sabato 4 gennaio 2014

Leggende natalizie e non solo

-     MITO ATTORNO AL NATALE
BABBO NATALE. E’ elemento importante della tradizione occidentale, oltre che in America Latina, in Giappone ed in altre parti dell’Asia orientale.
Oggi riunisce le rappresentazioni premoderne del portatore di doni, di ispirazione religiosa o popolare, con un personaggio britannico preesistente, rappresentato come un signore barbuto e corpulento, vestito di un mantello verde lungo fino ai piedi e ornato di pelliccia: rappresenta lo spirito della bontà del Natale. E’ da identificare con Santa Claus, nome olandese derivato da san Nicola.
L’ALBERO DI NATALE. E’ forse la tradizione natalizia oggi più diffusa. Infatti l’immagine dell’albero è legata al rinnovarsi della vita. Un albero sempreverde richiama il perpetuarsi della vita anche nelle condizioni più difficili come l’inverno.
Tutte le culture hanno almeno un simbolo legato all’albero (per esempio il Brahman per gli indiani o l’Albero della Vita nella Genesi).
Nel nostro Occidente le sue origini risalgono al 1512 circa in Alsazia, regione del Nord Europa, dove nella stagione fredda si appendevano alcuni frutti ad un abete.
La MANGIATOIA. Il fatto che Gesù sia nato in una mangiatoia è narrato da Luca e da Matteo, forse ispirandosi all’usanza dell’oriente dell’epoca di rifugiarsi nelle grotte naturali o nelle stalle durante un lungo viaggio. Origene, ispirandosi a questa tradizione e facendosi interprete delle profezie di Abacuc e di Isaia, introdusse le figure del bue e dell’asino che scaldano il Messia.
Nel 329, Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, fece edificare la Basilica della Natività a Betlemme, proprio nel luogo in cui si pensa che Gesù sia nato. Per realizzare tale progetto fu necessario distruggere il bosco voluto dall’imperatore Adriano nel 135 come luogo per adorare il dio Adone.
IL PRESEPE: Il termine presepe deriva dal latino prae-saeps, chiudere con una siepe, indicando così la mangiatoia.
La sua rappresentazione in Italia nacque da un’idea di San Francesco, a sua volta ispirato, probabilmente, da una funzione vista a Betlemme. La  propose a Greccio (Rieti) nel 1223. Il più antico presepe (per lo più resti di una culla in legno di un’opera creata nel 1280 da Arnolfo di Calbio) è conservato nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma.
LA BEFANA. La versione più antica e più veritiera sulla Befana apparterrebbe ai Celti, che usavano bruciare grandi fantocci di vimini per adorare le loro divinità. Spesso questi fantocci ritraevano le sembianze di una vecchia; per questo motivo la befana potrebbe avere qualche analogia con i pupazzi che vengono messi al rogo in piazza l’ultimo dell’anno.
-     LIBERARSI DAI MITI?
Quando le domande dei bambini sulla verità dei racconti leggendari si fanno incalzanti, è meglio raccontare la verità, stando attenti a non spegnere il desiderio dell’ignoto, nel quale si radica il fascino del leggendario, di cui l’immaginario ha bisogno più di quanto pensiamo. I miti non si uccidono mai in maniera indenne. Infatti essi sono la modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente in un certo contesto socio-culturale o in un popolo specifico. Uccidere i miti è in un certo modo uccidere Dio,  meglio: il nostro desiderio di trascendenza, senza la quale l’umano è ben povero.
- SE IL MITO SI INFRANGE
Per entrare nel cuore del mito e dell’angoscia per la sua distruzione, vale la pena leggere un passo tratto da La gaia scienza, aforisma 125 di Nietzsche:
Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: Cerco Dio! Cerco Dio!
E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. E’ forse perduto? disse uno. Si è perduto come un bambino? fece un altro. Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?, gridavano e ridevano in una gran confusione
Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione?
Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!
A questo puntò il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. Vengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!".
Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?.
- QUALE COMMENTO
a. CULTURALE [chi vuole salti e passi a b.]
Zarathustra (mitico profeta in cui Nietzsche si identifica) annuncia e cerca di realizzare il progetto di una radicale trasformazione, che, affrancandosi dagli errori e dagli impedimenti del passato, prospetta un futuro radicalmente rinnovato. Il punto di partenza è costituito dal concetto della morte di Dio, espressione metaforica che deve essere intesa in senso lato, come tramonto di un'era e crisi di un'intera civiltà, che ha soffocato e distrutto valori e aspirazioni.
Sul piano storico il bersaglio polemico è costituito dalla società borghese, accusata di calpestare e negare ogni ideale di bellezza e grandezza. La sua concezione della vita, bollata come vile e spregevole, si è ridotta al culto del denaro, a un puro calcolo di interessi, alla grettezza di ambizioni egoistiche e opportunistiche, fino a svalutare completamente la natura stessa dell'uomo. Nietzsche coinvolge in un comune giudizio di condanna, anche la morale cristiana, che, predicando l'umiltà e la sopportazione, ha reso gli individui succubi e schiavi, contribuendo a trasformare l'umanità in una massa amorfa e impotente, priva di slanci e di volontà. La stessa speranza in una vita ultraterrena, come promessa di una felicità difficilmente raggiungibile in questo mondo, non ha fatto che ribadire una condizione del tutto negativa.
Per reagire a questa situazione, Nietzsche nega l'uomo (che considera in senso ancora positivistico e più precisamente darwiniano, come derivato dagli animali), affermando che l'uomo va superato. Egli ne propone quindi un'immagine profondamente diversa e alternativa, auspicando che l'uomo riconquisti le sue prerogative più nobili ed elevate, diventando lui stesso, finalmente, il senso della terra
Nel pensiero nietzschiano agiscono suggestioni culturali profonde: l'idea dell'individuo dominatore e padrone di sé, che vive in un rapporto libero e diretto con gli elementi della natura, diffusa in tanti testi della letteratura greca; la ripresa di questo mito classico già tentata dal Rinascimento italiano, che, soprattutto sul versante del Neoplatonismo fiorentino, si era a lungo impegnato nel dibattito sulla dignità dell'uomo, sulla sua eccellenza e sulle sue capacita creative.
La celebre affermazione di Nietzsche, secondo cui l'uomo è una fune tesa fra il bruto e l’oltre-uomo, ricorda la concezione di Marsilio Ficino, che considera l'uomo come un essere intermedio fra gli animali e Dio; sta a lui decidere a quale di questi due termini avvicinarsi, con la volontà di una libera scelta, che lo rende artefice del proprio destino.
Come metafora di questo desiderio, l’oltre-uomo rappresenta prima di tutto un'esigenza di totale liberazione, che nasce da una critica radicale e impietosa nei confronti degli aspetti negativi e distorti dell'intera ideologia borghese. È questa l'autentica carica innovatrice ed eversiva della filosofia nietzschiana, mentre più incerte e confuse restano le ipotesi di soluzioni alternative, espressione più di una generica aspirazione che di un progetto concreto (del resto la forza straordinaria del pensiero di Nietzsche consiste soprattutto nel suo carattere negativo e asistematico).
Certamente la concezione espressa da Nietzsche nelle sue opere resta fortemente individualistica e aristocratica, sul piano culturale e su quello sociale; ma utilizzarne il pensiero, per giustificare le soluzioni politiche forti e le dittature di destra, è stato il frutto di un'interpretazione arbitraria, dovuta a una lettura parziale e meccanica.
L’ispirazione nietzschiana resta sostanzialmente religiosa, in quanto Zarathustra si presenta come il depositario e il profeta di una nuova verità; per questo viene deriso e oltraggiato dalla gente, che lo considera alla stregua di un buffone (Nietzsche introduce spesso tematiche di tipo carnevalesco, che rovesciano le convinzioni ufficiali e i luoghi comuni).
La morte di Dio, annunciata in piazza a gran voce da un folle, ha un significato che oltrepassa una semplice professione di ateismo. Nietzsche infatti non si domanda se Dio esista o no, come fa l'ateo che contrappone un'opinione (Dio esiste) ad un altro convincimento (Dio non esiste), perché altrimenti rimarreb­be nell'ambito dell'ideale metafisico della verità, che, a suo parere, non può essere in alcun modo raggiunta. Dichia­rando ufficialmente la morte di Dio, egli intende dire che è tramontato tutto quel sistema di valori trascendenti che la tradizione culturale aveva creato e sul quale aveva costruito per duemila anni la sua fede, la sua morale, la sua concezione dell'essere come opposto al divenire, la sua certezza di verità, il suo superficiale ottimismo razionalistico.
Aggiungo una breve modesta considerazione. Nietzsche, volendo distruggere il mito, sa lo scotto che l’essere umano deve pagare. Proprio a questo punto c’è da ricordare come il culmine del suo pensiero è, non tanto la morte di Dio, bensì l’adesione al destino – amor fati – che è forma eroica di adesione al tempo, ai suoi limiti (ricordo Simone Weil e il suo motto “obbedire al tempo”). La grandezza dell’essere umano, in ultima istanza, consiste nell’accettare il limite. Ma …. perché spegnere elementi costitutivi della storia, come i miti?  perché varcare i limiti dell’umano? perché accettarli in maniera così seriosa? Un presepe con la sua greppia è mito di semplicità incantevole, avvolta di fascino, e parla al cuore. Ben altra cosa è strumentalizzare il mito, trasormandolo in idolo religioso. 
b. ACCESSIBILE A TUTTI
La scommessa di cui parla B. Pascal è di più facile e generalizzato approccio, tanto che i suoi Pensieri hanno trovato il favore di un vasto pubblico tra i libri da scegliere proposti nell’Anno della Fede (su Dio si può scommettere, ma è bene ricordarsi che è in ballo il destino umano, anziché quello di Dio).
Tra la gente anche di scarsa cultura fioriscono gruppi di spiritualità intrisa di tendenze naturistiche (in primis ecologiche). In essi si fa appello alle energie nascoste nell’essere umano, che spiegherebbero  più di quanto non possano le religioni; intanto si fa ricorso alle potenzialità umane, come se esse fossero capaci di autonomi assoluta.
La fede, intesa in senso tradizionale, è appagante per i più, comprese, stranamente, persone di cultura e di aspirazione religiosa: il mito della santità personificata in personalità profetiche – cantautori, benefattori umanitari, premi Nobel eccetera – che si discostano dai santi aureolata nella chiesa cattolica (!).
Eppure non ci vuole un Nietzsche, e nemmeno un Pascal, per entrare nell’ottica pura e semplice del bisogno di Dio di cui parlano i mistici. Le dogmatizzazioni cattoliche, ma anche altre dogmatizzazioni sottese in altre chiese cristiane e non (basti pensare al musulmanesimo), impediscono il cammino verso la verità di Dio e dell’essere umano che liberi le coscienze, senza sognare riforme dall’Alto.
E ciò è possibile. Basta avere il coraggio di credere senza affidamento cieco al mito, ma senza spirito iconoclastico, senza esaltazioni per una fede (ahimè) progressista.

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