venerdì 8 settembre 2017


DOMENICA XXIII T.O. anno A

Mt 18, 15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 Se il tuo fratello commette colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai conquistato il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. 18 In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. 19 In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.

 

C o m m e n t o

 

PREMESSA

= L’attenzione a cui Gesù richiama i suoi, nella pericope di questa domenica, verte sulla chiesa, e in particolare riguarda la correzione fraterna, propria soltanto di Matteo.

Si precisa la disciplina da seguire nel delicato ma vitale problema dei rapporti comunitari là dove l'ideale, il fervore primitivo sembra essersi abbassato.

= Nella pericope di oggi troviamo il quarto dei cinque grandi discorsi che caratterizzano il vangelo di Matteo. La sua versione circa la correzione fraterna sembra più esatta rispetto a quella di Marco e di Luca.

Il Nostro prende in considerazione la colpa, non tanto perché è una mancanza del singolo, quanto perché è pregiudizievole e nociva alla comunità: infatti il cattivo esempio potrebbe facilmente riverberarsi su essa. Siamo nel primo secolo, quando i discepoli ancora hanno bisogno di nutrirsi della verità predicata da Gesù e messa in pratica in un gruppo stabilizzato, ben organizzato, coeso, in grado di offrire ai suoi membri esempi viventi degli insegnamenti ricevuti. Il cattivo esempio è altamente nocivo in un gruppo ancora non stabilizzato. Quando questo capita, è necessario agire di conseguenza. E siccome espellere il colpevole sarebbe improprio, ci va prudenza e amore per produrre, sia nel cuore del colpevole sia in tutto il gruppo, effetti non laceranti, bensì educativi ed edificanti.

= Gesù non detta alcuna norma, ma vuole dilatare l’orizzonte umano per far entrare quello di Dio, poiché il Padre che è nei cieli ha lo sguardo rivolto alla terra.

= Molto interessante è il fatto che in questa pericope vengano costituiti pastori gli stessi discepoli. A loro viene affidato il compito di vigilare sui fratelli. Come dice Lévinas amare è prendersi cura del destino dell’altro; prendersi cura di ciò che l’altro può diventare; farlo crescere, liberarne le potenzialità nascoste. Da qui il senso della parola profetica: ti ho costituito sentinella.

= Non è facile capire il senso di questo affidamento. Non si è cristiani per migliorare se stessi; nessuno è chiamato a rendere conto a Dio soltanto del suo agire, senza che si assuma la responsabilità della salvezza degli altri. (Viene subito da chiedersi se i cristiani di oggi sentono questa responsabilità collettiva e personalizzata nello stesso tempo!).

= Nel Levitico si leggono parole davvero appropriate per giungere al cuore del colpevole; parole di monito e non di condanna: Non avrai nel tuo cuore odio verso il tuo fratello, ma dovrai correggere il tuo prossimo, e così non contrarrai, a causa sua, una colpa.

= E c’è una precisazione che vale più di mille dogmi: bisogna coltivare una spiritualità orizzontale e verticale; cioè volta al trascendente, e vissuta nell’immanenza.

1) Analisi

15. Matteo presenta Gesù che si richiama e amplia quanto era prescritto nel libro del Levitico (19,17-18): non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo così non ti caricherai di un altro peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.

Il verbo utilizzato, hamartánō, devio, prendo una direzione sbagliata, lo troviamo tre volte.

Compito della persona offesa è quello di dimostrare al fratello l’errore compiuto per convincerlo, che il suo comportamento è sbagliato.

16. Se il primo tentativo di riavvicinare il fratello è senza risultato, poiché manca la disponibilità a  riconoscere il torto fatto, allora bisogna cercare l’aiuto di una o due persone della comunità. Si fa riferimento all’ordinamento del Deuteronomio (19,15), dove è prescritto: un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tre testimoni.

L’una o due persone a cui si deve ricorrere non sono dei semplici testimoni da presentare davanti a un tribunale, ma gli stessi, tra i membri della comunità, che sono più adatti a convincere l’altro del suo sbaglio.

17. Il termine greco tradotto con comunità, chiesa, significa l’assemblea dei credenti raccolta per mettere a fuoco un accaduto spiacevole, come nel caso di chi cade in una colpa. Il conflitto tra i componenti deve essere portato a conoscenza di tutta la comunità soltanto dopo che siano stati esauriti tutti i tentativi di soluzione, da quello individuale a quello con i testimoni.

Chi si ritiene fratello, ma rifiuta di comportarsi come tale, impedendo il ricomporsi del dissidio, va considerato come il pagano e il pubblicano. Ciò non significa che viene escluso dall’amore della comunità, ma che è giusto, in un primo momento, porre al centro, anziché la comunità intera, solo l’offeso, il quale deve continuare ad amare chi l’ha offeso senza attendersi di ricevere nulla. Quando l’altra parte resiste all’amore, questo non potrà più essere vicendevole, e il colpevole va amato come si amano i nemici e si prega per loro.

18. A Cesarea di Filippo, quando Simon Pietro aveva riconosciuto Gesù come il Cristo (=Messia), il Figlio del Dio vivente, Gesù gli aveva detto: Ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Ora Gesù estende a tutti i discepoli quanto aveva prima attribuito ad un unico discepolo. E’ da ricordare che legare significa non perdonare  e sciogliere perdonare.

19-20. L’insegnamento viene collocato dopo l’assoluta esigenza del superamento dei conflitti comunitari. L’accordo o sinfonia alla quale Gesù invita non consiste nell’appiattimento delle varie personalità, ma deve somigliare ad una sinfonia, in cui ogni strumento deve suonare la stessa melodia pur conservando la sua indispensabile peculiarità. Si richiama il Talmud, dove si afferma che se due si riuniscono per studiare le parole della Torah, la Shekinà (=Gloria di Dio) è in mezzo a loro. Gesù si sostituisce alla Legge e la sua presenza manifesta la Gloria di Dio.

L’evangelista ha iniziato il suo vangelo con l’espressione Dio con noi riferita a Gesù, e termina con l’assicurazione di Gesù: io sono con voi tutti i giorni, sino al compimento del tempo. Si porta a compimento la promessa del Levitico (26,11-12): Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Dio assicura la sua presenza nella comunità attraverso Gesù, e la promessa non riguarda più il futuro. Gesù è una realtà presente che tutti possono sperimentare quando si vive in concordia: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (non già lì sarò).



2) Precisazioni

= In questa pagina del Vangelo di Matteo vengono riferiti alcuni loghia, ossia alcune parole o sentenze, così come furono autenticamente pronunciate da Gesù. Esse sono poste all’interno del discorso elaborato da Matteo sul modo di comportarsi dei cristiani in seno alla comunità. Per comprenderlo, questo discorso deve essere collegato alla frase conclusiva della sezione precedente, in cui si afferma: Dio non vuole che neppure uno di questi piccoli si perda.

= Il dato fondamentale che risulta da questi pochi versi è che il perdono reciproco tra le persone è anche perdono di Dio.

= L’intervento dell’autorità ecclesiastica per il perdono delle colpe si verificò relativamente presto, già nel secolo III. Ma storicamente si sa che sempre si è ammesso il perdono, concesso anche tramite la benedizione di un laico; un’abitudine che sopravvisse con sicurezza fino al secolo XVI. Ignazio di Loyola nella sua Autobiografia racconta che in una situazione di difficoltà si confessò con un soldato.

Non è stato documentato dogmaticamente che il prete debba assumere un incarico preciso ricevuto dall’Autorità ecclesiastica per esercitare la confessione auricolare dettagliata dei peccati. Si tratta dia una decisione disciplinare del concilio di Trento, basata su un argomento falso:; ma Gesù non ha concesso tale potere nemmeno ai suoi apostoli.



3) La correzione fraterna

Chi dirige la comunità, non può escludere nessuno, senza prima aver tentato ogni mezzo per correggere il fratello dal suo errore o dal suo peccato. Niente, infatti, è più delicato della correzione fraterna.

La prima regola data da Cristo per la conduzione della comunità è quella di lasciarsi guidare dalla preoccupazione di salvaguardare con ogni cura la dignità della persona del fratello. La comunione deve tentare di convertire il peccatore. E se il fratello persiste nell’errore, non sarà il giudizio della comunità in quanto tale, a condannarlo, bensì il fatto che lui stesso si autoesclude dall’assemblea dei credenti. Così avviene oggi nella scomunica pronunciata dalla Chiesa; essa non fa altro che constatare una separazione già avvenuta nel cuore e nel comportamento di un cristiano.

Il capitolo diciottesimo del vangelo di Matteo è tutto ispirato ad un’idea di fondo: la cura  e l’attenzione per i piccoli (che non sono i semplici, ma i peccatori). Matteo, infatti, inserisce qui la parabola della pecora smarrita, prendendo come esempio lo stesso Dio che va in cerca di chi ha sbagliato. Di fatto la comunità ha questo nome in quanto prolunga l’azione di Dio in seno ad essa.

= Quando il fratello ha un comportamento sbagliato, sono molto frequenti la mormorazione e il giudizio, che innescano meccanismi di esclusione (di scandalo, come vien detto nei versetti che precedono quelli di questa domenica). Qui si tratta davvero di legare, cioè di impedire che venga sperimentata la falsa libertà di giudicare arbitrariamente; e di sciogliere, cioè di restituisce la vera libertà nell’esercizio dell’amore verso Do e verso il prossimo.

= La frase decisiva del vangelo di oggi è infatti: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.  Il nome è la persona di Gesù. L’espressione riuniti nel suo nome indica che la sua persona, la sua via, la sua obbedienza al Padre e la sua carità diventano lo spazio nel quale vivono il discepolo e la comunità, così da prendere la stessa forma di Gesù, il suo modo di essere nel mondo, capaci quindi di prolungare la sua opera nella storia.

In contrasto c’è da riflettere che una Chiesa potente difficilmente sarà strumento di perdono; l’autorità di Gesù, che è venuto non a condannare ma a guarire, viene dal suo essere il Figlio obbediente fino alla morte di croce.

= Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein - è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male. La correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa. C’è un buco, lì, nel tessuto della Chiesa, che bisogna ricucire.

Solo chi ha assunto lo sguardo, i sentimenti, il pensiero di Gesù, può vedere l’altro nella verità, può discernere il suo male, la sua colpa, che non coincidono mai con la persona dell’altro. Chi ha commesso il male, è molto di più del peccato commesso; l’altro resta sempre una persona, e nessuna azione malvagia da lui compiuta può far dimenticare questo!

4) Dalle riflessioni di mons. Ravasi

Un aneddoto.

Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono con durezza condannandolo. Il maestro, invece, taceva e non reagiva. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: Non si può far finta di niente dopo quello che è accaduto! Dio ci ha dato gli occhi! Il maestro, allora, replicò: Sì, è vero, ma ci ha dato anche le palpebre!.

= Siamo partiti da lontano, con questo apologo indiano, per commentare una delle frasi più celebri del Vangelo, dedicata alla falsa correzione fraterna.

Sappiamo, infatti, che lo stesso Gesù suggerisce di ammonire il fratello se commette una colpa contro di te. Ma è inesorabile contro gli ipocriti che correggono il prossimo per esaltare se stessi e, anche in questo caso, è difficile trovare una lezione più incisiva rispetto a quella che ci è offerta dalla parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18,9-14). In tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiali, ci imbattiamo in occhiuti e farisaici censori del prossimo, ai quali non sfugge la benché minima pagliuzza altrui, sdegnati forse perché la Chiesa è troppo misericordiosa e, a loro modo di vedere, troppo corriva.

Alcuni consacrati al servizio della verità e della giustizia si ergono altezzosi, convinti di essere investiti da Dio di una missione. In realtà, essi si crogiolano nel gusto sottilmente perverso di sparlare degli altri e si guardano bene dall’esaminare con lo stesso rigore la loro coscienza, inebriati come sono del compito di giudici. Ecco, allora, l’accusa netta di Gesù: Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.

Purtroppo, dobbiamo tutti confessare che questo piacere perverso di spalancare gli occhi sulle colpe del prossimo è una tentazione insuperabile che ci lambisce spesso. Quel racconto indiano che abbiamo citato in apertura è accompagnato da un paio di versi di un celebre e sterminato poema epico indiano, il Mahabharata, i quali (versi) affermano: L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode. Bisogna riconoscere – come ribadiva l’umanista mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529) nel suo trattato Il Cortegiano – che tutti di natura siamo pronti più a biasimare gli errori che a laudar le cose bene fatte.

Leggiamo, comunque, quel discorso di Gesù proposto dal Vangelo di Luca e riprendiamo un’altra frase che sia da suggello a questa riflessione sull’ipocrisia: Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso (6,36).

5) Conclusioni personali

Scoprire i segreti della Verità nascosta in ogni passo del vangelo non è un impegno da poco. Ma aggiungo subito: è un impegno da assolvere nella gioia. Senza questa, si spegne ciò che di più bello c’è nell’esperienza cristiana. Ache pro professare l’appartenenza alla chiesa, se si ha la sensazione di dover ubbidire ad una legge suprema, e di sentirsi deprivati della libertà? Conosciamo la riposta a questo quesito: la libertà consiste nello scegliere il bene. Con questa risposta, però, ci si impegola in tante altre domande legittime, come questa: ma cos’è il bene?

Il bene, a volte contrasta con la gioia. Anche l’amore talvolta contrasta con la gioia. Secondo il mio povero, ma vissuto parere, bisogna insegnare il metodo per saper cogliere i motivi di gioia in ogni situazione. Sono in molti a non saper gioire. Bisogna trovare motivi di gioia in ogni situazione. Si può. Alla condizione di togliere l’ombra che si allunga sulle cose e di guardare più in alto, alla fonte della luce…

Ma che c’entra questo con la correzione fraterna?

C’entra. La pesantezza del richiamo fatto al fratello/sorella dipende dall’addestramento alla gioia. Se siamo ‘leggeri dentro’, la leggerezza (che non è ingenuità di valutazione, ma metodo liberante) si comunica. E fin qui si tratta di fattori educativi. Il vero tatto comunicativo, dipende dalla nostra visione delle cose. Bisogna sfondare i limiti del ‘carattere nero’ e aiutare ad andare incontro alla luce.

Mi pare di non essermi saputa esprimere, ma a ragione. Perché le cose che contano vanno sempre oltre le parole e ci va una vita prima di saper convivere in letizia con tutti e di gioire con tutti.

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