Pr 9, 1-6; Ef 5, 15-20
51 In
quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo». 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra
loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse
loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio
dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera
bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io
in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre,
così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso
dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia
questo pane vivrà in eterno».
UN DISCORSO DI FONDO con l’aiuto di Gianfranco Ravasi
Premessa. Ravasi precisa: “Il grande rischio del nostro tempo non è
l’ateismo. L’ateismo coerente
e cosciente, che è frutto di una scelta pensata e meditata è degno del
rispetto. Noi invece siamo in
presenza della non credenza, dell’indifferenza, ma della superficialità, della
banalità, del vuoto, della secolarizzazione, di una società spenta”.
Anche
i credenti corrono il rischio di disorientarsi di fronte alle parole che
Giovanni nel cap. 6 pone in bocca a Gesù. L’approccio dell’evangelista, originale
rispetto a quello degli altri tre, mette di fronte a termini ed espressioni difficili. Il brano che leggiamo oggi risulta “non solo complesso, ma quasi crudo e fin troppo realistico. Come i
giudei, infatti, anche noi possiamo ritrovarci a reagire con discussioni solo
tra di noi senza riuscire a confrontarsi con Gesù e la sua Parola!”. Da qui
la necessità di fermarsi a riflettere.
1) Il Gesù storico
o il Cristo della fede?
G.
Ravasi centra il problema nella sua complessità. Nei termini usati “da un lato, bisogna evitare la Scilli del
mito o della pura e semplice teologia, quasi essi siano trattati speculativi;
d'altro lato, bisogna schivare la Cariddi della storicità assoluta, quasi che
essi siano da ricondurre al genere dei manuali di storiografia o delle biografie
scientifiche”. E’ certo che non ci troviamo di fronte ad “una pura e semplice memoria di atti e di
detti: quei ricordi sono, infatti, illuminati dall'esperienza dell'evento della
pasqua di Cristo vissuta dalla comunità dei discepoli” del tempo in cui
Giovanni scrisse. Può il bagaglio di
concetti, assimilati da molti acriticamente come dottrina di fede, reggere il
confronto con la ragione, la quale addirittura ha proclamato, nell’ebbrezza modernista, la fine del sacro?
2) Il mistero di
Dio
Non
si può evitare di parlare di mistero quando si parla di Dio, come è mistero
anche l’essere umano; a meno che questi lo rifiuti a priori, cadendo
incansapevolmente in altri miti, in altri idoli costruiti culturalmente ed
assimilati in modo altrettanto acritico.
Nella
Bibbia “il nome più importante, quello
divino, si contiene in quattro consonanti: JHWH, che rimangono mute,
impronunziabili”. Ed è interessante notare che in tutte le sue pagine lo
scrittore biblico presenta il Suo operato nella storia, senza mai identificarlo
in una Persona. Non diversamente avviene nei Vangeli. Questi presentano un Gesù che si
guarda bene dal riferirsi al ‘Padre’ [come non ricordare G. Paolo I, quando definisce
Dio padre e madre?] in termini convincenti per la ragione; che richiede
soltanto fede incondizionata. Ad un certo punto però - è vicina la sua cattura - egli rompe gli argini ed
esplode in affermazioni sconcertanti: e si autodefinisce “Pane disceso dal cielo”;
e subito incalza: “Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue ha [non ‘avrà’] la
vita eterna”.
Il mistero di Dio ha in Gesù un risvolto unico: lo rivela,
non con parole di sapienza, ma nel simbolo del pane,
della carne e del sangue umano, da mangiare. Per rivelarLo nella propria
umanità, assimilata alla Fonte divina (raffigurata nel simbolo del Padre) e per proporsi all'umanità come cibo da assimilare.
3) E’
opportuno fermarsi a pochi essenziali concetti
Dice
Ravasi: “È facile intuire che, se i
Vangeli dipingessero il fondale della vita e dell'opera di Gesù coi colori e le
figure del mondo greco-romano del II secolo, avremmo qualcosa di simile alle
famose ‘Cene’ di Gesù dipinte dal Veronese o di altri artisti in cui Cristo e i
suoi commensali sono inseriti in architetture rinascimentali e con particolari
occidentali. I Vangeli riflettono invece con una buona approssimazione (non
dimentichiamo che essi non sono libri storici in senso stretto) lo sfondo
topografico e socio-culturale del I secolo”. Eppure il vangelo scritto in
un preciso contesto storico riesce a proporre all’umanità un salto enorme di
qualità nella rivelazione del Mistero di Dio, incarnato in Gesù. Il quale non
si propone come modello, ma realizza la stessa vita di Dio nella concretezza
della carne umana, per trasportarla, assieme a Lui, nel cuore del Mistero.
4) Come vivere con
Gesù la vita del Padre.
Mangiandolo.
C’è bisogno di spiegarlo? Non è certamente il rito per se stesso a permettere
ciò: il rito è guscio vuoto dentro il quale si può sperimentare la comunione
con Dio. Oh se avessimo la capacità di non banalizzare e di accostarci
all’eucarestia – senza trascurare tutti i gesti del quotidiano - con la semplicità
di chi crede nell’unico miracolo alla portata di creature fatte di carne (con
la fragilità che essa comporta), ma in grado di riconoscere in sé “l’immagine e
la somiglianza” di Dio. L’eternità è questa vita di Dio nel tempo.
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