venerdì 18 gennaio 2013

Le nozze di Cana


20 gennaio 2013 - II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno C
Isaia 62, 1-5; 1Corinzi 12, 4-11
Giovanni 2, 1-11
1 In quel tempo, il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. 4 E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5 Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6 Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7 E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9 Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10 e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11 Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
P r e m e s s a
Per la prima volta nel Vangelo si parla di Gesù alla testa di un gruppo di discepoli: sta per cominciare la sua attività. Mentre i sinottici, per iniziare il racconto della vita pubblica di Gesù, annunciano la ‘buona novella’, Giovanni presenta la festa delle nozze come la venuta di Gesù tra i suoi. Quasi tutti gli esegeti deducono dall’analisi letteraria che il racconto è simbolico più che un fatto accaduto (p.es. assenza degli sposi, mancanza del vino e di tutto ciò che una narrazione classica non avrebbe fornito). *** Staccarsi da ogni letteralismo nella lettura di questo, come di altri testi, significa percorrerlo senza pretese di riscontrare una conferma univoca di stampo positivista. Ma forse significa altrettanto negare altre pretese odierne di stampo storico-critico. Affermare che i fatti siano avvenuti così come sono narrati è arbitrario quanto affermare che essi siano semplice trasposizione ideologica delle prime comunità cristiane. E’ vero, la preoccupazione confessionale plurisecolare di offrire una lettura della Bibbia determinata da coloro che se ne fanno ‘custodi’, è sfociata, sfocia, in forme omiletiche e pragmatiche di mirato carattere pastorale, le quali hanno poco o niente a che fare con l’accostamento alle tracce di verità disseminate nei testi. Ma proprio in queste tracce si nasconde, mentre si rivela, qualche seme di verità: nel simbolismo che avvolge i testi biblici si apre un canale di conoscenza intuitiva ed immaginifica, intrisa della nobile passione per ciò che c’è di recondito nell’umano. Ma c’è da porsi seri interrogativi sul come ricavarne un metodo sobrio, non ideologizzato ed efficace, e sul come comunicarlo.
L E  N O Z Z E  D I  C A N A
CANA DI GALILEA – A differenza della Giudea, la Galilea starebbe a indicare un ambiente molto più aperto per l’azione di Gesù: con la sua parte montuosa avrebbe favorito la presenza dei nazionalisti ribelli al regime di Gerusalemme. Cana (che gli archeologi pongono addirittura in altro luogo della regione) –qanah- significa acquistare: alluderebbe al “popolo acquistato da Dio”(Es 15,16; Dt 32,6). *** LO SPOSO E IL REGISTRO SPONSALE costituiscono il fulcro di tutta la rivelazione biblica, a cominciare da quella dell’A.T.: sono simbolo del rapporto tra Dio e il suo popolo; così in Osea ed in Ezechiele, in tutta la predicazione profetica, e in maniera eclatante nel Cantico dei Cantici; perfino le parole conclusive dell'ultimo libro biblico sono un’appassionata invocazione a Cristo sposo ad affrettare la sua venuta: «Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni» (Ap 22, 17)». E la prospettiva, di quello che è stato chiamato il mistero agapico, tiene insieme «l'amami!» dell'unico Sposo e «l'ama il prossimo tuo!», introducendo nel cuore del messaggio gesuano. *** IL VINO nell’A. T. è espressione della gioia (Am 9,13-14; Os 14,8; Ger 31,12) e dell’amore fra lo sposo, YHW, e la sposa, il suo popolo. Solo che la classe dirigente si disinteressava della situazione del popolo e non si accorgeva della frattura concreta del patto di amore. Ecco perché il maestro di tavola, l‘architríclin, responsabile dell’organizzazione e dello svolgimento del banchetto, non è al corrente della mancanza di vino; e le giare, descritte con abbondanza di dettagli, sono di pietra come le tavole della Legge di Mosè, vuote come è svuotato di senso il pomposo rituale delle purificazioni, e nel numero di sei, cifra dell’incompletezza come il sesto giorno della creazione (il che postula una nuova alleanza). All’interno di tale simbolismo si nasconde il valore del Regno: vino ultimo (definitivo), migliore (riassuntivo delle qualità di tutti i vini precedenti e cioè dei libri sapienziali), abbondante (in grado di dissetare in pienezza). *** LA MADRE DI GESÙ è chiamata ‘donna’ (n seguito Giovanni userà altre tre volte questo epiteto e sempre senza riferimento all’origine biologica), come mai era avvenuto nell’A.T. L’ordine dato da Maria ai servitori riecheggia quello del faraone in Gen 41,55: “Andate da Giuseppe, fate quello che vi dirà”, ma soprattutto ricorda le parole che il popolo pronunciò sul Sinai: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” Es 19,8. Nel rivolgersi al figlio lei rappresenta la soluzione messianica; l’espressione semitica (lett. “che cosa a me e a te?”) con la quale Gesù le risponde, è tesa a dimostrare che la mancanza di vino è indipendente dalla volontà umana.
C o n c l u s i o n e
C’è un circolo vizioso tra a) critica all’impostazione teologica delle prime comunità, fonte idonea ad alimentare un confessionalismo presente ancor oggi nella chiesa cattolica e, in parte, anche nelle altre chiese cristiane, e b) nuovo affidamento all’impostazione teologica degli assertori dell’incarnazione di Cristo nell’umanità liberata definitivamente da ogni confessionalismo. *** Ci aiuta ad uscire dal circolo vizioso lo stesso testo. Così si esprime il redattore -Gv 2,11- “Questo, a Cana di Galilea fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Emerge a chiare lettere la conferma che la fede dei seguaci di Gesù è fondata sulla manifestazione, nel Messia-Gesù, della “gloria”, la stessa gloria di cui si parla in Esodo 24,15.17, a conferma del legame tra Antica e Nuova Alleanza. I “segni”, lungi dall’assumere un senso miracoloso, sono tracce della “gloria, cioè di quello che è per essi perfetto compimento della promessa messianica. *** Ma come mai i segni perdono le caratteristiche di tracce della verità? La risposta è nella sete infinita di assoluto che c’è nel fondo del cuore umano: è più facile guardare al dito proteso verso la luna che alla luna: tanto da smarrire il valore inestimabile ed inesauribile delle tracce. Vogliamo fare il salto dalla temporalità all’eterno, dal senso del limite all’assoluto, al totale, al definitivo. *** Sì, ha una – forse unica- ragion d’essere il tentativo di fare questo salto: la forza rivelativa della Bellezza; tant’è che Ravasi preferisce affidare alle varie omelie la spiegazione del Vangelo, mentre indugia lungo le vie della Bellezza che immortala il Desiderio umano in ogni cultura tempo luogo. *** Mi piace concludere, come fa lo stesso esegeta, con la teologa tedesca Dorothee Söllle: “Confronta tranquillamente il Cristo con altri grandi; confrontalo con Socrate, confrontalo con Rosa Luxembourg, confrontalo con Gandhi. Lui regge il confronto. Ma sarà molto meglio che tu lo confronti con te stesso”.

8 commenti:

Silvana Cabrini ha detto...

Silvana Cabrini [silvycab@gmail.com]
Il commento porta ad allargare lo sguardo dal racconto e a riconoscere i segni che, come tu affermi, “..lungi dall’assumere un senso miracoloso, sono tracce della “gloria” cioè di quello che è per essi perfetto compimento della promessa messianica” Comprendo che quello che si compie in questa cena è una tappa nella storia della salvezza, non semplicemente un aiuto dato a persone in difficoltà. La mia difficoltà resta quella di carattere umano e psicologico e riguarda il dialogo tra Maria e Gesù. A parte la durezza della risposta mi pare che gli interlocutori si capiscano poco. All’intervento della madre Gesù risponde: “che c’è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora” Credo di capire il significato della parola “donna” anziché quello di “madre” che tende a superare il legame familiare, ma mi pare che la risposta di Maria non sia consequenziale alla risposta di Gesù, perché lei prosegue dicendo: “fate quello che vi dirà”. Mi domando: - Maria aveva già consapevolezza di chi era suo figlio anche se questi afferma che non era ancora giunta la sua ora?

Armando Zecchin ha detto...

armaze@tin.it
bella la presentazione del vangelo delle nozze di Cana, nel cui racconto c'è quasi per ogni espressione un rimando biblico e anche un simbolo nascosto che si rende palese.
Così, di solito, si presenta, presso i dotti in materia, quasi tutto il vangelo di Giovanni.
E se qualcuno, dopo aver sentito queste fondate interprezioni, domandasse: ma dove sta il Geŝu storico di Giovanni? Cioé, una storicità che stia prima della visione di Gesù che Giovanni immette negli episodi o nei discorsi da lui stesso “inventati”?
Su che cosa fondare l’atto di fede che non sia il piacere di credere o il sentirsi in armonia con un tale Gesù, o un ostinato (eroico) credere mentre il terreno si sgretola sotto i piedi?
Cioè: come costruire una rispsota e sintetizzarta in maniera dialogicamente comunicabile?
Armando


Ausilia ha detto...

Sei commovente, Armando. La risposta in parte te la dai tu stesso quando affermi di cercare "una storicità che stia prima della visione di Gesù che Giovanni immette negli episodi o nei discorsi da lui stesso “inventati”.
Riprendo le domande: "Su che cosa fondare l’atto di fede che non sia il piacere di credere o il sentirsi in armonia con un tale Gesù, o un ostinato (eroico) credere mentre il terreno si sgretola sotto i piedi?
Cioè: come costruire una rispsota e sintetizzarta in maniera dialogicamente comunicabile?".
Ebbene NON un 'eroico credere' a tale Gesù, ma un affidarsi alle TRACCE di verità storice e teologica, che tralucono da tutto il simbolismo assunto come fatto storico. Perché non scorgere in tali tracce molto di più di una verità storica ben confezionata? Io vi trovo un Gesù che fa spazio al Dio che in lui si rivela, restando Mistero trascendente.... AMIAMO IL MISTERO così com'è, senza aggiungere tutto quello che è stato aggiunto e, nel medesimo tempo, avendo com-passione per il desiderio umano di assolutizzare la verità.

Anonimo ha detto...

Ma come fa un simbolismo a divenire fatto storico? E' semplicemente assurdo!
Grazie comunque per l'argomento molto interessante.
Elsa

Ausilia ha detto...

Mia cara, non è che il simbolismo diventa storia, ma bisogna guardare al simbolismo con lo stesso distacco con cui ci si pone di fronte alla storia. La fede è tensione verso la verità di Dio che trascende simbolismo e storia

Anonimo ha detto...

In questo caso trascende anche i cosiddetti testi sacri e si può trovare ovunque.
Elsa

Fiordaliso ha detto...

Ovunque? Prego, mi dica!!!!

Anonimo ha detto...

La fine è sorella dell’inizio, recita un proverbio medioevale. Durante la fase intermedia della Passione, anche lì gran parte degli partecipanti sarà ubriaca, come a Cana, anche se non di vino, come durante la partecipazione di un carnevale ebraico, tanto che Gesù dirà: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Morte determinata dalla risurezzione di Lazzaro che realizza la precedente profezia contenuta nella parabola del ricco epulone e dl Lazzaro. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.