sabato 18 agosto 2012

XX domenica anno B


Pr 9, 1-6; Ef 5, 15-20

Gv 6, 51-58
51 In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

UN DISCORSO DI FONDO con l’aiuto di Gianfranco Ravasi
Premessa. Ravasi precisa: “Il grande rischio del nostro tempo non è l’ateismo. L’ateismo coerente e cosciente, che è frutto di una scelta pensata e meditata è degno del rispetto. Noi invece siamo in presenza della non credenza, dell’indifferenza, ma della superficialità, della banalità, del vuoto, della secolarizzazione, di una società spenta”.
Anche i credenti corrono il rischio di disorientarsi di fronte alle parole che Giovanni nel cap. 6 pone in bocca a Gesù. L’approccio dell’evangelista, originale rispetto a quello degli altri tre, mette di fronte a termini ed espressioni difficili. Il brano che leggiamo oggi risulta “non solo complesso, ma quasi crudo e fin troppo realistico. Come i giudei, infatti, anche noi possiamo ritrovarci a reagire con discussioni solo tra di noi senza riuscire a confrontarsi con Gesù e la sua Parola!”. Da qui la necessità di fermarsi a riflettere.
1) Il Gesù storico o il Cristo della fede?
G. Ravasi centra il problema nella sua complessità. Nei termini usati “da un lato, bisogna evitare la Scilli del mito o della pura e semplice teologia, quasi essi siano trattati speculativi; d'altro lato, bisogna schivare la Cariddi della storicità assoluta, quasi che essi siano da ricondurre al genere dei manuali di storiografia o delle biografie scientifiche”. E’ certo che non ci troviamo di fronte ad “una pura e semplice memoria di atti e di detti: quei ricordi sono, infatti, illuminati dall'esperienza dell'evento della pasqua di Cristo vissuta dalla comunità dei discepoli” del tempo in cui Giovanni scrisse. Può il bagaglio di concetti, assimilati da molti acriticamente come dottrina di fede, reggere il confronto con la ragione, la quale addirittura ha proclamato,  nell’ebbrezza modernista, la fine del sacro?
2) Il mistero di Dio
Non si può evitare di parlare di mistero quando si parla di Dio, come è mistero anche l’essere umano; a meno che questi lo rifiuti a priori, cadendo incansapevolmente in altri miti, in altri idoli costruiti culturalmente ed assimilati in modo  altrettanto acritico.
Nella Bibbia “il nome più importante, quello divino, si contiene in quattro consonanti:  JHWH, che rimangono mute, impronunziabili”. Ed è interessante notare che in tutte le sue pagine lo scrittore biblico presenta il Suo operato nella storia, senza mai identificarlo in una Persona. Non diversamente avviene nei Vangeli. Questi presentano un Gesù che si guarda bene dal riferirsi al ‘Padre’ [come non ricordare G. Paolo I, quando definisce Dio padre e madre?] in termini convincenti per la ragione; che richiede soltanto fede incondizionata. Ad un certo punto però - è vicina la sua cattura - egli rompe gli argini ed esplode in affermazioni sconcertanti: e si autodefinisce “Pane disceso dal cielo”; e subito incalza: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha [non ‘avrà’] la vita eterna”.
Il mistero di Dio ha in Gesù un risvolto unico: lo rivela, non con parole di sapienza, ma nel simbolo del pane, della carne e del sangue umano, da mangiare. Per rivelarLo nella propria umanità, assimilata alla Fonte divina (raffigurata nel simbolo del Padre) e per proporsi all'umanità come cibo da assimilare.
3) E’ opportuno fermarsi a pochi essenziali concetti
Dice Ravasi: “È facile intuire che, se i Vangeli dipingessero il fondale della vita e dell'opera di Gesù coi colori e le figure del mondo greco-romano del II secolo, avremmo qualcosa di simile alle famose ‘Cene’ di Gesù dipinte dal Veronese o di altri artisti in cui Cristo e i suoi commensali sono inseriti in architetture rinascimentali e con particolari occidentali. I Vangeli riflettono invece con una buona approssimazione (non dimentichiamo che essi non sono libri storici in senso stretto) lo sfondo topografico e socio-culturale del I secolo”. Eppure il vangelo scritto in un preciso contesto storico riesce a proporre all’umanità un salto enorme di qualità nella rivelazione del Mistero di Dio, incarnato in Gesù. Il quale non si propone come modello, ma realizza la stessa vita di Dio nella concretezza della carne umana, per trasportarla, assieme a Lui, nel cuore del Mistero.
4) Come vivere con Gesù la vita del Padre.
Mangiandolo. C’è bisogno di spiegarlo? Non è certamente il rito per se stesso a permettere ciò: il rito è guscio vuoto dentro il quale si può sperimentare la comunione con Dio. Oh se avessimo la capacità di non banalizzare e di accostarci all’eucarestia – senza trascurare tutti i gesti del quotidiano - con la semplicità di chi crede nell’unico miracolo alla portata di creature fatte di carne (con la fragilità che essa comporta), ma in grado di riconoscere in sé “l’immagine e la somiglianza” di Dio. L’eternità è questa vita di Dio nel tempo.





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