venerdì 18 novembre 2016

XXXIV DOMENICA T.O. anno C - Festività di Cristo Re


XXXIV DOMENICA T.O. anno C - Festività di Cristo Re
 
Lc 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
 
COMMENTO
 
Preambolo
La liturgia segnala la fine dell’anno liturgico. Già la prossima domenica si aprirà il nuovo anno liturgico con l’Avvento, cioè il periodo dell’attesa della venuta sulla terra di Gesù.
La prima cosa che viene da chiedersi è come mai la liturgia celebri un momento umanamente tutt’altro che lieto, come la crocifissione di Gesù, con la Solennità di Cristo Re dell’Universo, il cui titolo pomposo può destare sconcerto, dato che regalità di cui si parla è mille miglia lontana da tutto ciò che appartiene a tutt’altra sfera: servizio, dedizione, umiltà e così via.
In verità la riforma liturgica del concilio Vaticano II ha sottolineato che il Cristo, crocifisso tra malfattori, condannato dai poteri religioso e politico, è un Re-al-contrario rispetto ai re di questo mondo: è un Re che salva gli altri e non se stesso. E l’episodio narrato nella pericope odierna ne è il miglior commento.    
Da un bel po’ di domeniche abbiamo seguito Gesù in cammino verso Gerusalemme, circondato da folle anonime; e spesso, nelle tappe del suo viaggio, abbiamo incontrato persone che lo hanno interrogato: ora autorità giudaiche e romane, ora singoli cercatori di verità.
Al culmine di questo viaggio, la città consacrata per via della sacralità del Tempio, Luca inserisce nell’episodio che narra particolari sui quali si ferma soltanto lui rispetto agli altri evangelisti. Egli vuole dimostrare che il procedere di Gesù verso la grande meta, Gerusalemme, in realtà aveva di mira l’atto supremo della sua missione: consegnare la sua parabola terrena al Mandante, il Padre, per impetrare la salvezza di tutti. Ed è questo il termine-chiave della pericope di oggi: la salvezza.
 
Il testo del brano odierno
Il testo di Luca costruisce i discorsi degli astanti di fronte al Crocifisso denunciando lo scherno, attraverso il quale è messa in dubbio la potenza di Gesù a salvare se stesso. C'è l'allusione alle tentazioni nel deserto, raccontate dallo stesso Luca nel cap.quarto. Le parole, ha salvato altri! Salvi se stesso, si riferiscono ad un Gesù in veste di taumaturgo (la frase sarcastica è simile al proverbio “Medico, cura te stesso!”), e sono una provocazione per incitare Gesù a dare un segno attraverso il quale dimostrarsi capace di salvarsi da sé.
Gli scherni dei militar romani sono un elemento caratteristico del vangelo di Luca. Non si spiega il loro gesto di porgere a Gesù una bevanda a base di aceto, un dissetante usato comunemente dai soldati e dai contadini; non è chiaro se si tratti di un gesto di compassione, come in Giovanni, oppure di crudeltà: rianimare il crocifisso per prolungare le sue ore di vita e quindi di sofferenza. Forse però prevale l'intenzione di prendersi gioco di Gesù. Il particolare dell'aceto comunque è stato conservato nella tradizione per il richiamo al salmo 69, dove il gesto ha un significato ostile. La derisione dei soldati è parallela a quella dei capi giudei, ma si concentra sull'aspetto politico, come nell'accusa nel processo romano. Dal punto di vista narrativo, essa è plausibile, poiché riprende i termini del titulus, scritti su una tavoletta con la sentenza  del condannato, e non indica solo il motivo della condanna, ma è collegata agli scherni dei soldati. La denominazione re dei giudei, presente in tutti e quattro i vangeli, è senza dubbio storica, ed è l'unica cosa conosciuta che sia stata scritta su Gesù durante tutta la sua vita.
Mentre l'evangelista Marco conclude la scena della crocifissione dicendo: “anche coloro che erano crocifissi con lui lo insultavano”, Luca differenzia i due crocifissi. Il primo malfattore si associa agli scherni dei presenti, più precisamente a quelli dei capi, riprendendo in forma negativa il sarcasmo.
Per ben tre volte risuona il salva te stesso.
Non è da dimenticare che sullo sfondo della scena c’è, non la solita folla, ma il popolo, che, però, è in atteggiamento passivo: infatti stava a vedere; a differenza dei capi e perfino dei soldati che deridevano Gesù.
Nessuna risposta da parte del Condannato.
 
La preghiera del buon ladrone e la promessa di Gesù
Il buon ladrone si rivolge direttamente al Crocifisso e lo interpella col vocativo Gesù, esclamazione sorprendente perché unica nel Nuovo Testamento. Il malfattore pentito non si rivolge a Dio, ma a Gesù, e lo riconosce nella sua funzione messianica. E' chiaro l'orientamento cristologico che caratterizza la preghiera cristiana. Per il buon ladrone Gesù è il Messia risorto, col quale ha trovato un rapporto personale. La sua preghiera viene però formulata nella lingua e nelle categorie della preghiera giudaica (giudeocristiana). Il ricordarsi è un elemento tipico di tale preghiera. Si chiede a Dio di posare uno sguardo di bontà, intervenendo a favore dell'orante.
L'ultima parte della preghiera, quando entrerai nel tuo regno, ha diverse varianti testuali di una certa rilevanza. Forse è meglio mantenere il senso semitico della parola: il ladrone aspetta il regno messianico (il tuo regno) dell'attesa giudeo-cristiana: aspettava una salvezza futura situata alla fine dei tempi. Gesù gli garantisce la salvezza oggi. La promessa è solenne e ha il carattere di un correttivo rispetto all'attesa escatologica giudaica del ladrone, tanto più che l’oggi è posto enfaticamente all'inizio della frase, come attualizzazione del tempo di salvezza nel presente (sottolineatura essenziale nella teologia di Luca).
Alquanto inattesa è la parola paradiso. Il termine è di origine persiana e aveva il senso di parco, giardino recintato. La Bibbia greca dei Settanta lo utilizza per indicare il giardino dell'Eden descritto in Genesi. La parola indica quindi un luogo di felicità: nella letteratura apocalittica il paradiso diventa l'Eden escatologico, nascosto ora nel cielo per scendere sulla terra alla fine dei tempi.
Con la carica di entusiasmo che gli è tipica, Luca tratteggia in modo appassionato la tenerezza del Cristo con un avverbio: oggi; è l’oggi della salvezza, in cui il tempo ha una durata destinata a non finire; l’oggi in cui il tempo non verrà fermato nell’immobilità di quella che chiamiamo impropriamente eternità; l’oggi della salvezza definitiva. [il termine greco aion, in latino aevum, significa tempo senza limiti, tempo compiuto, giunto alla perfezione].
In quest’ottica Gesù promette il paradiso al malfattore pentito.
[Ma cos’è per noi moderni il paradiso? Forse conserviamo l’immagine materialistica di una felicità che non sappiamo nemmeno in cosa consista. Al contrario la mistica lo considera come un non-luogo perché è lo spazio dello spirito umano in rapporto intimo con lo Spirito dello stesso Dio.]
 
Due fatterelli per concludere
Una vecchietta serena, sul letto d'ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla: Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire. "Lo so", rispose il parroco. C'è una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano. Il parroco autenticamente sorpreso, le chiese il perché di tale stravaganza. Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alle cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo vicino al mio posto guardavo subito se c'era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato. "E allora?". Significava che il meglio arrivava alla fine. È proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno davanti alla mia bara si chiederanno: perché quel cucchiaino? Voglio che lei risponda che io ho il cucchiaino perché sta arrivando il meglio.
 
Un ragazzo chiede alla guida spirituale del gruppo a cui apparteneva: Quale è  il senso della vita?
La risposta è piaciuta anche a me: il senso che tu gli darai.

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