sabato 1 ottobre 2016

DOMENICA XXVII T:O. anno C


DOMENICA XXVII T:O. anno C



Commento

 

Questa volta ad interrogare Gesù sono gli apostoli. Chiedendogli di aumentare la loro fede, essi riconoscono la loro fragilità di credenti e dimostrano di non aver chiaro il concetto di fede.
L’aumento della fede potrebbe riguardare un concetto di fede di ordine intellettuale da tradurre in una dottrina. Ma Gesù pone la fede su un piano che non è quantitativo, bensì qualitativo. Essa richiede un atto di fiducia, di affidamento nel Signore. Si tratta di offrire a Dio le stesse debolezze umane e perfino la propria incredulità, in modo da lasciare che sia Lui a vincere dubbi e perplessità.
La risposta di Gesù corregge la domanda. Egli, come è solito fare, usa, da sperimentato didatta, una metafora: quella del granello di senape, tradizionalmente indicata quale immagine del Regno di Dio. E alla metafora aggiunge un paradosso: per essere grande, la fede deve restare piccola.

Una breve riflessione sul perché.
La fede non è fondata sul merito. Di questo ci si può inorgoglire; invece l’efficacia è assicurata quando non si conta su se stessi, bensì nell’aiuto di Dio di cui ci si fida. È vero, la nostra fede è sempre a breve respiro, ma basta avere quel piccolo seme dell’adesione alla potenza dell’amore di Dio, e la grazia di essere vero discepolo di Cristo si realizza.
Credere significa seguire Gesù, camminare dietro di lui. Se vacilliamo, sappiamo che lui è pronto a soccorrerci, a farci rialzare per stare sempre là dove è lui. Però dobbiamo aver cura di questo piccolo seme, ed esso, seminato dentro di noi, crescerà senz’altro.
= La risposta di Gesù agli apostoli prosegue con una parabola che li riguarda da vicino, in quanto essi sono degli “inviati”: il termine infatti traduce il nome greco apostoloi. Ma il discorso è estensibile ad ogni vero cristiano.
Riflettiamo sul senso profondo del termine servo che viene adoperato, e che sarebbe difficile accettare nella modernità. Infatti, tranne per coloro i quali frequentano gruppi di formazione e/o di appartenenza-forte di stampo cristiano, il termine suona alquanto lontano dal comune modo di intendere chi pratica la fede. Possiamo immaginare quale tipo di ragionamento può insinuarsi: dobbiamo essere davvero come quel servo, il quale va ad arare tutto il giorno e, quando torna, deve darsi da fare per servire il padrone, aspettare che lui abbia finito di mangiare, e solo dopo sedersi a tavola anche lui?
Davvero in alcuni punti il vangelo che leggiamo la domenica può lasciare sconcertati, tanto certe immagini sono… fuori dell’ordinario. Anche l’immagine conclusiva del servo inutile -Siamo servi inutili- sembra il perfetto contrario di quanto lo stesso  Luca afferma al cap.12,37: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. In verità vi dico: si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”.
Allora dobbiamo studiare il vangelo nella sua unità per capire. Il testo vuol dire: l’inviato non deve pretendere riconoscimenti di sorta per quello che fa. Non che il suo spendersi sia inutile, ma la coscienza che lo anima deve essere liberante e liberata; cioè egli deve compiere tutto senza far risalire alcunché a se stesso, rinviando tutto al Signore. Ciò che spetta al credente è ascoltare gli insegnamenti di Gesù e restare nel proprio posto di discepoli. Anche l’agire straordinario di Gesù, come l’operare guarigioni era disinteressato; richiedeva l’atto di fede in Dio del beneficato; la guarigione non era solo opera sua, diveniva efficace attraverso la fede del guarito.
Tutti siamo nella condizione di essere guariti (dalla colpa, dall’indolenza, dalle miserie spirituali e corporali) e cerchiamo chi possa guarirci. Ma spetta sempre a noi completare l’azione di Dio con il piccolo seme della fede, intesa come fiducioso abbandono in Lui.
= Abbiamo detto più volte che i vangeli non sono una cronaca esatta della vita di Gesù ma una teologia, un'applicazione che gli evangelisti hanno fatto del messaggio ascoltato da testimoni risalenti a Gesù.
La parabola si riferisce ad una certa mentalità del tempo. Perciò il messaggio spesso non è immediatamente comprensibile. In tempi più vicini a Gesù era facile identificare Dio nel padrone e il credente nel servo, e questo qualche volta accampava pretese presso il suo padrone. Da ciò l’esempio trasferito nella parabola. Talvolta questi nuovi credenti, identificandosi nel servo, ritenevano di potersi aspettare dei benefici dal seguire Gesù. Come oggi anche noi: se abbiamo fatto le opere buone e siamo stati attenti nell’osservanza dei comandamenti, possiamo ritenere di avere acquistato meriti, diritti davanti a Dio. Gesù vuole smontare questo tipo di credere. Il nostro piccolo seme della fiducia piena in Dio è il piccolo contributo del nostro impegno. A noi non dovrebbe interessare nemmeno la promessa del paradiso. Interessa ricambiare amore con amore.
Una conclusione nostra? Tiriamola ciascuno di noi, non risparmiando quel po’ di fatica che si richiede nel leggere con molta attenzione e nel comprendere il testo nelle sue difficoltà di attualizzazione; senza rimpiangere la brava omelia che raccontava tutto come un racconto facile da capire e, dopo tutto, facile da praticare.
= Una mia breve considerazione.
Essere cristiani è impegnativo. Ma mi chiedo che senso avrebbe per me la vita senza la fede. Trovo indispensabile avere un punto fermo a cui appoggiarmi in ogni situazione. So che ci vuole un continuo (non assillante) esercizio per riconoscere in ogni evento (nessuno escluso) la mano di Dio. Cercandola nella fiducia costante di trovarla, la trovo sempre protesa anch’essa verso la mia. E’ bello che le due mani si stringano, senza illusioni di sorta.

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