giovedì 11 settembre 2014

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

1) I testi

Nm 21,4b
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè:Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti. Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
Sal 77
Ascolta, popolo mio, la mia legge, / porgi l’orecchio alle parole della mia bocca. / Aprirò la mia bocca con una parabola, / rievocherò gli enigmi dei tempi antichi. / Quando li uccideva, lo cercavano / e tornavano a rivolgersi a lui, / ricordavano che Dio è la loro roccia / e Dio, l’Altissimo, il loro redentore. / Lo lusingavano con la loro bocca, / ma gli mentivano con la lingua: / il loro cuore non era costante verso di lui / e non erano fedeli alla sua alleanza. / Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa, / invece di distruggere. / Molte volte trattenne la sua ira / e non scatenò il suo furore.
Fil 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre.
Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 13 Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

2 La festività

La festività odierna che interrompe il normale ciclo delle domeniche, ha maggiore rilevanza per i cristiani orientali, i quali la considerano quasi una seconda Pasqua.
La Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti e la Chiesa Ortodossa la celebrano il 14 settembre, anniversario del ritrovamento della Croce, avvenuto il 320 da parte di sant'Elena (madre dell’imperatore Costantino).
Nei secoli questa festività incluse anche la commemorazione del recupero della Vera Croce, strappata dall'imperatore Eraclio nel 620 dalle mani dei Persiani.

3 Veloce sguardo d’insieme sui testi

La prima lettura racconta che gli israeliti, dopo essersi ribellati a Dio e a Mosè, vengono puniti. Rientrati in sé, chiedono a Mosè di intercedere presso Dio. Il serpente, segno di morte terrore fallimento sofferenza, diventa segno di vita, allo stesso modo in cui la croce, segno di paura e di morte, diventa segno di Vita.
Il salmo 77 [78 nella Vulgata] con tutta probabilità risale al tempo della riforma di Giosia, che tentò di liberare la Samaria, operando la scissione dalla tribù di Giuda.
Il salmo da cui sono tratti i versetti della liturgia odierna, descrive la sofferta ricerca di Dio da parte dell'autore, la sua impotenza e le domande che lo tormentano.
Accorato il grido del richiamo di Dio che risuona nel salmo: Ascolta, popolo mio la mia legge.
Paolo nella lettera ai Filippesi riprende un inno antico che circolava tra i cristiani, il quale canta l’obbedienza di Gesù al Padre: non l’obbedienza forzata a una volontà superiore e non compresa, ma l’adesione interiore a tutto un programma di vita da non sprecare, da far divenire strumento di dono, cioè di amore.
Giovanni racconta il preannuncio della Pasqua e morte di Gesù attraverso le sue parole rivolte a Nicodemo (il notabile giudeo che si era recato da lui di notte, perché timoroso di subire l'ostracismo dei suoi pari). La quintessenza del discorso è nella distinzione tra Legge antica e Nuova: per raggiungere la pienezza della Vita non è sufficiente condurre una vita secondo la legge di Dio così come era intesa dai farisei, ma bisogna avere in sé la Vita, così come si realizza in Gesù.

4 Analisi di Gv 3,13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
Nicodemo, il cui nome deriva da nike=vittoria e dêmos=popolo, significa vincitore del popolo. Giovanni lo usa per sottolineare la sua appartenenza al gruppo dei farisei che erano fanatici osservanti della Legge e perciò attendevano un Messia interprete ed osservante della Legge.
13 Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
La frase colui che è disceso dal cielo è parallela alla frase che troviamo nel Battesimo di Gesù, in cui l’evangelista afferma, per bocca del Battista, di aver visto discendere su Gesù lo Spirito come una colomba dal cielo. Il termine cielo ha un senso qualitativo: è l’ambito della azione di Dio; quindi discendere dal cielo equivale a ricevere la pienezza dello Spirito.
Figlio dell’uomo è locuzione che indica il prototipo di un’umanità nuova grazie alla pienezza dello Spirito, di cui Gesù è inondato.
14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
C’è qui il riferimento all’episodio della storia d’Israele (prima lettura), accostato alla morte di croce di Gesù: come il serpente di Mosè era un segno di vita che liberava dalla morte, così l’innalzamento del Figlio dell’uomo sarà un segno di quella Vita che libererà l’umanità dalla morte definitiva.
15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
- abbia: fin dalla prima volta in cui in questo vangelo appare il tema della vita eterna (cioè indistruttibile) è riferito, non alla realtà futura, (avrà), ma a quella presente; da qui il congiuntivo presente (abbia).
La funzione che i farisei attribuivano alla Legge quale fonte di vita, viene sostituita dalla persona di Gesù, Figlio dell’uomo, nel quale si manifesta l’amore del Padre.
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicarsi. Gesù incarna tale manifestazione e comunicazione, sicché chi aderisce a lui realizza la sua esistenza in una qualità di vita capace di superare la morte.
E’ da ricordare che nel cristianesimo primitivo era radicata la convinzione che in vita si era già nella condizione di risorti. Nel vangelo di Filippo (apocrifo gnostico molto interessante, scritto in lingua copta nella seconda metà del II secolo) si legge: “Chi dice prima si muore e poi si risorge erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più”.
17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Per la prima volta nel vangelo il verbo mandare (da apostéllō=invio) è adoperato in maniera teologica: Gesù è il nuovo liberatore che dà inizio al nuovo esodo.
La salvezza attraverso il Figlio di Dio, richiede la cooperazione umana, la quale è sostanziata, non di sforzi ascetici o di sacrifici, ma della costante pratica di un amore che assomigli a quello di Gesù (il quale a sua volta si modella sul Padre), cioè amore fedele, gratuito ed incondizionato.

5 Considerazioni

- La parola “croce” deriva probabilmente dal sanscrito krugga che significa bastone; i Greci la chiamarono stauròs, palo; gli Ebrei 'es, albero. Questi nomi indicano l'origine primitiva della croce come supplizio: un albero o un palo al quale i condannati venivano confitti con chiodi, o legati con funi, oppure impalati.
- Nell'Antico Testamento la croce era quasi sconosciuta; però i cadaveri dei giustiziati venivano appesi, ad accrescimento della loro ignominia.
- La croce risponde al bisogno atavico di congiungere la verticalità, intesa come elevazione del terreno al divino, con l’orizzontalità che è sguardo dilatato verso la terra: la congiunzione delle due dimensioni indica la realizzazione della pienezza, alla quale l’essere umano aspira.  
- Nella croce, sia quella monumentale che vuole esprimere il trionfo sulla morte, sia quella formato piccolo, divenuto oggetto ornamentale strumentalizzato da una moda consumistica, viene tradito il vero senso che solo la fede può darle.
- Il simbolo della croce dovrebbe farci volgere lo sguardo a tutti i crocifissi di sempre: i poveri, gli ammalati, i vecchi, gli sfruttati, le persone portatrici di handicap, i torturati senza pietà, i beffeggiati, i condannati al non-perdono per-sempre, tanti altri che vivono il dolore e l'emarginazione da società ingiuste.
- E’ da evitare il duplice pericolo di esaltare una croce triste che è inutile piagnistei e/o una croce trionfalistica, propria dei vincitori terreni. La vera croce è quella che simboleggia il mistero del dolore, il quale non può essere fine a se stesso, ma è efficace strumento di amore integrale.

5 Poesiola

il cielo alla terra si è unito? / anche noi siamo sottratti alla morte? // m’angustiano queste domande / solo nel cuore cerco risposte // fosse solo un istante la vita terrena / dello Spirito è dono d’amore // sul male e sul dolore prospera libertà / di dire quel sì a far nuovi // Cieli e terra


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