venerdì 6 ottobre 2017

DOMENICA XXVII T.O. anno A


DOMENICA XXVII T.O. anno A – I  v i g n a i o l i   o m i c i d i

                           
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33 Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35 Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36 Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. 38 Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?. 41 Gli risposero: Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo. 42 E Gesù disse loro: Non avete mai letto nelle Scritture: / La pietra che i costruttori hanno scartato / è diventata la pietra d’angolo; /  questo è stato fatto dal Signore / ed è una meraviglia ai nostri occhi? 43 Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

 

C o m m e n t o

1) LA VIGNA, I VIGNAIOLI, ISRAELE, LA CHIESA

La Liturgia odierna è dominata dall'immagine della vigna, di per sé è riposante, ma che è attraversata dalla drammaticità del racconto; e dall’immagine del padrone,,simbolo di Dio, che profonde ogni premura su di essa perché porti abbondanza di frutti gustosi, da cui estrarre il vino, simbolo di gioia, di festosità, di ebbrezza e anche di amore.
Al di là del confronto puramente materiale, l'analogia diventa più significativa se viene trasferita sul piano dell'allusività simbolico-storica: forse siamo al tempo della devastazione del regno del Nord da parte degli Assiri nel 721; o al tempo del saccheggio di Gerusalemme nel 586.
E’ certo che la situazione economica della Galilea di duemila anni fa era grave. Il terreno coltivabile era in gran parte nelle mani di grandi proprietari stranieri, che molto spesso avevano la loro residenza all’estero. Le vigne venivano date a mezzadria; e, poiché i padroni abitavano all’estero, si rendeva necessario l’invio di servi-esattori per la riscossione dell’affitto pattuito.
Il padrone di cui tratta la pericope non parla mai direttamente con i lavoratori, ma dimostra di essere esigente, e poi, quando si avvede dell’infedeltà del Suo popolo, appare quale giudice severo che abbandona il suo popolo alla collera dei nemici. Cosa, questa, che sorprende se non si conosce il significato del racconto.
Ascoltiamo anzitutto un tratto della prima lettura, nella quale Isaia si esprime poeticamente col suo canto della vigna:

Is 5,1-2

Canterò per il mio diletto

il mio cantico d'amore per la sua vigna.

Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle.

Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi

e vi aveva piantato scelte viti;

vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino.

Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica.

Quando il proprietario non trova nella sua vigna che uva selvatica, la sua collera esplode.
Nei seguenti versetti (che non sono in questa pericope) il Profeta denuncia l'ingiustizia sociale, la sopraffazione e la violenza: ecco cos’è l'uva selvatica che la vigna ha prodotto per YHWH, a favore del suo popolo!
[YHWH era (ed è) considerato impronunciabile dagli Ebrei, perché è composto soltanto di consonanti; e, sulla base di antiche traslitterazioni la pronuncia più probabile è Yahwèh; nome sostituito in seguito con il generico Adonày.
L’antica traduzione greca dei Settanta aveva reso quel nome sacro con Kyrios, Signore. La parola ‘Dio’, invece, proviene dal greco Zeus].
L'amore più tenero e più disinteressato è stato dunque tradito: Israele non ha saputo esprimere la fedeltà al suo Dio amando i fratelli; ed essi stessi riconosceranno che il giudizio duro di Dio è giusto, anche se di condanna.

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Questo contenuto che risale all’AT, lo ritroviamo riprodotto nel Vangelo, nella “parabola dei vignaioli omicidi”, che è comune nei tre Sinottici, ma che Matteo presenta con alcune varianti redazionali di notevole interesse per la tematica ecclesiologica. Egli descrive, attraverso la parabola, alcune tappe della storia della salvezza particolarmente drammatiche: i servi, che i vignaioli successivamente espleteranno un vero e proprio massacro, rappresentano coloro che mai hanno ascoltato i Profeti, mandati più volte da Dio ad ammonire Israele. Tra non molto anche Gesù, rivolgendosi alla Città santa, dirà accoratamente: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto (Mt 23,37).
Nell'ultima tappa dei tentativi fatti, il ‘padrone’, cede all’amore per la vigna e manda il figlio, l’unico che ha diritto all’eredità, a risolvere la situazione. E’ il punto più drammatico, culminante, del racconto, da considerare analogia della storia della salvezza. Quando il padrone tenta l’estremo salvataggio dell’invio del figlio, i vignaioli, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero (v.39).
Una nota è interessante. L’analogia ‘calza bene’. Il progetto e anche l'azione omicida dei vignaioli contro il figlio del padrone non erano del tutto gratuiti o completamente folli: sembra infatti che, secondo le disposizioni di legge allora vigenti sulla eredità, un podere, alla morte del proprietario che non avesse eredi, sarebbe passato nelle mani del primo occupante.
Però la storia non poteva fermarsi qui.
Che cosa poteva fare il padrone della vigna davanti a tanta durezza di cuore dei suoi vignaioli? È ciò che Gesù domanda al termine della parabola, provocando i suoi ascoltatori ad una risposta che li coinvolgesse nel dramma. Ed essi rispondono con sincerità, pensando però che il dramma non riguardasse loro: Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo (v. 41).
In rapporto al canto della vigna di Isaia, qui c'è una novità: nel Profeta leggiamo che YHWH distrusse la sua vigna; qui Gesù invece dichiara che solo i vignaioli saranno puniti, mentre la vigna sarà data ad altri che la faranno fruttare al tempo giusto (v.40). La storia della salvezza, infatti, non può finire in uno scacco di Dio.
La rivalsa [termine che può andare bene per la parabola, non per la realtà corrispondente] di Cristo che agisce in nome di Dio è espressa con le parole che seguono immediatamente: Non avete mai letto nella Scrittura: la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? (v. 42).
GESU’ PIETRA ANGOLARE (largo uso dell’espressione dall’Antico al Nuovo testamento)
Dobbiamo ripartire da Isaia.
In un passo della scrittura (Is 28,16), dice: io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso; ed aggiunge: onore dunque  a voi che credete, ma per quelli che non credono, la pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata sasso di inciampo e pietra di scandalo (Is.8,14).
Nella pericope odierna la riflessione sulla PIETRA SCARTATA riguarda ciò che impropriamente è chiamata la rivincita del Cristo (temine che non si addice a Colui che si è proposto in veste umile).
Nell’interpretazione collettiva la pietra era l’Israele che, rigettato e scartato da Signore con l’esilio, viene poi riabilitato, realizzando una missione universale in mezzo a tutti i popoli. Nell’interpretazione storica si può alludere anche alla ricostruzione di Gerusalemme.
Pietro in Atti, 4,11-12 applica questa immagine a Gesù, con l’aggiunta “in nessun altro c’è salvezza. Non vi è infatti altro nome dato agli uomini, nel quale dobbiamo essere salvati”.
Lo stesso, dopo aver citato Isaia, parla dei nuovi battezzati, che, come bambini appena nati, devono nutrirsi del latte genuino e spirituale, cioè della parola di Dio. Essi si sono avvicinati a Cristo, “pietra viva, rifiutata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio”, e  perciò sono costruiti “come edificio spirituale (la Chiesa), per un sacerdozio santo, e per offrire spirituali a Dio mediante Gesù Cristo”.
E, citando Isaia che dice (Is 28,16) “ecco io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso”, aggiunge: “onore dunque  a voi che credete, ma per quelli che non credono, la pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata (Sal.118,22) “sasso di inciampo e pietra di scandalo” (Is.8,14).
Anche Paolo in Efesini, Ef 2,19-20 usa l’immagine della pietra angolare (Sal.118,22) in chiave ecclesiologica.  Egli ricorda ai cristiani di Efeso che un tempo erano lontani, e ora sono diventati vicini grazie al sangue di Cristo (Ef,2,13): “ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo” e conclude: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù”.
 
TERMINIAMO CON LA SECONDA LETTURA
PAOLO scrive così agli Efesini: Fil 4, 6-9
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!
La cosa più significativa di questo brano è che Paolo esorta i cristiani a compiere tutto quello che è "naturalmente" onesto, giusto, nobile.
Il cristianesimo, infatti, non deve allontanare dall'impegno di attuare, insieme a tanti altri, i valori e le istanze più comuni della vita e della convivenza umana: però il credente trae la sua ispirazione di fondo, per valutare "tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile", ecc. (v. 8), dagli insegnamenti e soprattutto dall'esempio di Cristo e [detto senza falsa modestia] di lui stesso (v. 9). Inoltre, attinge la sua forza per fare tutto questo dalla preghiera (vv. 6-7).
L'ideale operativo del cristiano, perciò, è tutt'altro che un ideale storico, o meramente umanistico, o prassistico; anche se è sempre giusto partire da ciò che è umano.

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