giovedì 8 marzo 2012

Vivere la Parola di Dio, a partire dal comprenderla

11 marzo 2012 - III DOMENICA DI QUARESIMA Anno B Esodo 20, 1-17 1Corinzi 1, 22-25

Giovanni 2, 13-25
13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!". 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

[Dagli studi di L. Tommaselli]
Nell’ambito di una festa di nozze, come a Cana (Gv 2,1-11), l’evangelista ha introdotto il suo messaggio: il compimento/superamento dell’antica alleanza con la nuova, proposta da Gesù. In questo ambito anche la realtà del tempio assumerà altro significato. L’opera del Messia non si innesterà sulle antiche istituzioni solo per purificarle e poi continuarle, ma sarà una totale novità che esigerà uno stacco con il passato. Il segno di Cana è stato l’inizio, il prototipo e chiave di interpretazione dei segni che seguiranno.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
È la prima delle tre Pasque che saranno menzionate nel vangelo di Giovanni e per tre volte in questo vangelo si parla di: “la Pasqua dei Giudei”, espressione mai
usata nell’AT dove si parla di Pasqua del Signore (Es 12,11.48; Lv 23,5;Nm 9,10.14; Dt 16,1; 2Re 23,21.23) o semplicemente di Pasqua (Esd 6,19-20).
Per l’evangelista la Pasqua è dei Giudei perché è in opposizione con la Pasqua del Signore. La Pasqua non è più quella istituita nell’Esodo in quanto è divenuta una festa propria del regime giudaico, strumento di dominio e di oppressione da parte delle autorità religiose. È una Pasqua a beneficio della casta sacerdotale di allora che ingannava il popolo in nome di Dio per i propri interessi.
Ogni ebreo maggiore di dodici anni era obbligato a salire a Gerusalemme e sacrificare l’agnello pasquale nel Tempio. In questa occasione la città, che conteneva circa 55.000 abitanti, triplicava il suo numero. Si calcolavano in circa 18.000 gli agnelli sacrificati per l’occasione. In realtà, per l’evangelista, è il popolo la vera vittima della festa. Sarà Gesù, presentato come l’Agnello di Dio, la vera Pasqua.
Dal cap. 12, con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, non si parlerà più di
Pasqua dei Giudei, perché Gesù sarà la Pasqua del Signore.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. La semplice presenza di Gesù, il nuovo santuario dal quale si irradia la gloria
di Dio, è sempre causa di tensione nel Tempio di Gerusalemme di allora. In Gesù, la Parola fatta uomo, Dio ha piantato la sua tenda tra gli uomini (Gv1,14) e in lui si manifesta la gloria di Dio. Gesù non trova nel Tempio gente (lett.i venditori) in preghiera con Dio, ma in commercio, in onore di ciò che è diventato il vero dio del tempio: il denaro. L’evangelista costruisce la frase come se i venditori vendessero tutti gli animali elencati.
La festa religiosa si era trasformata per le autorità religiose in un’occasione di guadagno, ecco perché è la festa dei Giudei ( i dirigenti) e non del popolo.
Tre settimane prima della Pasqua iniziava il grande mercato per la vendita degli animali da sacrificare. Poiché gli animali da sacrificare dovevano essere senza
difetti si potevano comprare in un grande ovile sito sul monte degli Ulivi, di proprietà di Anania, il grande Sommo Sacerdote. Anania era anche il detentore delle licenze delle macellerie di Gerusalemme.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi. Nei papiri più antichi il Messia veniva rappresentato con un flagello in
mano per fustigare peccati e peccatori e il “flagello” era il simbolo dei dolori che avrebbero accompagnato i tempi del Messia. Pertanto Gesù si presenta come il Messia ma il peccato ed i peccatori che fustiga non sono gli esclusi dal Tempio ma quelli che sono l’anima stessa del Tempio. Nell’azione di Gesù l’evangelista vede la realizzazione della profezia di Zaccaria: “in quel giorno non vi sarà neppure un mercante (lett. cananeo) nella casa del Signore degli eserciti” (Zc 14,21).
Sono numerosi i testi dei profeti che denunciavano il falso culto del tempio, un
culto ipocrita che si accompagnava con l’ingiustizia e con l’oppressione verso i
poveri. Già Isaia apriva il suo libro con queste parole di fuoco: “Ascoltate la parola del Signore capi di Sodoma! Prestate orecchio alla Legge del nostro Dio, popolo di Gomorra. Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici? – dice il Signore – Io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili? Smettete di portare offerte inutili; l’incenso io lo detesto; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni, io non posso sopportare l’iniquità unita all’assemblea solenne. L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite: mi sono un peso che sono stanco di portare. Quando stendete le mani, distolgo gli occhi da voi; anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue” (Is 1,10-15).
Alle invettive di Isaia fanno eco quelle di Amos: “Io odio, disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni. Se mi offrite i vostri
olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco; e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di riconoscenza. Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire il suono delle tue cetre!” (Am 5,21-23).
Ma mentre i profeti, denunciando un culto ipocrita, auspicavano una purificazione del Tempio, Gesù va al di là. Il Cristo non purifica il Tempio: ne svela il significato ultimo e la vera funzione. Infatti espellendo dal Tempio gli animali destinati ai sacrifici dichiara l’invalidità degli stessi collegandosi alla linea profetica di Geremia e di Amos: “Io però non parlai né diedi ordini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri quando li feci uscire dalla terra d’Egitto” (Ger 7,22). “Mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto per quarant’anni o Israeliti?”
(Am 5,25). Mentre per i profeti il falso culto serviva a coprire l’ingiustizia, per Gesù è il culto stesso che può diventare una forma di ingiustizia, un mezzo di sfruttamento del popolo.
Gli altri evangelisti scriveranno chiaramente che l’azione di Gesù non è rivolta solo contro i venditori, ma anche contro i compratori: “Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che vendevano e compravano…” (Mt 21,12; Mc 11,15).
Mentre gli animali trovati nel Tempio sono stati elencati secondo l’ordine di grandezza (buoi, pecore e colombe) ora al momento dell’espulsione vengono nominate al primo posto le pecore che in questo vangelo saranno figura del popolo del quale Gesù si proclama il pastore (Gv 10,1). Le pecore, figura del popolo, sono rinchiuse nel Tempio per essere sacrificate in quanto i loro dirigenti verranno denunciati da Gesù come “ladri e banditi” che non vengono se non per rubare, sacrificare e distruggere (Gv 10,8.10).
L’espressione “scacciò tutti” corrisponde
a quella adoperata per la liberazione delle pecore dal recinto, figura del Tempio: “e quando ha spinto fuori tutte le sue pecore…” (Gv 10,4; cfr. 9,34).
L’evangelista ha già presentato i cambiamonete come installati (Gv 2,14) nel Tempio: è il sistema bancario l’anima del Tempio. Nel Tempio c’era il conio delle monete in quanto non potevano essere ammesse monete con immagini umane come quelle in uso presso i popoli pagani. Ogni ebreo maschio dall’età di venti anni doveva dare al Tempio il suo tributo annuale (due dracme = mezzo siclo). Le costanti e crescenti entrate al Tempio assicuravano una enorme ricchezza all’intera città di Gerusalemme e servivano a mantenere la casta sacerdotale e tutti coloro che prestavano servizio al Tempio (“portate le decime intere nel tesoro del tempio perché ci sia cibo nella mia casa”
Mal 3,10). L’azione di Gesù è pertanto rivolta a un punto nevralgico: il sistema economico del Tempio, la più grande banca di tutto il medio oriente.
Il Dio liberatore e salvatore del popolo era stato trasformato dai sacerdoti del
Tempio – per i propri interessi – in un dio esigente e sfruttatore, di fronte al quale nessuno poteva presentarsi a mani vuote (“nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote” – Dt 16,16). Il Dio del Tempio, come era diventato, non è quello che dava vita ma quello che la esigeva per sé.
I primi a reagire al gesto di Gesù sono i suoi discepoli che associano l’azione di Gesù al contenuto del Salmo 69 (cfr. v. 10), salmo che verrà ancora citato in questo vangelo in relazione alla passione del Cristo (Gv 15,25=Sal 69,5 e Gv 19,28-29= Sal 69,22). Il termine zelo è associato al nome dei nazionalisti che combattevano i romani, gli zeloti (2Mac 4,2), ma soprattutto a quello che animava il bellicoso profeta Elia: “Sono pieno di zelo per il Signore…” (1Re 19,14), uno zelo col quale sterminava tutti quelli che riteneva nemici del suo Dio (“… e con zelo li ridusse a pochi…” – Sir48,2).
In base a questi passi questo è il Messia atteso dalla gente, un “uomo di Dio” come Elia, uno che con la violenza appaghi la grande frustrazione del popolo sottomesso e umiliato. Nell’azione di Gesù i discepoli credono di veder realizzata la profezia di Malachia della purificazione del Tempio: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore … egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’ oblazione secondo giustizia” (Ml 3,1-3).
Ma Gesù non è venuto a restaurare le istituzioni antiche: queste scompaiono di fronte alla nuova realtà, la manifestazione piena e definitiva della gloria-amore di Dio in Lui.
Risposero dunque i Giudei e dissero a lui: Che segno mostri a noi poiché queste cose fai?
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". Le autorità del Tempio, alle quali era rivolto il rimprovero di Gesù, reagiscono alla sua azione e chiedono con quale autorità si comporta così. Chiedono un segno, cioè un avallo divino che giustifichi il suo comportamento.
Costante del vangelo è che quanti non credono chiedono continuamente dei segni.
Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere".
Mentre per “tempio” s’intende tutto l’insieme di edifici dell’area sacra, il “santuario” era la costruzione più importante del Tempio, quella dove risiedeva la gloria-presenza del Signore nel Santo dei Santi.
Alla richiesta del segno Gesù risponde annunciando la sua morte, che sarà la massima manifestazione della gloria-amore di Dio. Saranno le autorità religiose che uccideranno Gesù, ma non lo distruggeranno. I segni che Gesù farà, tutte comunicazioni di vita, sono un pericolo per il falso Tempio (Gv 11,47).
Dissero allora i Giudei: (in) quaranta e sei anni fu edificato il tempio questo,e tu in tre giorni innalzerai esso? Gesù parla del “santuario” ma i Giudei intendono il Tempio di Gerusalemme ricostruito da Erode il Grande e ancora in corso di costruzione. Erode aveva assunto 10.000 operai più mille sacerdoti ai quali fece apprendere il mestiere di muratore, per lavorare nei luoghi proibiti ai semplici fedeli. Il Tempio erodiano copriva un’area che era il doppio del foro romano, era lo spazio sacro più grande dell’antichità.
Ma egli parlava del tempio del suo corpo. È il corpo, l’umanità di Gesù, il definitivo e vero santuario che contiene la pienezza dello Spirito di Dio. Ogni tempio, o ogni santuario, dovrà essere confrontato e rapportato alla realtà di Gesù. L’espressione santuario del suo corpo che l’evangelista riferisce a Gesù sarà estendibile a tutti coloro che possiederanno lo Spirito (Gv 7,39), anch’essi saranno il santuario di Dio nel mondo, come scrive Paolo ai Corinzi: “Non sapete che siete santuario [nao.j] di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?... Perché è santo il santuario di Dio che siete voi” (1Cor 3,17).
Quando dunque risuscitò da (i) morti, si ricordarono i discepoli di lui che questo aveva detto, e credettero alla Scrittura e alla parola che aveva detto Gesù. Sono i fatti, le esperienze, quelle che illuminano la parola del Signore (“In lui era la vita e la vita era luce degli uomini” Gv 1,4).
L’evangelista segnala che per tutta la narrazione i discepoli manterranno un comportamento ottuso: l’ideologia religioso-nazionalista impedirà loro di scorgere la novità della figura del Cristo. Solo con la risurrezione del Cristo giungeranno alla piena luce!.
L’evangelista invita a non proiettare in Gesù le proprie aspettative e i propri desideri e anche le proprie necessità, vedendo nel Cristo la realizzazione delle proprie speranze. Chi lo fa non può che rimanere deluso come Nicodemo.
Gesù non realizza la nostra volontà, ma ci aiuta a realizzare quella del Padre.

Riflessioni Personali:
Un filone interpretativo insiste sulla scarsa considerazione di Gesù per il Luogo di culto, fino a volerlo sostituire con il culto dentro il proprio cuore nella comunione con Dio ed i fratelli. Ma si può esagerare seguendo questa linea fino alla condanna di ogni esteriorità, la quale, se è semplice cura delle apparenze (spesso fastose…) è davvero da condannare.
C’è da considerare che siamo incarnati nella realtà concreta e quindi il vivere la vita liturgica è un mezzo ineliminabile della vita di fede. Vinciamo piuttosto l’aridità (spesso frutto di poca preparazione ad usare i gesti rituali come mezzo e non come fine) che vorrebbe alcuni incontri ecclesiali spontanei e festosi in forme simil-laicali. La vera festa è esigenza del profondo del cuore, che non ci isola e no ci rende massa, bensì ci fa sentire il bisogno di esprimere la gioia di incontrarci umanamente e nel medesimo tempo nel rapporto con l’Invisibile. Ausilia


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