venerdì 17 gennaio 2014

II domenica T. O. anno A


II Domenica T.O. anno A
Is 49, 3. 5-6
Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza - e ha detto: È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra.
1Cor1,1-3
Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Gv 1-29-34
29 In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: 30 Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: 31 "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele. 32 Giovanni testimoniò dicendo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". 34 E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.
1) INTRODUZIONE
Oggi è la II domenica del tempo ordinario.
Il termine ordinario è, da un punto di vista letterale, un tempo non interrotto da eventi significativi. Potrebbe essere perciò un tempo amorfo  per chi vuole evitare la stanchezza e la noia dell’abitudine; ma potrebbe essere un tempo illuminato da luce senza intermittenza e vivificato da calore assiduo: luce e calore provenienti da una Fonte non fatta di piccole novità che invecchiano. La differenza sta tutta nella Fonte della novità: quella sostanziata di cose transeunti, e quella sostanziata di Verità.
Apriamo subito una parentesi che ci permetta di puntare l’attenzione sulla parola-chiave della liturgia di questa domenica: il VEDERE ILLUMINATO. Infatti nel breve racconto dell'evangelista Giovanni, si può cogliere la dinamica attraverso la quale il Precursore giunge alla splendida conclusione del versetto 34 E io ho visto e ho testimoniato, dopo essere partito dall’ Io non lo conoscevo del versetto 31.
Solo i mistici sono capaci di uno sguardo illuminato sulla realtà di se stessi e del mondo. Ma  i mistici non sono una categoria di persone eccezionali, bensì persone che sanno vedere oltre le apparenze.
Qualche esempio:
E’ interessante ricordare il detto di un laico come Arnoldo Foà, attore, regista, doppiatore e scrittore italiano, spentosi il 16 gennaio scorso: le cose vere sono eterne (cioè capaci di non-finire).
Riandando alla mistica collaudata storicamente, tipico è il caso di una fanciulla vissuta nel XVI secolo spagnolo, e che sarebbe divenuta la futura Teresa d'Avila. All’età di sette anni tentò di fuggire via dalla casa paterna con un suo fratellino per farsi decapitare dai mori. Spiegò ai suoi genitori: Sono scappata perché voglio vedere Dio, e per vederlo bisogna morire.
VEDERE DIO è il desiderio di tutti coloro che, stanchi di essere sepolti entro le macerie di desideri caduchi, aspirano a contemplare in tutto il mistero di Dio. Nessuno può farlo da sé; bisogna aprirsi al manifestarsi, al farsi vedere di Dio.
La tematica del VEDERE è presente anche nelle prime due letture:
a) Is 49, 3. 5-6
Questi versi costituiscono uno dei  quattro canti del servo sofferente, dove si parla di colui “che si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori” come se il castigo si fosse abbattuto su di lui. E c’è una una investitura del profeta, al quale Dio promette: È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra.
b)  1Cor1,1-3
Nella lettura di questo brano, Paolo mette davanti agli occhi dei cristiani di Corinto, affetti da rivalità, divisioni, indifferenza reciproca, la superiore unità di tutti coloro che formano la Chiesa di Dio. Il Grazia e pace a voi è saluto tipicamente cristiano; anzi, più che saluto è annuncio gioioso, dichiarazione rassicurante. La grazia è l'amore totalmente gratuito di Dio che ha raggiunto il suo culmine nel dono che ha fatto Gesù della sua vita. La pace è l'insieme di tutti i beni che si possono desiderare, e cioè la pienezza della comunione con Dio e tra gli uomini. È questa l'identità cristiana che accomuna tutti i credenti, anche se appartengono a confessioni diverse, e raggiunge anche i non-credenti.
2) ANALISI TESTUALE
29 In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: 30 Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto:
Questa pericope è la risposta alla domanda “Tu, chi sei” rivolta a Gesù, di cui parla lo stesso evangelista in 8,25.
Erano trascorsi quaranta giorni da quando aveva versato l'acqua del Giordano sul suo capo e l'aspetto di Gesù doveva essere tanto mutato che il Battista, vedendolo, rimase sconvolto. Certamente il Battista aveva tanto desiderato e sperato di incontrare Gesù. E il momento è arrivato. Nel dire vedendo, non parla della sua percezione visiva, perché sa che la realtà più vera rimane sempre nascosta; egli parla della sua esperienza spirituale di Gesù attraverso la figura dall’Agnello. I discepoli del Battista non potevano sapere che cosa volesse dire il loro maestro, perché nel tardo giudaismo era ignota l'immagine di un redentore come agnello. Noi invece sappiamo che nel Nuovo Testamento agnello ricorre quattro volte  e sempre in riferimento a Gesù. Sappiamo che fin dagli inizi la comunità cristiana vide Gesù come egli vide se stesso, e cioè come il servo di Dio, innocente, sofferente e paziente, raffigurato da Isaia. Sappiamo che in aramaico talja significa sia agnello che servo, e che in Gv19,36 Gesù viene paragonato all'agnello pasquale, come si desume dal fatto che la crocifissione ebbe luogo in coincidenza con la Pasqua ebraica e addirittura con l'ora stessa in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli per il sacrificio pasquale. Ma forse soprattutto sappiamo: che l'agnello immolato è immagine di un amore e di una obbedienza che vanno fino alla Croce.
L'agnello è definito di Dio; cioè è donato da Dio all'umanità.
L’agnello è colui che toglie il peccato del mondo!
C'era nell’AT il giorno dell'Espiazione (Yom Kippur), in cui veniva preso un capro, sul quale venivano caricate simbolicamente tutte le colpe del popolo. Poi veniva mandato a morire nel deserto. Da questo fatto è nata l'espressione ‘il capro espiatorio’ per indicare la persona che prende su di sé colpe non sue; tutti i popoli in ogni tempo hanno fatto i sacrifici per liberarsi dalle proprie colpe.
L'opera di questo agnello, figura quanto mai inerme e fragile, è poderosa:  toglie, cioè distrugge  il peccato del mondo. Il peccato del mondo è la forza del male, che è ribellione a Dio, rifiuto egoistico e inimicizia contro di Lui. È il peccato con l’articolo determinativo e al singolare, cioè il peccato comune a tutta l’umanità.
[L’aspetto sacrificale dell’Agnello ha avuto un percorso storico che merita un qualche approfondimento. Per questo rimandiamo alla NOTA CONCLUSIVA di questo post].
31 “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele.
Nelle azioni e titoli vertiginosi che il Battista applica a Gesù si coglie la sorpresa e la gioia intima del testimone, innamorato di lui, felice di poter estendere la rivelazione che ha ricevuto.
32 Giovanni testimoniò dicendo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
Giovanni Battista fonda le sue affermazioni sconvolgenti sull'esperienza fatta subito dopo il battesimo di Gesù: egli ha contemplato e ha capito che Gesù, possedendo in pienezza (questo è il senso del rimanere) lo Spirito, lo può a sua volta comunicare. La colomba è immagine equivalente ad agnello per mitezza: le sua caratteristiche in quanto volatile si addicono a raffigurare la discesa dall’alto dello Spirito.
33 Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo".
Giovanni, essendo vero profeta del Signore, non rende testimonianza a Gesù in virtù di una voce ascoltata nell'intimo del suo cuore o delle sue orecchie, ma perché il Signore gli ha rivelato chi è in verità Gesù
4 E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.
Si conclude così il passo del Vangelo di questa domenica. La conoscenza di Gesù a cui perviene Giovanni è una conoscenza non chiusa su di sé, ma diffusiva e irraggiante. Si tratta di un movimento pasquale che fa passare dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza.
L’espressione Figlio di Dio si riferisce nei vangeli al Messia.
La prima formulazione dottrinale che identifica in Gesù la Persona divina risale al concilio di Nicea, tenutosi nel 325, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino, il quale si proponeva, per fini politici, di dare unità alla chiesa.
NOTA CONCLUSIVA
L’aspetto sacrificale della figura dell’Agnello ha determinato l’impostazione ecclesiastica fondata sul celibato dei pastori della Chiesa, divenuti “casta sacerdotale” sul modello veterotestamentario.
Un celibato inteso come rinunzia totale, appunto sacrificale, espiatorio (dei peccati soprattutto sessuali!) del consacrato, di genere maschile e non sposato, e solo di conseguenza esteso al genere femminile sottomesso a quello maschile.
L’influenza di questo aspetto va oltre la stessa casta e oltre la chiesa che si definirà cattolica. Ha creato un clima che tutt’oggi si respira, indirettamente, anche nelle chiese dove il celibato ecclesiastico non è praticato e al di là dei confini del cristianesimo [ma forse la tendenza è preesistente allo stesso cristianesimo, e quindi si dovrebbe pensare ad un fattore antropologico].
Un celibato che  favorisce fanatismi nella gente comune, avida di un sacro idolatrico protettivo, anche per via dell’austerità, spesso formale, dei “consacrati”.
Nella chiesa che si definirà cattolica, il fenomeno ha radici nel senso dato all’Agnello sacrificale, come risulta dalla vita di un dotto  padre della Chiesa, Gerolamo, traduttore della Bibbia in latino nella così detta Vulgata. La sua morte avvenne nel 420, proprio nell’anno in cui il celibato (da lui propugnato in modo fanatico in contrasto col fatto che era largamente disatteso) venne imposto al clero da una legge dell’imperatore Onorio. E’ vero che lo stesso Gerolamo dovette avere dei ripensamenti sul senso di austerità di vita che egli vedeva collegato al celibato. Così egli riproduce il senso di colpa da cui Dio lo vuole guarire in un passo delle sue memorie: Cosa vuoi ancora da me Signore? Mi sembra di averti dato tutto. Cosa resta?; e il Signore gli risponde: dammi il tuo peccato.
Non pare che Gerolamo avesse ‘capito’ il senso della sua illuminazione.
Tanto più potrebbe capirlo oggi la gente comune, affascinata dal consacrato, diverso dagli altri anche in virtù del suo celibato.
Non sarà l’illuminismo (con lécrasez l’infâme di Voltaire) a sradicare un’idea cosi miope di celibato; e non basta nemmeno l’elaborazione della psicologia del profondo. Ma questa può aiutare a vedere il celibato consacrato (o comunque per scelta superiore), non come restrizione, bensì come orientamento delle energie vitali nella direzione di una pienezza di realizzazione umana su un piano diverso da quello biologico.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Perchè? Avendo una vita sessuale ci si realizza solo sul piano biologico? Messa così sembra proprio che la castità sia elemento fondamentale per una vita spirituale. Cosa che non è, a mio parere. Io penso che la vera castità non sia tanto scelta, quanto parte dell'individuo, del suo essere. E quindi vive, la sua spiritualità in modo a lui congeniale ma non migliore ne peggiore di qualcun altro.
Sonia

Ausilia ha detto...

“La pienezza di realizzazione umana su un piano diverso da quello biologico” di cui parlo non vuole essere un deprezzamento del piano biologico, ma una puntualizzazione sul dato di fatto che si può vivere la biologia anche (sottolineo ANCHE) in modo appagante per la persona senza la soddisfazione sul piano sessuale: ciò si può verificare per alcuni in certi periodi dell’esistenza e per alcuni tutta la vita.