lunedì 27 febbraio 2012

Prepariamoci alla II domenica di Quaresima: LA TRASFIGURAZIONE

4 marzo 2012  - II DOMENICA  DI QUARESIMA Anno B
Marco 9, 2-10
In quel tempo, 2 sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4 E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5 Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". 6 Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7 Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce:"Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!".
8 E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell' uomo fosse risorto dai morti 10 Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Commento (con l’aiuto dello studioso, amico, L. Tommaselli)
Di fronte alla violenta reazione di Pietro (Mc 8,32) – portavoce del gruppo dei discepoli – alla predizione sul destino del Figlio dell’uomo (8,31), Gesù vuole convincerli, mediante una esperienza straordinaria, che accettare la morte che procura ad altri vita e pienezza umana non significa il fallimento dell’uomo e del suo progetto vitale ma, al contrario, assicura il successo definitivo dell’esistenza.
L’espressione “sei giorni dopo” sorprende per la precisione, dato che nelle scene precedenti non si è indicata nessuna datazione. Nell’essenzialità del linguaggio evangelico ogni parola ha la sua importanza; qui con sicurezza possiamo affermare che l’espressione “sei giorni dopo”costituisce una chiave di lettura che ci introduce nel vero significato della Trasfigurazione: il “sesto giorno” è quello della creazione dell’uomo (Gen 1,26-31); la simbologia ci relaziona con una realtà attinente all’uomo.
La Trasfigurazione, condizione divina del Figlio dell’uomo, rappresenta il punto massimo della creazione, vero destino definitivo dell’uomo: la condizione divina è stata donata anche all’uomo come il suo definitivo e vero destino!
La “chiave” “sei giorni dopo”, pertanto, non può essere tralasciata nella proclamazione del Vangelo!.
L’alto monte è simbolo di un’importante (altura) manifestazione divina; la precisazione in disparte allude, come nei contesti precedenti (4,34; 7,33), all’incomprensione di questi discepoli. La scena anticipa quella che sarà la condizione di risuscitato.
Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: di un bianco impossibile da ottenere in questo mondo, il tutto simbolo della gloria della condizione divina (cfr. 16,5) che deve essere donata anche agli uomini; Gesù si manifesta nella pienezza della sua condizione di Uomo-Dio.
Due personaggi, Elia (i profeti) e Mosè (la Legge), che rappresentano l’AT nella sua totalità, appaiono per essere visti dai discepoli, però non parlano con loro, ma con Gesù; il verbo ‘conversavano’ figura in Es 34,35 per indicare che Mosè riceveva istruzioni da Dio; ora è tutto l’AT che le riceve da Gesù. Egli è il punto di arrivo, la meta alla quale tendeva tutta la rivelazione precedente; quindi, se siamo arrivati alla meta, possiamo, come cristiani, avere una visione utile e valida dell’AT a partire da Gesù.
La reazione di Pietro è caratteristica: Rabbì (in Mc, solo in bocca a Pietro: 9,5; 11,21, e a Giuda: 14,45) era il titolo onorifico dei maestri della Legge, fedeli alla tradizione giudaica; Pietro dimostra che la visione non ha cambiato la sua mentalità e continua ad essere attaccato a quella tradizione.
Pietro offre la collaborazione ai tre (facciamo tre capanne), cioè, vuole integrare (tenendo tra l’altro al centro Mosè) il messianismo di Gesù nelle categorie dell’AT: Pietro non vede, nella gloria che si è manifestata, uno stato finale oltre la storia, crede che appartenga al trionfale destino finale della vita storica di Gesù e desidera che venga messa al servizio della restaurazione di Israele.
L’offerta di Pietro di collaborare è stato un tentativo per ingraziarsi Gesù; di fatto, i tre discepoli provano terrore di fronte alla gloria che si manifesta in Lui, che, data la loro precedente resistenza, sentono come una minaccia. Non capiscono che la visione è un atto di amore di Gesù, che intende liberarli dagli ideali meschini ed esclusivisti che limitano il loro orizzonte e impediscono il loro sviluppo umano.
La nube è simbolo della presenza divina (cfr. Es 40,34-38). La voce rivela ai discepoli l’identità di Gesù (cfr. 1,11) e avalla il suo insegnamento; è l’unico che devono ascoltare (cfr. Dt 18,15.18). L’AT non ha più voce propria per noi cristiani; ascoltando Gesù, la comunità cristiana ingloba o scarta parte della dottrina dell’AT. Poiché i discepoli lo hanno interpretato male, non devono diffondere il loro errore.
Ciò che si è manifestato è la gloria definitiva dell’uomo dotato della condizione divina, “il Figlio dell’uomo”. Questa espressione dal significato estensivo indica che la stessa condizione gloriosa dovrà estendersi ai suoi seguaci. Per i tre discepoli solo dopo la morte di Gesù – che mostrerà la qualità del suo messianismo – il fatto potrà trovare il suo contesto interpretativo; ma per adesso dovrebbe servire a prepararli all’evento del Getsemani (14,33). I discepoli hanno dissociato dalla morte di Gesù la visione che hanno appena visto; sperano quella gloria per la loro vita mortale. Per questo non capiscono cosa voglia dire risorgere dai morti. Nonostante la precedente predizione di Gesù (8,31), continuano ad aspettare il trionfo terreno.

Riflessioni

Le trasfigurazioni si incrociano e si dissolvono: potenza divina, potenza umana. Il Messia era già stato tra-sfigurato ed immaginato Re, ora occorre “stare in disparte”, ripartire daccapo e “vedere/sperimentare” una sua nuova/autentica figurazione che al momento sembra scandalosa e
improponibile, ma che al termine di sentieri irti e scoscesi sarà la sua…e la nostra, di ogni uomo.
Le vesti divengono bianchissime, ricche di tutti i sette colori, di tutte le tonalità di luce circostante: un chiarore che oscura la mente, che sbanda e spaventa. Così la bellezza estrema, l’armonia perfetta, il pensiero della piena realizzazione finale, per l’uomo, miope di vista, insensibile al calore, gracile di vigore. Dio è nella bellezza, Dio è nella luce, Dio è nella sazietà dell’amore. È bello un Dio così, è bello conversare con Lui, è bello vivere una situazione di umanità, qui, ora, nonché in prospettiva di “cieli nuovi e terra nuova”.
L’Amato Figlio ce ne dà conferma, ci assicura che è bello essere amati da Dio: si incrociano così le trasfigurazioni dell’uomo e di Dio, come nella Croce del Cristo.
La trasfigurazione alla fine si dissolve: occorre smorzarsi, per riprendere poi vita e risorgere. E la Bellezza ci salverà.

Riflessione personale
La tua Parola, O mio Dio, mi sazia. Mi fa coniugare la terra alla Novità della Resurrezione, mia fede, speranza, amore. Ausilia

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