venerdì 13 febbraio 2015

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B


VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B

Lv 13,1-2.45-46
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento»
Sal 31
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.
      Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
       non ho coperto la mia colpa.
       Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
       e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!
1Cor 10,31-11,1
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Mc 1,40-45
40 In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato! 42 E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43 E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: 44 Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro. 45 Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Rapido sguardo d’insieme sui testi

La prima lettura dal libro del Levitico (uno dei libri della legge, torah), rivela in modo impressionante la durezza dell'esclusione del lebbroso, non solo dalla società, ma anche da Dio.
Il salmo canta la gioiosa esperienza del perdono di Dio quando si ha l'umiltà di ammettere il proprio peccato e chiederne perdono a Dio. La colpa è coperta da Dio, poiché l'umile fa dimenticare il proprio passato di peccato. L’autore termina il salmo con un invito a prendere coscienza del grande dono dell’unione con Dio: Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Il breve brano di Paolo chiude la sezione dedicata alle carni sacrificate agli idoli con un’esortazione in cui propone un orientamento generale valido in tutti i campi in cui il credente si trova ad operare: Fate tutto per la gloria di Dio. Ciascuno deve porsi come meta, non l’affermazione delle proprie idee e la prassi che ne deriva, ma la gloria di Dio, cioè l’attuazione della sua volontà che consiste nella ricerca del bene comune. Ciò deve avvenire nel campo alimentare (mangiare e bere) che nella cultura dell’epoca condizionava in modo determinante i rapporti tra le persone. Ma in realtà questo principio si applica a tutti i campi in cui le persone interagiscono. L’ambito in cui i corinzi devono cercare la gloria di Dio non è dunque unicamente quello della preghiera, ma anche quello ben più impegnativo dei rapporti comunitari. Sullo sfondo di impegno per gli altri Paolo fonda l’invito a diventare suoi imitatori: la sua richiesta non sarebbe priva di presunzione se lui stesso non fosse imitatore di Cristo.
La pericope di Marco inserisce al termine del primo capitolo del suo vangelo il racconto schematico della guarigione operata da Gesù verso un lebbroso. Mette in luce anche il suo rispetto della Legge  e quindi trova una opportuna collocazione prima delle cinque discussioni con scribi e farisei sulla validità di questa.

Analisi del vangelo

40 In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».
Il breve episodio di guarigione di un lebbroso ha una forma generica; infatti è introdotto senza indicazioni di tempo e di luogo (ma ciò non esclude la sua storicità).
Il lebbroso ha fiducia in Gesù, si avvicina a lui con confidenza, con cautela, con umiltà. È l'unico caso, nel vangelo di Marco in cui un ammalato si presenta da solo, e non chiede la guarigione, ma la purificazione. In lui il desiderio del riscatto sociale è più forte della guarigione fisica.
L'atteggiamento del lebbroso e la sua supplica sono in rapporto con la sua condizione: per i rabbini un lebbroso era come un morto (2 Re 5,7; secondo Nm 12,12 il lebbroso è come un bimbo nato morto) e le prescrizioni di Lv 13, di cui una pericope è proposta nella prima lettura di questa domenica, sottolineano la gravità della malattia che rendeva anche impuri ritualmente.
La richiesta «Se vuoi, puoi purificarmi!» anziché “puoi guarirmi” sottolinea la prevalenza del bisogno di affrancamento dal peccato; altro dato significativo è il riferimento alla volontà di Gesù (caso unico in Marco, sempre preoccupato, nella sua catechesi, di dare al testo un valore cristologico).
41 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!
Con una frase perfettamente corrispondente alla richiesta del lebbroso, l'evangelista riferisce la reazione di Gesù. Quel che è tradotto Ne ebbe compassione, in greco orghistheís, in realtà significa “andò in collera”: forse Marco presenta un Gesù collerico con l’intento di evidenziare la sua capacità di immedesimarsi alla situazione del supplicante. Il gesto -tese la mano, lo toccò e gli disse-, che ha un riferimento al braccio di Dio o di Mosè nell'esodo per compiere prodigi, è scandito dall’evangelista in due momenti (il tendere la mano ed il toccare) nei quali emerge un commovente sentimento di relazione e di comunione con l’emarginato.
42 E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
La purificazione o guarigione è immediata, così che l'azione di Gesù si differenzia da quelle narrate nell'AT, anche se sembra vicina al modello del profeta escatologico (vedi l'episodio di Eliseo) che possiede appunto il potere di guarire.
43 E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: 44 Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro.
Gesù sembra preoccupato di restare nel rispetto della Legge e invita l’uomo con decisione e severità a fare quanto questa prescrive. L'ordine è accompagnato dall'ingiunzione di tacere, a cui si aggiunge l'espressione come testimonianza per loro, che pare avere una sfumatura negativa, forse in riferimento alla situazione della prima comunità cristiana, ancora debole nella fede in Cristo.
45 Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Alcuni esegeti sottolineano il capovolgimento della situazione: l’emarginato è riammesso nella società e Gesù ne è messo fuori. Altri mettono in rilievo la discrezione di Gesù: egli fa ed impone silenzio per non destare l’applauso, per sottrarsi al facile consenso degli altri, per suscitare la convinzione che lui non è un messia in cerca di gloria, o che voglia radunare attorno a sé la folla come un condottiero.

Poche considerazioni

- Ciò che uccide, prima che la malattia o la povertà, è la solitudine che crea una sorta di emarginazione. Ecco perché Gesù non vuole apparire come colui che compie un miracolo-spettacolo; piuttosto crea gesti fatti di contatto umano.
- La divisione tra puro e impuro non ha soltanto un carattere rituale-religioso; è propria di chiunque mette muri tra le persone, le collocazioni sociali, i popoli.
- La solitudine finale di Gesù rimanda alla solitudine del Getzemani e della Croce, dove egli sarà abbandonato da tutti. Ma è proprio questa solitudine, vissuta come ricchezza interiore, a produrre frutti di bene: Emmanuel Lévinas si esprime così: soffrire non ha senso, … ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, cioè, etimologicamente, soffrire con l’altro, ha un senso etico. È la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo.

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