- MITO
ATTORNO AL NATALE
BABBO NATALE. E’ elemento importante della
tradizione occidentale, oltre che in America Latina, in Giappone ed in altre
parti dell’Asia orientale.
Oggi riunisce le rappresentazioni premoderne
del portatore di doni, di ispirazione religiosa o popolare, con un personaggio
britannico preesistente, rappresentato come un signore barbuto e corpulento,
vestito di un mantello verde lungo fino ai piedi e ornato di pelliccia:
rappresenta lo spirito della bontà del Natale. E’ da identificare con Santa
Claus, nome olandese derivato da san Nicola.
L’ALBERO DI NATALE. E’ forse la tradizione
natalizia oggi più diffusa. Infatti l’immagine dell’albero è legata al rinnovarsi
della vita. Un albero sempreverde richiama il perpetuarsi della vita anche
nelle condizioni più difficili come l’inverno.
Tutte le culture hanno almeno un simbolo
legato all’albero (per esempio il Brahman per gli indiani o l’Albero della Vita
nella Genesi).
Nel nostro Occidente le sue origini risalgono
al 1512 circa in Alsazia, regione del Nord Europa, dove nella stagione fredda
si appendevano alcuni frutti ad un abete.
La MANGIATOIA. Il fatto che Gesù sia nato in
una mangiatoia è narrato da Luca e da Matteo, forse ispirandosi all’usanza
dell’oriente dell’epoca di rifugiarsi nelle grotte naturali o nelle stalle
durante un lungo viaggio. Origene, ispirandosi a questa tradizione e facendosi
interprete delle profezie di Abacuc e di Isaia, introdusse le figure del bue e
dell’asino che scaldano il Messia.
Nel 329, Sant’Elena, madre dell’imperatore
Costantino, fece edificare la Basilica della Natività a Betlemme, proprio nel
luogo in cui si pensa che Gesù sia nato. Per realizzare tale progetto fu
necessario distruggere il bosco voluto dall’imperatore Adriano nel 135 come
luogo per adorare il dio Adone.
IL PRESEPE: Il termine presepe deriva dal
latino prae-saeps, chiudere con una siepe, indicando così la mangiatoia.
La sua rappresentazione in Italia nacque da
un’idea di San Francesco, a sua volta ispirato, probabilmente, da una funzione
vista a Betlemme. La propose a Greccio (Rieti) nel 1223. Il più antico
presepe (per lo più resti di una culla in legno di un’opera creata nel 1280 da
Arnolfo di Calbio) è conservato nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma.
LA BEFANA. La versione più antica e più
veritiera sulla Befana apparterrebbe ai Celti, che usavano bruciare grandi
fantocci di vimini per adorare le loro divinità. Spesso questi fantocci
ritraevano le sembianze di una vecchia; per questo motivo la befana potrebbe
avere qualche analogia con i pupazzi che vengono messi al rogo in piazza
l’ultimo dell’anno.
-
LIBERARSI
DAI MITI?
Quando
le domande dei bambini sulla verità dei racconti leggendari si fanno incalzanti,
è meglio raccontare la verità, stando attenti a non spegnere il desiderio
dell’ignoto, nel quale si radica il fascino del leggendario, di cui
l’immaginario ha bisogno più di quanto pensiamo. I miti non si uccidono mai in
maniera indenne. Infatti essi sono la modalità con cui il mondo stesso e le
creature viventi hanno raggiunto la forma presente in un certo contesto
socio-culturale o in un popolo specifico. Uccidere i miti è in un certo modo
uccidere Dio, meglio: il nostro desiderio di trascendenza, senza la quale
l’umano è ben povero.
- SE IL MITO SI
INFRANGE
Per
entrare nel cuore del mito e dell’angoscia per la sua distruzione, vale la pena
leggere un passo tratto da La gaia scienza, aforisma 125 di Nietzsche:
Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla
chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: Cerco
Dio! Cerco Dio!
E
poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in
Dio, suscitò grandi risa. E’ forse perduto? disse uno. Si è perduto
come un bambino? fece un altro. Oppure sta ben nascosto? Ha paura
di noi? Si è imbarcato? È emigrato?, gridavano e ridevano in una gran
confusione
Il
folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove
se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi
ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto
questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci
dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a
sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora?
Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno
precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste
ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito
nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non
seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la
mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non
udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione?
Anche
gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!
Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più
sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto
i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo
noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare?
Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi
stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai
un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in
virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte
le storie fino ad oggi!
A
questo puntò il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi
ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a
terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. Vengo troppo presto
- proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora
per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle
orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle
costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state
compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più
lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che
l'hanno compiuta!".
Si racconta ancora che l'uomo
folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi
abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i
sepolcri di Dio?.
- QUALE
COMMENTO
a.
CULTURALE [chi vuole salti e passi a b.]
Zarathustra (mitico profeta in cui Nietzsche si identifica) annuncia
e cerca di realizzare il progetto di una radicale trasformazione, che,
affrancandosi dagli errori e dagli impedimenti del passato, prospetta un futuro
radicalmente rinnovato. Il punto di partenza è costituito dal concetto della morte di
Dio, espressione metaforica che deve essere intesa
in senso lato, come tramonto di un'era e crisi di un'intera civiltà, che ha
soffocato e distrutto valori e aspirazioni.
Sul piano storico il bersaglio polemico è costituito dalla
società borghese, accusata di calpestare e negare ogni ideale di bellezza e
grandezza. La sua concezione della vita, bollata come vile e spregevole, si è
ridotta al culto del denaro, a un puro calcolo di interessi, alla grettezza di
ambizioni egoistiche e opportunistiche, fino a svalutare completamente la
natura stessa dell'uomo. Nietzsche coinvolge in un comune giudizio di condanna,
anche la morale cristiana, che, predicando l'umiltà e la sopportazione, ha reso
gli individui succubi e schiavi, contribuendo a trasformare l'umanità in una massa
amorfa e impotente, priva di slanci e di volontà. La stessa speranza in una
vita ultraterrena, come promessa di una felicità difficilmente raggiungibile in
questo mondo, non ha fatto che ribadire una condizione del tutto negativa.
Per reagire a questa situazione, Nietzsche nega l'uomo (che
considera in senso ancora positivistico e più precisamente darwiniano, come
derivato dagli animali), affermando che l'uomo va superato. Egli ne propone
quindi un'immagine profondamente diversa e alternativa, auspicando che l'uomo
riconquisti le sue prerogative più nobili ed elevate, diventando lui stesso,
finalmente, il senso della terra
Nel pensiero nietzschiano agiscono suggestioni culturali
profonde: l'idea dell'individuo dominatore e padrone di sé, che vive in un rapporto
libero e diretto con gli elementi della natura, diffusa in tanti testi della
letteratura greca; la ripresa di questo mito classico già tentata dal
Rinascimento italiano, che, soprattutto sul versante del Neoplatonismo
fiorentino, si era a lungo impegnato nel dibattito sulla dignità dell'uomo,
sulla sua eccellenza e sulle sue capacita creative.
La celebre affermazione di Nietzsche, secondo cui l'uomo è
una fune tesa fra il bruto e l’oltre-uomo, ricorda la
concezione di Marsilio Ficino, che considera l'uomo come un essere intermedio
fra gli animali e Dio; sta a lui decidere a quale di questi due termini
avvicinarsi, con la volontà di una libera scelta, che lo rende artefice del
proprio destino.
Come metafora di questo desiderio, l’oltre-uomo rappresenta prima
di tutto un'esigenza di totale liberazione, che nasce da una critica radicale e
impietosa nei confronti degli aspetti negativi e distorti dell'intera ideologia
borghese. È questa l'autentica carica innovatrice ed eversiva della filosofia
nietzschiana, mentre più incerte e confuse restano le ipotesi di soluzioni
alternative, espressione più di una generica aspirazione che di un progetto
concreto (del resto la forza straordinaria del pensiero di Nietzsche consiste
soprattutto nel suo carattere negativo e asistematico).
Certamente la concezione espressa da Nietzsche nelle sue
opere resta fortemente individualistica e aristocratica, sul piano culturale e
su quello sociale; ma utilizzarne il pensiero, per giustificare le soluzioni
politiche forti e le dittature di destra, è stato il frutto di
un'interpretazione arbitraria, dovuta a una lettura parziale e meccanica.
L’ispirazione nietzschiana resta sostanzialmente religiosa,
in quanto Zarathustra si presenta come il depositario e il profeta di una nuova
verità; per questo viene deriso e oltraggiato dalla gente, che lo considera
alla stregua di un buffone (Nietzsche introduce spesso tematiche di tipo
carnevalesco, che rovesciano le convinzioni ufficiali e i luoghi comuni).
La
morte di Dio, annunciata in piazza a gran voce da un folle, ha un significato
che oltrepassa una semplice professione di ateismo. Nietzsche infatti non si
domanda se Dio esista o no, come fa l'ateo che contrappone un'opinione (Dio
esiste) ad un altro convincimento (Dio non esiste), perché altrimenti rimarrebbe
nell'ambito dell'ideale metafisico della verità, che, a suo parere, non può
essere in alcun modo raggiunta. Dichiarando ufficialmente la morte di Dio,
egli intende dire che è tramontato tutto quel sistema di valori trascendenti
che la tradizione culturale aveva creato e sul quale aveva costruito per
duemila anni la sua fede, la sua morale, la sua concezione dell'essere come
opposto al divenire, la sua certezza di verità, il suo superficiale ottimismo
razionalistico.
Aggiungo una breve modesta considerazione. Nietzsche, volendo
distruggere il mito, sa lo scotto che l’essere umano deve pagare. Proprio a
questo punto c’è da ricordare come il culmine del suo pensiero è, non tanto la
morte di Dio, bensì l’adesione al destino – amor fati – che è forma
eroica di adesione al tempo, ai suoi limiti (ricordo Simone Weil e il suo motto
“obbedire al tempo”). La grandezza dell’essere umano, in ultima istanza,
consiste nell’accettare il limite. Ma …. perché spegnere elementi costitutivi
della storia, come i miti? perché varcare i limiti dell’umano? perché
accettarli in maniera così seriosa? Un presepe con la sua greppia è mito di
semplicità incantevole, avvolta di fascino, e parla al cuore. Ben altra cosa è
strumentalizzare il mito, trasormandolo in idolo religioso.
b. ACCESSIBILE A TUTTI
La
scommessa di cui parla B. Pascal è di più facile e generalizzato
approccio, tanto che i suoi Pensieri hanno trovato il favore di un vasto
pubblico tra i libri da scegliere proposti nell’Anno della Fede (su Dio si può
scommettere, ma è bene ricordarsi che è in ballo il destino umano, anziché
quello di Dio).
Tra
la gente anche di scarsa cultura fioriscono gruppi di spiritualità intrisa di
tendenze naturistiche (in primis ecologiche). In essi si fa appello alle energie
nascoste nell’essere umano, che spiegherebbero più di quanto non possano
le religioni; intanto si fa ricorso alle potenzialità umane, come se esse
fossero capaci di autonomi assoluta.
La
fede, intesa in senso tradizionale, è appagante per i più, comprese,
stranamente, persone di cultura e di aspirazione religiosa: il mito della
santità personificata in personalità profetiche – cantautori, benefattori
umanitari, premi Nobel eccetera – che si discostano dai santi aureolata nella
chiesa cattolica (!).
Eppure
non ci vuole un Nietzsche, e nemmeno un Pascal, per entrare nell’ottica pura e
semplice del bisogno di Dio di cui parlano i mistici. Le dogmatizzazioni
cattoliche, ma anche altre dogmatizzazioni sottese in altre chiese cristiane e
non (basti pensare al musulmanesimo), impediscono il cammino verso la verità
di Dio e dell’essere umano che liberi le coscienze, senza sognare riforme
dall’Alto.
E ciò è possibile. Basta avere il coraggio di credere senza
affidamento cieco al mito, ma senza spirito iconoclastico, senza esaltazioni
per una fede (ahimè) progressista.
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