LA FEDE E LO STUPORE
Dal
vangelo secondo Marco, 6,1-6
In quel tempo, 1 Gesù venne nella sua
patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2 Giunto il sabato, si mise a insegnare
nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove
gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i
prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il falegname, il
figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le
sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. 4 Ma
Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i
suoi parenti e in casa sua”. 5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma
solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro
incredulità.
Con l’aiuto di ALCUNI
BREVI COMMENTI [si tratta di spunti tutt’altro che esaustivi]
a)
Lo stupore. «È tutto uno stupore il vangelo di oggi. Lo stupore della
gente di Nazareth che vede il piccolo Gesù tornato come un Profeta dalla sua
esperienza a Cafarnao, la città sul lago, lo stupore di Gesù che si meraviglia
della loro incredulità» (F
Armellini).
PERSONALE: lo stupore può servire a scuotere le
coscienze, purché si sappia andare oltre
lo stupore. Gesù vuole indicare la via maestra dell’accoglienza della
manifestazione di Dio a causa di cuori incapaci di
lasciarsene compenetrare fino all’intimo. Ben lo aveva indicato Ezechiele quando
riferisce ciò che Dio gli dice nella lettura odierna: “Quelli a cui ti mando
sono figli testardi e dal cuore indurito” (Ez.2,4). Altro che fermarsi
all’incanto del miracoloso, dello straordinario! Quanta fatica a passare dallo
stupore, dalla percezione dello scandalo della debolezza divina alla fede.
b)
Dallo stupore alla fede. «La via allo scandalo (Mc 6,3) è più comoda, più breve, più
disimpegnante. Le nostre certezze rimangono lì, granitiche, precise, nel loro
ordine irremovibile. Siamo
esperti a infervorarci per le celebrazioni oceaniche della fede, per i
pellegrinaggi ai santuari più di moda e poi…» (R. Brunelli). Gesù «fu visto come un pericolo serio. Un pericolo per quella
religione (la sinagoga) e per quel modello di società» (J.M. Castillo).
PERSONALE: E l’attuale società? Sia quella rassicurata dalle regole
dell’istituzione, sia quella ripiegata sull’utopia della perfezione di una fede
tutta ‘consapevole’ senza riti senza norme stabilite, affidata ad una
coscienza illuminata dalla luce della ragione!… No, il fatto è che non sappiamo
riconoscere Dio nella debolezza dell'umanità di cui si è rivestito.
c)
La debolezza e la forza di Gesù. «Sarebbe stato molto più comodo per tutti che il Signore
venendo sulla terra avesse fatto agli uomini una rivelazione per così dire da
saldi di fine stagione, avesse previsto per ciascuno come gli sarebbero andati
gli affari, se avesse avuto salute oppure no, insomma avesse pronosticato un
futuro immediato. La religione
classica dei greci e dei romani si imperniava proprio su queste risposte che
nei santuari i fedeli potevano ricevere. In cambio di un'offerta il sacerdote
pagano interrogava le sorti e poi dava l'oracolo, favorevole oppure no, il più
delle volte ambiguo, in ogni caso ricevuto con ossequio dei richiedenti… Ce lo conferma san Paolo. Lui che era
così pieno di entusiasmo ad un certo punto deve fare i conti con i limiti di
una malattia fastidiosa. Per essere guarito da questo male, ci dice, per ben
tre volte aveva pregato il Signore, ma non era stato ascoltato. Gesù gli aveva
risposto: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente
nella debolezza” (2Cor,12,9)» (Wilma
Chasseur). «E’ lo scandalo della
debolezza in cui si tiene segreta la forza del Signore» (A.
Sceppacerca).
PERSONALE: Di quale debolezza parliamo?
Di quella che appare come tale agli occhi di chi non sa vedere adombrato nella
“meraviglia dell’incredulità” (che Gesù mostra senza vergognarsene), il
presagio dell’ingiustizia di cui sarà colpito con la condanna a morte. Ah
divina debolezza di Gesù, che non gli impedisce di continuare a fare del bene, senza stancarsi di profetare anche nel fallimento umano.
Da
Armando e Lucia
Noi
- in questo episodio nella sinagoga di nazaret - ci vediamo l'invidia. E' il
vizio che permea e si nasconde. Nessuno se ne vanta, come invece accade per
altri vizi capitali. E' difficile non provare invidia,cioe' non desiderare il
male al concorrente che ci affama, a colui che insidia l'unita'della nostra
famiglia, a colui che oscura il nostro prestigio... Abbattere Gesu' perche'
oscura il prestigio dei farisei e del Tempio, diventa un diritto e un dovere
applaudito dal popolo ingannato. Come vincere l'invidia? Se io mi sento "
Figlio di Dio"ho gia' tutto, quello che hanno gli altri in più' e' un
niente, che illude, che inganna... Il contrario della invidia e' desiderare che
gli altri godano della figliolanza divina.
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