sabato 18 giugno 2016

DOMENICA XII T.O. anno C


DOMENICA XII T.O. anno C

 

Lc 9, 18-24

 

18 Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19 Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. 22 «Il Figlio dell’uomo -disse- deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». 23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24 Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.
 
COMMENTO
 
18 Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare
Questo versetto rispecchia la percezione che ha Luca dell’identità di Gesù e della sua missione. Ce lo presenta costantemente pellegrino, in cammino verso Gerusalemme. La Sua missione aveva avuto inizio nel Tempio, simbolo del popolo dell’Antica Alleanza, e lì si consumerà sulla croce, fonte di risurrezione, per dare inizio al popolo della Nuova Alleanza, rappresentato dalla comunità dei discepoli.
Nella pericope di oggi Luca sembra ci voglia dare un’immagine sintetica di tutto ciò.
E’ da notare un dettaglio significativo. Il testo greco non dice Gesù si trovava in luogo solitario come dalla traduzione riportata dalla liturgia. La versione corretta dal greco è: si trovava da solo. La solitudine di Gesù nel pregare evidenzia il bisogno che Lui ha della comunicazione intima col Padre; nel mentre sottolinea l’immaturità dei seguaci, poco compresi del senso della Sua missione nel mondo, che tra poco toccherà a loro di continuare.
Uno de padri del deserto ci lascia questo memorandum: “Non  potrai trovare la fede se non la desideri come l’aria per respirare”. Ciò vuol dire che la fede deve essere implorata quale elemento indispensabile, come l’aria lo è per la vita naturale.
Mi pare interessante sottolineare pochi passaggi del percorso di fede necessario per considerarsi seguaci di Cristo: a) rendersi conto che la fede è fondamentale, b) abituarsi a considerarla più desiderabile di ogni altro bene; c) implorarla come nel salmo 62 (che leggiamo nella liturgia di oggi): O Dio, tu sei il mio Dio, / dall’aurora io ti cerco, / ha sete di te l’anima mia, / desidera te la mia carne /  in terra arida, assetata, senz’acqua. Il salmo ritrae la tensione verso un Dio da cercare ed amare, e la preghiera come sete fisica e spirituale perché ne sono coinvolti anima, corpo, esistenza, storia, speranza.
 
19 Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Questo versetto dimostra quanto fosse diffusa l’idea che Gesù fosse la reincarnazione a) di Giovanni Battista, b) di Elia, il profeta destinato a ritornare in vita, c) di qualche profeta antico. In realtà tutti stentavano a riconoscere in Lui il vero Messia, tanto meno in vesti umili.
20 Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Luca riproduce con efficacia rappresentativa la risposta di Pietro, nella quale si traduce il suo posto in seno al gruppo, assieme alla sua immediatezza. Ma cosa intende dire Pietro con la sua risposta «Il Cristo di Dio»? Il greco Christos rende l'ebraico Mashiah, Messia, usato nell’AT per designare l'Unto, il consacrato da Dio in vista di una missione. Una risposta in cui risulta chiara la lontananza di Pietro dalla mentalità che Gesù voleva creare nei Suoi.
21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.
Di fronte alla risposta di Pietro, Gesù assume un atteggiamento severo; infatti ingiunge di circoscrivere di segretezza quell’identità così spavaldamente recitata. Parecchi esegeti commentano che la figura del Messia in quei tempi era troppo politicizzata da passare inosservata e che quindi non andava diffusa prima che avvenisse un cambiamento di mentalità di grande rilevanza. E non pochi parlano della reticenza voluta da Gesù rispetto a quello che era considerato un segreto messianico; e per convalidare tale ipotesi richiamano il silenzio sulla Sua persona, che Gesù spesso imponeva dopo aver operato delle guarigioni o la liberazione da qualche potenza demoniaca.
Forse è meglio riflettere, in questa costruzione lucana dell’episodio, sul metodo pedagogico adottato dal Maestro per avviare i Suoi a riconoscere la necessità della sofferenza: verità troppo dura, che poteva spaventare chi voleva seguirLo senza un’adeguata formazione. Oggi può verificarsi qualcosa di peggio: accantonare la ricerca della vera fede o sostituirla con semplificazioni più allettanti: devozionalismo, infatuazioni varie per un santo, per un veggente ecc., e sempre con la speranza di ricevere un miracolo, un’assicurazione per la salute, ecc.… Altrettanto pericoloso è agganciare la fede ad ideali assoluti, eroici, col rischio di fanatismi pervasivi, che nulla hanno a che fare con la vera fede, fatta di intimo rapporto con Dio.
22 «Il Figlio dell’uomo -disse- deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Gesù si definisce Figlio dell’uomo. Questa espressione è utilizzata soltanto da Gesù per designare sé stesso (ben 83 volte nei Vangeli).
Può avere vari significati: 1) “uomo, essere umano”, magari con tono enfatico, come si trova in Ezechiele, per indicare la solidarietà con gli uomini a cui il profeta è mandato; 2) un essere a cui Dio conferisce un potere in un contesto di giudizio, come in Daniele 7,13 (appare sulle nubi del cielo): 3) un equivalente del pronome personale io, come si trova in testi rabbinici successivi al I secolo d.C. Probabilmente, scegliendo per sé questa designazione, Gesù combina insieme questi significati, con l’intento sia di correggere le attese messianiche correnti al suo tempo, di carattere trionfalistico, sia di indicare velatamente il suo ruolo di inviato di Dio che resta solidale con gli uomini fin nella sofferenza e nella morte, prima di essere glorificato e di assumere una funzione giudiziale escatologica.
Il deve è da illustrare correttamente. Non è la volontà del Padre a determinare la morte del Figlio. Piuttosto il Padre saprà trarre il massimo del bene dall’uccisione ingiusta del Figlio. Inoltre afferma la presenza silenziosa del Padre in una morte apparentemente assurda. Gli anziani, i capi dei sacerdoti e gli scribi, quindi la parte dominante nella religione giudaica, è principale responsabile della condanna alla morte di croce di Gesù..
23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. In questa frase posta in bocca a Gesù, egli soltanto tra gli evangelisti aggiunge ogni giorno. Si tratta di un dettaglio illuminante: le grandi epifanie di Dio si manifestano nella vita quotidiana. Per Luca c’è nella nostra storia, nella matassa spesso aggrovigliata di singoli fatti, un centro che sostiene il tutto. Egli pare suggerire che la croce di cui parla Gesù consiste nel vivere  la vita così com’è senza pretendere sconti e senza esigere privilegi. Non giova ottenere tutto dalla preghiera se poi si perde il contatto con la vita, fatta di gioie e di dolori.
La proposta di dover soffrire come Lui aiuta a dare alla sofferenza un senso, un significato. Maturare in questa direzione significa l’accettazione (non la passiva rassegnazione) del presente intessuto di costanza anche nella preghiera povera, che cioè non riesce a metterci in contatto con Dio, ma che sarà in grado, quando meno ce l’aspettiamo, di illuminarci su questo mistero.
24 Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la
Il termine ‘vita’ (psychê, anima), designa la persona umana nella sua totalità. Se uno pensa di salvare se stesso rifiutando le prove e le sofferenze della vita, va incontro alla propria rovina. Al contrario, perdendo se stesso, cioè mettendo a repentaglio la propria vita e i propri beni per gli altri, sulla falsariga delle scelte di Gesù, può conseguire la Vita non soggetta alla morte.
 
Da Teresa d’Avila:
- La preghiera è un intimo rapporto di amicizia, un trattenimento con Colui da cui sappiamo di essere amati.
- Ho trovato Dio il giorno in cui ho perduto di vista me stessa.
- [citazione approssimativa:] nella maturità spirituale le ‘estasi’ scompaiono (Teresa di Gesù, Il castello interiore, 1981), in quanto un'autentica esperienza spirituale consente di pervenire ad un miglior equilibrio psicologico, capace di integrare, gradualmente, affettività e ragione, corpo e psiche.
- La santità non consiste nel fare cose ogni giorno più difficili, ma nel farle ogni volta con più amore.

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