!

Armando e Lucia ha detto...

I simboli sprizzano e spruzzano e ti fanno a volte arrivare là dove non è arrivato il ragionamento o lo staglia meglio.
Tuttavia, nel caso di gregge e pastore io preferirei arrivare, se possibile, a ciò che intendevano gli evangelisti. Il resto è riflessione, pietà, poesia... Valide in un contesto nemo storico-critico.
Qui pastore è opposto a colui che non guida (e non può guidare) e per gregge si intende chi necessità di guida (dinnanzi a Dio - nelle cose soprannaturali - tutti abbiamo bisogno di guida).
Le aggiunte ci fanno fare letteratura, a volte ottima.
Ma il critico...