venerdì 22 settembre 2017


XXV DOMENICA T.O. anno A

 

Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro: Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?. 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella vigna. 8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.1 1 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?. 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.

 

MIA PRESENTAZIONE (personale)

= La prima cosa da fare, nel leggere una pericope del vangelo, è conoscere la piattaforma, l’intenzione e la collocazione nel tempo in cui è stata scritta. Si scoprirà subito che, soprattutto nel vangelo di Matteo, sono rivisitati i testi dell’AT. Senza questa rivisitazione, si finirebbe per immaginare ciò che si legge come riproduzione della realtà. Invece dobbiamo, con l’aiuto esegetico, scavare nelle espressioni per trovare la fonte a cui l’evangelista ha attinto per impostare un racconto.
Ciò che si racconta sotto forma di parabola 1) è sollecitato dalla situazione esistenziale vissuta in seno alle prime comunità, le quali si confrontavano e pregavano per capire cosa significasse essere cristiani; 2) è ispirato alla tradizione biblica, ricca di tanta storia; 3) lo si fa diventare materiale nuovo e tale da farsi ascoltare in ogni tempo e in ogni situazione.  
= Nelle altre letture liturgiche che accompagnano quella del vangelo si trovano le frasi e le riflessioni più appropriate che aiutano il credente a cogliere la Parola di Dio. E’ come se l’azione del racconto in parabola fosse al di là del tempo e del luogo in cui è stata scritta.
= Il vangelo commenta ed è commentato dalle altre letture. Infatti il Nuovo Testamento non rivoluziona l’Antico; lo rilegge, lo riscopre, lo fa diventare, in un certo senso,  nuovo.
= Con un’espressione felice oggi si parla di contemplazione del Testo sacro.
Bisogna imparare il metodo contemplativo attraverso una lettura ‘ascoltata’ interiormente; ed è da aggiungere che, quando si parla di interiorità, non si tratta di emozioni soggettive, ma di spirito, cioè dell’azione di Dio nella persona. Infatti, quando, dopo esse essersi serviti dell’esegesi, si rileggono le citazioni più  discusse, si debbono prendere le distanze dalle parole che forse ingenuamente sembrano dette da Gesù, in quel dato momento, in seno al racconto. Bisogna trascendere ciò che si legge ed ascoltare interiormente le parole che da antica data Dio aveva rivelato ai profeti e ad altre persone ispirate. Si giunge così al testo creato per e dalla comunità in preghiera (la lettura solitaria è rischiosa), e che interpella la coscienza individuale e comunitaria. Ecco, allora, che le parole sono dette anche per me questo momento.
= Vi racconto  la mia esperienza. Dopo aver rigorosamente consultato l’esegesi, mi ritrovo a dover rileggere il vangelo ricalcato sui Profeti, i salmi, l’appassionante commento di Paolo, l’interpretazionedei Padri della chiesa, ecc., Dimentico alquanto il racconto, e medito sulle frasi che vanno dritto alla mia mente e al mio cuore, e mi pervadono lo spirito. E sento vicini a me gli altri….
= Un esempio. Nella prima lettura liturgica di oggi, Isaia, mentre il popolo di Israele era in esilio, quindi 600 anni prima di Cristo, dice: cercate il Signore mentre si fa trovare; invocatelo, mentre è vicino, perché i pensieri di Dio non sono i vostri pensieri. Il profeta scrive per gli Ebrei che erano in schiavitù a Babilonia e che già progettavano di ricostruire, quando fossero tornati a Gerusalemme, il tempio, la città, tutto come era prima; e di far vendetta contro gli attuali oppressori. Mi chiedo come rileggiamo queste parole oggi. Ecco: è proprio Isaia a dire che le vie di Dio sono nuove, che non si ricopia il passato; è proprio lui ad aggiungere che tali vie si riconoscono come si riconosce l’arrivo della primavera dallo spuntare delle gemme nei rami degli alberi.
Come non sentire attuali ed intime in me queste parole oggi?

 

COMMENTO AL TESTO

1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.  
Questa è la prima di tre parabole aventi tutte come tema la vigna e compare soltanto nel vangelo di Matteo. L’immagine della vigna è un richiamo al popolo di Israele che veniva raffigurato in essa. Si rifà alla situazione di Israele dove esistevano grandi latifondi e dove i braccianti venivano assoldati giorno per giorno secondo le necessità del lavoro. Pertanto ci porta nella vita quotidiana dei campi in Palestina, in una terra sassosa e scoscesa, che non impediva la coltivazione della vite.
La giornata lavorativa era lunga 12 ore, dalle sei del mattino alle sei di sera. Il padrone di casa è il proprietario terriero (o chi per lui, in sua fiducia) che assumeva gli operai con un contratto giornaliero.
2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro: Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.
Matteo non si dilunga molto sul dialogo tra il padrone e i suoi lavoratori. Il datore di lavoro promette loro il pagamento di un denaro e li manda a lavorare. L'accento è posto sul prezzo negoziato: un denaro d'argento per un giorno,  che era una buona paga.
Gli operai che il padrone incontra durante la giornata se ne stanno argoi, disoccupati. A costoro il padrone non quantifica un salario, ma promette quello che è giusto. Ciò crea un effetto di suspence: quanto sarà la loro ricompensa? A cosa corrisponde un salario giusto? alle ore effettivamente lavorate o a cos'altro?
La presenza di questi uomini alle nove del mattino sulla piazza, luogo di raccolta dei braccianti, indica la loro disponibilità ad accettare qualsiasi lavoro che venga loro richiesto.
6-7  Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?. 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella vigna.
L'eccesso di manodopera produce dei disoccupati. A costoro il padrone dà una parola di speranza quando si fa tardi - Andate anche voi nella vigna, e non parla del salario che intende dare loro.
8-14 Invece di raccontare il fatto, come fanno i Celebranti dopo la lettura del vangelo, noi qua ci fermiamo a rileggere il testo, che è di facile lettura: Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te:
Negli operai della prima ora si crea l'attesa di ricevere di più, rispetto a coloro che sono arrivati dopo, soprattutto se ultimi. E invece ricevettero ciascuno un denaro: è questo il vertice narrativo della parabola, che capovolge totalmente l'aspettativa. Il contenuto della loro lamentela è ispirato alla logica perversa del paragone, del confronto con gli altri. Dicono: tu li hai fatti uguali a a noi.
L’appellativo amico, hetaire, con cui il padrone si rivolge a uno dei primi, in Matteo assume, come in altri passi del suo vangelo, una sfumatura di rimprovero. In Mt 22,12 viene chiamato amico l'uomo che entra al banchetto di nozze del figlio del re senza avere l'abito nuziale. In Mt 26,50 Gesù chiama amico Giuda che gli ha dato il bacio nell'orto del Getsemani, segno convenzionale per coloro che lo avrebbero arrestato. Come si può intuire, si tratta di due situazioni estreme, in cui chi chiama amico l'altro, lo fa per fargli comprendere - in modo familiare, anche se il tono è di rimprovero - che ha compiuto qualcosa di sbagliato.
= Le parole del padrone costituiscono la vera interpretazione della parabola. Gesù intende sottolineare che l’ingresso nel regno dei cieli non va considerato come una ricompensa dovuta per diritto, in base ai meriti personali, ma come un dono gratuito, espressione della misericordia infinita di Dio. 
15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?. 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.
La parabola termina con una massima che dovrebbe darne la chiave di lettura: «Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi». Questa massima appare anche altrove e ciò significa che originariamente era autonoma. E’ stata utilizzata da Matteo come conclusione della parabola a motivo del fatto che il padrone ha pagato il salario agli operai cominciando dagli ultimi. Ma questo è un dettaglio secondario, introdotto nella stesura del racconto per permettere il dialogo tra il padrone e gli operai della prima ora. La massima quindi non esprime direttamente il significato della parabola; tuttavia non è in antitesi con essa. Anche Dio, come il padrone della parabola, stabilisce il suo regno cominciando dagli ultimi, manifestando così la sua misericordia infinita e il suo amore verso i poveri e i diseredati: gli stessi che nelle beatitudini sono dichiarati beati.
E' questo il vero problema degli operai della prima ora: non accettare che altri diventino partecipi dei loro stessi beni, della loro stessa eredità.
Certamente Dio ha stravolto le logiche umane. All'interno della comunità cristiana delle origini vi erano i giudeo-cristiani che pensavano di avere più importanza dei cristiani provenienti dal paganesimo poiché avevano servito il Signore da molto più tempo e provenivano da una lunga storia di fedeltà al Dio di Israele. Matteo li ammonisce. Dio vuole che tutti siano salvi e che tutti si accettino tra di loro come fratelli.
= Le implicazioni sociali della parabola sono molto importanti. Il fatto che tutti siano uguali davanti a Dio significa che a ciascuno è dovuto quanto è richiesto per la sua sopravvivenza e per la sua realizzazione come persona. Nessuno deve essere giudicato per quanto è capace di produrre, in campo sia economico che sociale o religioso, ma in base alla sua dignità umana. D’altra parte nessuno deve lavorare unicamente per la ricompensa che pensa di ricevere, in questo o nell’altro mondo, ma unicamente per un servizio d’amore ai fratelli. Naturalmente ciò implica una formazione adeguata, che è il frutto più bello di una vita autenticamente cristiana.
 
RAGIONAMENTI (NON MIEI) IN LIBERTÀ
- Parecchie persone si vantano di non perdere una messa, di compiere bene ogni dovere, di NON fare nulla di male e così pensano di guadagnare il paradiso.
- Non sembra tanto giusto che l'operaio il quale ha lavorato un'ora venga pagato quanto quello che ne ha lavorate dodici. Qualcuno aggiunge: non è lo sforzo che viene ricompensato, ma la fiducia nella giustizia dell'amore, che consiste nel donarsi a tutti pienamente. Dio si è già donato! Ma noi non dobbiamo stare con le mani in mano. Che cosa è necessario fare e non fare? Qual è veramente il punto?
- Risposta: tutto dipende dal nostro modo di guardare le cose, le persone. Di solito noi siamo il centro del mondo, ci facciamo un'immagine di noi come uno specchio e viviamo nell'incubo di non essere conformi allo specchio. Se invece, ci lasciamo guardare dall'amore di Dio, che vede il profondo del cuore (che noi non vediamo), facciamo l'esperienza di essere amati, perdonati, accolti così come siamo da chi ci ha fatti e che ci rende simili a lui. Lo specchio della perfezione, sognata con i nostri sforzi o dello sguardo altrui con il quale ci misuravamo, viene frantumato.
- Il punto di partenza è sentirsi amati, guardati da Dio. Questo sguardo sarà il motore di avviamento che toglierà il peso, la fatica, senza escludere il sacrificio: la mente corre all'amore di una mamma per il suo piccolo. Amore genera amore.
- Lasciamoci contagiare dalla bontà di Dio per correggere le visioni sbagliate che abbiamo. Non perdiamoci la gioia della consapevolezza che siamo in ottima compagnia, in compagnia di un amore che si dona senza misura. Cristo vive e opera in me, è più intimo a me di me stesso. Certo non mi posso vantare del bene che posso fare, ma neanche devo abbattermi per le mie povertà, perché sono amata così come sono, siamo amati da un Dio che ci rende buoni.
- A leggere la bibbia si scorge a ogni pagina questa caratteristica, questo stile di Dio: è sempre dalla parte dei poveri, di chi non ha difensore, di chi subisce ingiustizie, di chi è in fondo alla scala sociale.
- Non è che preferire gli ultimi sia l’unico modo per stare davvero bene tutti? Chi ci guadagna quando al mondo c’è qualcuno che sta male? Anche nelle realtà più concrete della nostra vita personale e sociale, non è forse vero che quando gli ultimi sono primi la vita è davvero migliore per tutti?
Tra me e me.
Ultimi e primi. E’ solo un proverbio, ripetuto, storicamente, in tante forme anche dialettali.
Mai penso che ci siano ultimi che diventano primi, e viceversa. O, almeno, non è un ragionamento che mi riguarda. Se sono ultima e divento prima,non  mi interessa altrettanto che se fossi prima che divento ultima. Io so che è cosa ottima crescere nell’amore. Non ho tempo da perdere con ciò che non conta. E’ un discorso troppo umano ed inutile. Voglio guardare a Lui, non a me; o meglio, voglio guardarmi con lo sguardo di Dio.

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