venerdì 21 giugno 2013

Vangelo XII T.O.

23 giugno 2013 XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno C
Zaccaria 12, 10-11; 13,1; Galati 3, 26-29
Luca 9, 18-24
18 Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19 Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. 22 «Il Figlio dell’uomo -disse- deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». 23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24 Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

PREMESSA
Per prima cosa bisogna inquadrare lo svelamento dell'identità di Gesù, così come è riportato nel testo di Luca, in un contesto di preghiera fatta in intima solitudine, anche se nella tacita presenza dei suoi. La preghiera è domanda che sale dalla terra al Cielo, è l’unico contatto possibile con la trascendenza; e perciò richiede il silenzio e la solitudine, sostenuti dalla compartecipazione dei pochi che, pur senza capire, sanno stare-accanto dal punto di vista esistenziale.
In Luca, come negli altri evangelisti, l’identità di Gesù non è proclamata da lui stesso, ma chiesta come riconoscimento ai suoi; e ciò, non all'inizio, ma dopo un lungo cammino assieme a loro, che l'hanno guardato ed ascoltato, e sono stati testimoni del suo operato.
Per mettere in rilievo cosa emerge direttamente dal brano proposto oggi bisogna partire dalla convinzione, propria degli studiosi più documentati dal punto di vista esegetico, che in principio c’era il kerigma, non Gesù di Nazaret; ciò che gli evangelisti hanno stato scritto rispecchia  la testimonianza dalla chiesa in seno alla quale li hanno redatti. E’ certo che Luca è stato assiduamente vicino a Paolo. E quando tutti hanno l'abbandonato perché ormai vecchio [ahimè che tristezza fa quest’abbandono nei riguardi de un uomo della grandezza di Paolo!], in 2Tim 4,11 lasciava una frase: “Di fronte all’abbandono di tutti, solo Luca è rimasto con me”. Una frase attraverso la quale emerge l’umanità di Luca: e non è poca cosa per poter apprezzare i tratti con i quali egli ha saputo ‘dipingere’ l’atteggiamento della fede professata da lui e proposta a chiunque apra uno spiraglio verso di essa nel proprio intimo..
A - La confessione di Pietro
v.20 Tu sei il Cristo di Dio. Siamo di fronte ad un atto di fede, non ad una formula canonica.
L’articolo determinativo sottrae Cristo, l'Unto [Cristo significa unto] alla serie dei profeti; come se Pietro avesse voluto dire: tu sei un dippiù di loro. L’aggiunta di Dio potrebbe essere intesa in riferimento a Mt 16,16 “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”, ma è prevalente l’idea che associa il Messia al ‘liberatore dalle mani dell’esercito d’occupazione’ (cfr. Lc 23,35).
Gesù applica a se stesso l’appellativo di Figlio dell’uomo, uiòs tù anthròpu, dove uomo indica l'essere umano, non il maschio, in greco anèr. L’espressione è ricorrente nei Vangeli. La sua traduzione letterale può sembrare curiosa e ridondante perché ogni essere umano è figlio di un essere umano. Tuttavia nella tarda tradizione ebraica (vedi l'espressione aramaica che costituisce il testo base per la traduzione greca)  aveva una forte connotazione messianico-escatologica (cfr. Dan7,13-14).
v.21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. Gesù, sconcertando, mette silenzio anche sulla definizione di Pietro. Mette in guardia dalle professioni di fede che potrebbero trasformarsi in propaganda nella stessa esaltazione della croce.
B - La sofferenza in Gesù e nell’umanità
La sofferenza di Gesù nei vangeli è proposta e segno della sequela di Gesù. Ma essa si pone sul solco della sofferenza universale: inspiegabile perché dietro di essa si annida l’altra presenza ancor più enigmatica del male. Contro tale mostro che morde l’esistenza dei sofferenti e dei soli nella terra, apre uno spiraglio di luce soltanto la condivisione. Questa  nella chiesa cattolica è celebrata come carità e come servizio; invece è autentica soltanto se tradotta in gesti non reclamizzati, semplicemente concreti, propri di una fede dilatata a chiunque ne sia capace.
1) QUALCHE VOCE LAICA.
Thomas S. Eliot: così si esprime: “people change, and smile: but the agony abides (la gente cambia, riesce a sorridere, ma l’agonia-lotta della sofferenza permane); con ciò egli denunzia l’ssurdità del male che la causa. Franz Kafka propone: “Tutte le sofferenze che sono attorno a noi dobbiamo patirle anche noi. Noi non abbiamo un solo corpo, ma abbiamo una crescita, e questo ci conduce attraverso tutti i dolori, in questa o quella forma”.
2) NELL’ANTICA ALLEANZA
Testo fondamentale è quello Qoèlet: Giobbe denuncia polemicamente Il rischio della semplificazione teoretica o del dogmatismo ideologico, contro gli amici teologi. Isaia, cap.53, presenta la figura anticipatrice della via proposta da Cristo, il Servo di YHWH, il quale assume su di sé la sofferenza umana. La si potrebbe commentare attraverso un autore dei tempi nostri, Paul Claudel: “Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza”.
3) NEI VANGELI
I vangeli sono percorsi dal dramma di Cristo crocifisso. La tradizione cristiana delle origini fu proprio una narrazione della passione e morte di Cristo. Il male fisico e morale, la morte e lo scandalo della sofferenza furono subito considerati centrali nell’annunzio cristiano, anche se illuminati dalla speranza nella risurrezione. Diversamente dalle cosiddette “Vite degli eroi”, molto popolari nel mondo greco-romano, il cristianesimo ha dato una prevalenza sorprendente proprio alla sconfitta del suo fondatore sotto l’impeto del male.
3) NELE TESTIMONIANZE PROFETICHE CRISTIANE
Esse ricorrono con insistenza, anche se senza una continuità scontata. Una tra tante la leggiamo attraverso le parole di Meister Eckhart (1260 ca.-1327): “nulla sa più di fiele del soffrire, nulla sa più di miele dell’aver sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto”.
4) NEL CLIMA ATTUALE
Oggi il culto della contemporaneità consuma tutto nell’immediatezza attraverso le banalizzazioni del consumismo, delle velocizzazioni vuote del web e del digitale; e trova una sua roccaforte nella cultura laicista (che riduce il corpo a pura biologicità e trova rifugio nel mondo asettico della tecnica), nonché nell’humus politico sociale proprio di un ciclo storico che sembra involversi per esaurimento dei punti fermi del passato, corrosi dalla troppa crescita e dall’espansione globale.
C’è da chiedersi come possa realizzarsi un dialogo, un incontro tra la grande tradizione profetica e mistica ed il caos attuale. Gli spazi stessi della mistica ridondano di variegate espressioni nelle quali si nacondono insidie diversificate ed omologhe.
Aiuta alla riflessione una citazione tratta dalla dichiarazione del vescovo di Orano, Algeria, Pierre Claverie, dopo il sacrificio dei sette monaci trappisti, quaranta giorni prima di essere a sua volta assassinato: "Non è forse essenziale per un cristiano essere là, nei luoghi della sofferenza, di abbandono? Dove potrebbe mai essere la Chiesa di Gesù Cristo se non fosse innanzitutto là? Per quanto possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità della Chiesa proviene da lì. Non da altrove né altrimenti. Tutto il resto è solo fumo negli occhi, illusione mondana. La Chiesa inganna se stessa e il mondo quando si pone come potenza in mezzo alle altre, come un'organizzazione, seppur umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare. Può brillare, ma non bruciare dell'amore di Dio, forte come la morte (Ct 8, 6)”.
Ma mi permetto di notare che tutti gli appelli alla chiesa si riducono a flatus vocis in quanto rivolti ad un’astrazione: concrete sono le persone che hanno nome e cognome e che si possono raggiungere nella prossimità esistenziale.
[Mia mamma –cultura seconda elementare- nelle feste, quando tutti vogliono condividere il ‘riposo’ con parenti ed amici, faceva immancabilmente le sue visite agli ammalati relegati dentro un corpo in disfacimento, e nessuno dei 'sani' lo sapeva]
Gesù
crocifisso come tutti i crocifissi
della storia
grazie per il tuo tacito invito
ad accettare il calice
che tu hai bevuto
ogni giorno ed ogni notte




Nessun commento: