venerdì 21 marzo 2014

III Domenica di Quaresima T. O. anno A


Es17, 3-7; Sal 94; Rm 5.1 - 2.5-8; Gv 4, 5-4
INTRODUZIONE
PREMESSE DI SERVIZIO
a) Ciò che scrivo non è frutto né di una mia interpretazione, né di un mio lavoro creativo: mi limito ad elaborare e a dare unità (non arbitraria) a ciò che gli esegeti hanno scritto. Di mio c’è il ‘rimuginare la Parola’, come facevano gli antichi padri del deserto. E il materiale rimasticato mi fa scrivere ciò che scrivo.
b) Seguendo le letture liturgiche domenicali, si può avere la sensazione che il continuo ‘saltare’, ad esempio nel vangelo del giorno, da Matteo a Giovanni e, in seno a Giovanni, da un capitolo all’altro, possa rendere meno fruttuosa la conoscenza esatta della stesura redazionale; tanto che sembra giustificata la domanda: non è meglio leggere il vangelo fuori dal vincolo liturgico, nella sua continuità redazionale?
Rispondo a me stessa prima che a voi: il legame liturgico non è inutile; è un metodo di lettura, utile come è utile ogni metodica seguita nell’adempiere i gesti della quotidianità. In particolare, la messa domenicale che si celebra nelle chiese, è punto di riferimento indiretto anche per coloro che guardano alla chiesa cattolica pur essendone lontani; e i lontani dovrebbero essere i più vicini ai fedeli praticanti.
c) In questa domenica la liturgia propone Giovanni, anziché Matteo che seguiamo maggiormente durante l’anno del ciclo A. Giovanni compare più volte anche quando l’anno liturgico segue uno dei Sinottici. Compare soprattutto nei momenti cruciali dell’itinerario messianico, che tutti i vangeli percorrono attraverso cinque tappe: Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, Tempo ordinario.
d) Ma è veramente accaduto l’episodio narrato oggi? E’ questa la domanda che mi hanno rivolto parecchie persone a cui ho concesso l’anteprima di questo post. Tutti, quando raggiungiamo l’età matura dobbiamo svegliarci dalle sicurezze storiche. Per analogia, anche circa le favole, le leggende, i detti sapienziali, dobbiamo disincantarci dalle sicurezze che ci sembravano assicurate quando li leggevamo e credevamo attribuibili a precisi riferimenti a fatti storici o a firme di autori ritenuti esistenti nel passato. Con la maturità la caduta del mitico non crea traumi, se si sa cogliere la ricchezza del contenuto per se stesso.
ELEMENTI-CHIAVE DELLE LETTURE ODIERNE
a) Primo elemento è la sapienza della pace, quale connotato di Dio e modello della comunione da realizzare in tutto il creato:
- In Esodo il popolo di Dio soffre la sete nel deserto attraversato per raggiungere la terra promessa, e mormora contro Mosè, poiché non si fida dei disegni di amore del Creatore. Il Quale dà prova, attraverso il prodigio di Mosè che fa sgorgare acqua dalla roccia, della sua fedeltà all’Alleanza.
- Nella Lettera ai Romani Paolo afferma: “noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Non dunque una pace che sia frutto di imprese e meriti umani, ma che è accettata come dono divino. L’umiltà trasforma la povertà spirituale mediante il ricorso all’aiuto divino,  e in tal modo scioglie la durezza del cuore.
- Nel Vangelo la “donna samaritana” rappresenta un’umanità degradata e ingannata dall’ipotesi di una solitudine autosufficiente, individualista e quindi fatalmente aggressiva. Il testo giovanneo descrive un itinerario che strappa alla solitudine miseramente orgogliosa e fa riscoprire il volto nuziale della esistenza umana. Bisogna che l’umanità recuperi la sapienza della relazione divina, fuori dalle adorazioni idolatriche alienanti, per innestarla nella storia dell’umanità ferita e guarire le sue ferite.
b) Secondo elemento è l’acqua, simbolo supremo di ciò che può soddisfare la sete di Dio. Acqua e sete sono simboli ricorrenti nella Bibbia. Circa 1.500 versetti dell'Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono "intrisi" d'acqua. C'è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento così prezioso. E Cristo ne ha fatto il suo emblema, come si intuisce nell’incantevole dialogo con la Samaritana [che sarà frutto di ricostruzioni, ma è efficace e toccante]: v.14 … chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà più sete, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
ALTRE PUNTUALIZZAZIONI
- Nel vangelo di Giovanni, le parole poste in bocca a Gesù sono, a differenza di quelle usate nei Sinottici,  rarefatte, perché proiettate verso orizzonti infiniti.
- E’ da tener presente che questo vangelo, spesso letto come un freddo testo filosofico, è invece un testo drammatico. Appaiono testimoni, criminali o santi, che non sono mai delle figure circoscritte, anagrafiche, ma rappresentative della storia dell’umanità, in cui con c’è chi non possa riconoscersi. E sfilano tre personaggi che rappresentano tre avventure emblematiche di fede: Nicodemo, la samaritana e il funzionario regio. La seconda, la Samaritana, che è oggi sotto lo sguardo dei lettori, rappresenta l’ebreo eretico. E’ una donna svantaggiata per la sua appartenenza di genere; ma è stata scelta intenzionalmente da Giovanni come simbolo del giudaismo eterodosso, in quanto appartenente ad una razza miscelata con i coloni assiri (da quando la Samaria era crollata nel 721 a.C.).
- La Samaritana, nel racconto che ne fa Matteo, emerge in un’atmosfera luminosa; infatti la scena si svolge nel mezzogiorno, come quando Gesù fu messo in croce; ed è pieno di suggestioni il fatto che l’incontro con Gesù avvenga vicino ad un pozzo, l’unico della Samaria, ricco di molti richiami biblici.
ANALISI di Gv4, 5-42
L’evangelista costruisce questo episodio tenendo presente la storia del profeta Osea, il primo che ha raffigurato il rapporto tra Dio e il suo popolo paragonabile a quello tra uno sposo e una sposa. La sua vicenda personale di matrimonio infelice per il tradimento della moglie, serve per comprendere il brano della Samaritana, dove l’evangelista presenta lo sposo (Gesù) che va in cerca dell’adultera (Samaritana) e la riconquista con un dono d’amore.
5 Gesù] giunse così a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio:
Gesù sta attraversando una terra carica di storia che si rifà alle origini di Israele, prima della divisione tra Giudei e Samaritani, quando i due popoli erano uniti dalle stesse origini. La città di Samaria di cui si parla è probabilmente l'attuale Askar, ai piedi dell'Ebal; aveva preso il posto di Sichem, distrutta nel 128 e nel 107 a.C. e ricostruita dopo il 72 d.C. con il nome di Flavia Neapolis, oggi Nablus. Sicar è probabilmente l’antica Sichem (Gn 33,18-20), città esistente al tempo di Giacobbe.
Negli anni di siccità, quando non era possibile la mietitura a Gerusalemme o in Giudea, e non si potevano presentare le primizie per celebrare le feste degli Azzimi e della Pentecoste, si poteva andare a raccoglierle nell’odiata Samaria, proprio a Sicar. Giacobbe-Israel è il patriarca che ha dato il nome al popolo e alla sua terra, padre di Giuseppe, il tradito dai fratelli che cercano di dargli la morte e che poi sarà la loro salvezza.
L’allusione dell’evangelista è evidente: Gerusalemme e la Giudea non producono frutto (spirituale), mentre nell’eretica Samaria il raccolto è più che abbondante.
6 qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
In una regione in cui l'acqua è scarsa, i punti in cui essa sgorga diventano luoghi privilegiati di incontro, di conflitti e riconciliazioni, di antichi ricordi e leggende.
Ambientando l’episodio vicino a un pozzo, Matteo usa un tema letterario biblico patriarcale: Mosé aveva incontrato vicino ad un pozzo le figlie di Reuel (una di loro sarebbe poi divenuta sua sposa); le nozze di Isacco e di Giacobbe erano state combinate accanto a un pozzo. Anche dal punto di vista della teologia ebraica il pozzo assume grande rilievo. Vi è una tradizione giudaica, ripresa da Paolo, in cui la fonte d'acqua donata da Dio addirittura seguiva il popolo di Israele nel deserto.
La strana espressione adoperata dall’evangelista, sedeva presso il pozzo (traducibile con il termine sorgente), vuole indicare che Gesù stava lì in maniera permanente; quindi la frase ha il significato teologico che Gesù sarà la nuova sorgente, la quale sostituirà quella di Giacobbe.
Il mezzogiorno, o ora sesta, sarà quella della condanna a morte di Gesù, sicché l’incontro di Gesù con la Samaritana ne è prefigurazione.
7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: Dammi da bere.
Alcune puntualizzazioni: il mezzogiorno non era l’orario più indicato per andare ad attingere al pozzo (ci si recava all’alba e al tramonto); nella letteratura biblica l’incontro di un uomo e una donna presso un pozzo preludeva al fidanzamento e al matrimonio, come risulta dai racconti biblici circa Rebecca e Isacco, Rachele e Giacobbe, Mosè e Zippora; i maschi si  ritenevano superiori alle femmine e mai un uomo si sarebbe abbassato a chiedere qualcosa a una donna, e i Giudei disprezzavano soprattutto le donne samaritane, che consideravano immonde fin dalla nascita.
Questa donna, col suo anonimato, è figura rappresentativa del suo popolo, i samaritani, i quali hanno sete di vivere la loro storia di Alleanza con YHWH e perciò vengono al pozzo del loro padre Giacobbe. Anche la donna samaritana va a dissetarsi al pozzo di Giacobbe, cioè nell’antica tradizione del suo popolo. Gesù, chiedendo da bere, manifesta di aver sete come chiunque voglia vivere; però le sue parole, le stesse che troviamo in Esodo, alludono (per Matteo) al nuovo Israele che sperimenta la sete della parola di Dio.
8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Questo inciso sottolinea il fatto che Gesù è da solo. L’esclusione dei discepoli serve all’evangelista per richiamare l’incontro, in solitudine, dello sposo con la moglie adultera, di cui parla Osea.
9 Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù si rivolge alla samaritana su un piano di parità. Ciò desta la sua sorpresa. Gesù infatti, come spiega lo stesso Giovanni, rivolgendole la parola, infrange una delle regole essenziali vigenti tra questi due popoli.
11 Gli dice la donna: “Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?
12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?”.
La donna comprende che in questo uomo c’è qualcosa che supera le divisioni e i litigi tra i due popoli. La sua reazione parte dall'ultimo elemento nel v.11 l'acqua viva, per poi risalire all'identità di Gesù. Il  da dove ha un significato molto importante nel vangelo di Giovanni, perché richiama il suo costato trafitto, ìda dove’ scaturì sangue ed acqua.
13 Gesù le risponde: Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete;
14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna.
Gesù non risponde direttamente alla donna, bensì decanta le qualità della sua acqua; parla dell'avere ancora sete e del non avere più sete, per indicare che, se quest'acqua toglierà per sempre la sete, allora è un’acqua carica di eternità.
15 “Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”.
In poche battute Gesù ha provocato una inversione. Ora è la donna che ha sete e non lui. Forse la domanda della samaritana è ancora legata alla sua esperienza materiale, l'acqua quotidiana, però la sua richiesta nasce da un bisogno più profondo.
16 Le dice: Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui.
17 Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: Hai detto bene: “Io non ho marito”.
18 Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero.
Questa digressione sul passato della donna sembra alquanto fuori luogo. Inoltre vi sono delle incongruenze: secondo la legge si potevano contrarre al massimo tre matrimoni. Forse in questo dialogo prevale il senso allegorico: i cinque mariti potrebbero essere i cinque déi introdotti in Samaria dopo la conquista assira del 721, quindi non sarebbe fuori luogo il fatto che il discorso continui parlando di luoghi di culto. La samaritana con i suoi cinque mariti, e il sesto che non è suo marito, sarebbe l'allegoria della Samaria che viene esortata da Gesù a chiamare JHWH come suo vero marito, come suo vero Dio.
19 Gli replica la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta!
20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”.
La donna vedendo che Gesù ha delle capacità superiori alla norma, gli sottopone un problema che stava a cuore a lei come a tutto il suo popolo. I Samaritani avevano continuato ad adorare il Signore sul monte Garizim, a tre km da Sichem, poiché in quel luogo il Signore aveva benedetto Israele, e in quel luogo era avvenuta la visione di Giacobbe; essi avevano continuato a venerare il Signore in questo luogo anche dopo l'unificazione del culto a Gerusalemme.
21 Gesù le dice: Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre.
22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Nel Vangelo di Giovanni sono tre i personaggi femminili ai quali Gesù si rivolge con l’appellativo donna, che ha il significato di moglie. E sono le tre donne che rappresentano le spose del Dio: Maria madre di Gesù, la samaritana e Maria di Magdala.
Gesù annuncia alla donna un cambio radicale: è terminata l’epoca dei templi, non ci sarà più un luogo privilegiato per rendere culto a Dio. Anche il tempio di Gerusalemme si è prostituito e Gesù ne ha annunciato la fine; e ora Gesù anziché usare il termine Dio, usa quello di Padre. Per questo, mentre il culto a Dio ha bisogno di un luogo particolare, quello al Padre no. Questo nuovo nome riflette la relazione che Dio stabilisce con gli esseri umani: un legame intimo e personale come tra un padre e i suoi figli. Per questo non ci sarà più un luogo particolare in cui si adorerà Dio.
23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano.
24 Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità.
- viene l’ora, adesso, con la presenza di Gesù; è giunta l'ora di adorare il Padre da veri adoratori. E qui non ci si ferma più a un popolo in particolare, ma a tutti coloro che sapranno adorare Dio nella dimensione di Padre. In Spirito e verità significa alla presenza dello Spirito, Fonte di quel dinamismo di vita e amore che si è manifestato nella creazione.
25 Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa.
Lo stesso verbo dell'ora che deve venire, erkhetai, viene usato per il Messia che deve venire: l’atteso dai giudei, che avrebbe rivelato i più grandi segreti divini.
Il termine messia era già apparso in bocca ad Andrea, uno dei primi discepoli. L’evangelista per la seconda volta chiarisce il significato del termine ebraico messia = unto, Cristo.
26 Le dice Gesù: Sono io, che parlo con te.
Gesù si manifesta apertamente. A nessuno mai si è rivelato in questo modo, se non alla samaritana. Quando Mosè aveva chiesto a Dio: “Chi sei? Dimmi il tuo nome”, Dio non aveva risposto non indicando un nome, perché il nome delimita un’identità, ma indicando un’attività che lo rende riconoscibile: io sono colui che è: l’espressione non è da considerare dal punto di vista metafisico, piuttosto conferma la sua presenza fedele ed efficace nella storia.
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: ‘Che cosa cerchi?’, o: ‘Di che cosa parli con lei?’.
Arrivano i discepoli e si interrompe l’incanto del dialogo. I discepoli rimangono stupiti che Gesù stia a discorrere con una donna. La loro reazione conferma ulteriormente la non comprensione di ciò che Gesù intende fare attraversando la Samaria.
28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente:
La donna lasciò la brocca che le serviva per attingere l'acqua dal pozzo perché aveva trovato l'acqua viva di cui Gesù le aveva parlato.
La brocca, o giara, raffigura la dipendenza che la Legge, ma allo stesso tempo raffigura l’incapacità di soddisfare pienamente i bisogni umani senza Dio; infatti l’acqua del pozzo non spegne la sete poiché bisogna attingerla continuamente. Abbandonare la giara significa rompere con un sistema di norme e precetti che impedisce il rapporto interiore con Dio.
29 “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”.
La samaritana dice ai suoi compaesani che quell'uomo conosceva tutto il suo passato, come indice della conoscenza eccezionale che Gesù aveva delle cose. Non dice apertamente che si tratta del Messia, ma lo insinua velatamente. Saranno i suoi compaesani a fare l'esperienza diretta di Gesù e della verità della sua parola.
30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
I samaritani credettero alla parola della donna e andavano incontro a Gesù.
La fede nasce dall’incontro con Gesù ma si presenta come un cammino, quindi è un uscire dal proprio passato di incertezze e un andare verso la realtà nuova dove trovare pienezza di vita.
31 Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbi, mangia”.
32 Ma egli rispose loro: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete.
33 E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”
34 Gesù disse loro: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
Nessun testo giovanneo esprime in modo così pregnante l'atteggiamento di Gesù nell'esercizio della sua missione: Gesù ha per nutrimento la sua unione con il Padre; il suo cibo è un altro. Fare la volontà del Padre non significa solo accettarla fiduciosamente, significa cooperare alla sua realizzazione. Lo dirà anche alla vigilia della sua morte (Gv 17,4).
35 Voi non dite forse ‘ancora quattro mesi e poi viene la mietitura’? Ecco, io vi dico: Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.
In questa seconda parte del discorso Gesù vuol coinvolgere i discepoli nella missione stessa del Padre e fatta sua: anche loro sono chiamati ad essere missionari, i campi sono pronti per essere mietuti.
36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete.
Il mietitore riceve, riunifica, raduna il frutto: questa espressione sottintende la riunificazione tra il giudeo Gesù e i samaritani, la riunificazione con i lontani.
37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete.
38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica.
Il seminatore e il mietitore che prima coincidevano ora diventano due personaggi differenti. Vi sarà un tempo in cui i discepoli raccoglieranno la messe seminata e coltivata con fatica da altri: Gesù e chi è venuto prima di lui (i profeti). Anche i discepoli saranno mandati a seminare la parola di Dio, ma questa non viene da loro, bensì dal Seminatore
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”.
Questo versetto si riaggancia a quello in cui avevamo lasciato la samaritana tornata al villaggio e introduce l'incontro di Gesù con i samaritani. Il verbo utilizzato è forte: la samaritana testimoniava, come Giovanni il Battista. La donna ha una funzione essenziale.
40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.
I Samaritani superano i pregiudizi religiosi della propria tradizione, vanno da Gesù e lo pregano di rimanere con loro. Hanno trovato in Gesù colui che è stato capace di superare l’inimicizia tra i due popoli.
Alla richiesta di rimanere, Gesù si ferma due giorni con loro, come lo Spirito rimase su Gesù (Gv 1,32), e come i primi due discepoli. È evidente l’allusione dell’evangelista al profeta Osea.
41 Molti di più credettero per la sua parola.
42 e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
La donna ha ipotizzato il Messia in Gesù, e i samaritani vanno da lui perché pensano di trovare coli che attendevano.
L’espressione il salvatore del mondo è in parallelo con la dichiarazione del Battista riguardo  a Gesù: colui che toglie il peccato del mondo; entrambe le espressioni richiamano l’amore universale del Padre.
DUE COMMENTI
Un bel commento di E. Ronchi:
Quest'acqua viva è l'energia dell'amore di Dio. Se lo accogli, diventa qualcosa che ti riempie, tracima, si sprigiona da te, come una sorgente che zampilla "per la vita", che fa maturare la vita, la rende autentica e indistruttibile, eterna. In te, ma non per te: la sorgente è più di ciò che serve alla tua sete, è per tutti, senza misura, senza calcolo, senza fine. Vai a chiamare colui che ami. Quando parla con le donne, va diritto al centro, al pozzo del cuore. Solo fra le donne Gesù non ha avuto nemici, il suo è il loro stesso linguaggio, quello dei sentimenti, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere. ‘Non ho marito’. E Gesù: hai detto bene, erano cinque. Ma non istruisce processi, non cerca indizi di colpevolezza, cerca indizi d'amore; non le chiede di mettersi prima in regola, le affida un dono; si fida e non pretende di decidere per lei il futuro. Messia di suprema delicatezza, volto bellissimo di Dio. Che cosa si vede da quel luogo, dal pozzo di Sicar? Il monte Garizim, con il tempio dei samaritani; e attorno cinque alture su cui i coloni stranieri, che hanno ripopolato Samaria, hanno eretto cinque templi ai loro dei. Il popolo è andato dietro a cinque idoli, come la donna a cinque uomini. Storia, simbolo, popolo, persona, tutto si intreccia per convergere all'essenziale: lo Sposo cerca la sposa perduta. La donna percepisce l'offerta di questa energia d'amore, ne è contagiata, corre in città, ferma tutti per strada: c'è uno che dice tutto di te! Lui conosce il tutto dell'uomo: c'è in ognuno una sorgente di bene, un lago di luce, più forte del male, fontane di futuro. Gesù: lo ascolti e nascono fontane. In te, per gli altri.
Un commento personale:
Dammi da bere: Queste parole sono la preghiera costante che formula il mio cuore, tanto che questi ultimi giorni, appena compiuta la stesura, di questo post, mi è sembrato di avere avuto un abbaglio: avevo dimenticato che è stato Gesù per primo a fare tale richiesta.
Tento di dare un senso all’abbaglio preso: non siamo mai noi ad invocare per primi l’acqua che possa dissetare il nostro cuore. E lo Spirito ad invocare in noi. Sento che a me non resta che far miei pochi spezzoni del salmo proposto oggi dalla liturgia:
… È lui il nostro Dio / e noi il popolo del suo pascolo, / il gregge che egli conduce. / Se ascoltaste oggi la sua voce! /  “Non indurite il cuore”.

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