sabato 10 settembre 2016

DOMENICA XXIV T.O. anno C


Lc 15.1-32
 
1 In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3 Ed egli disse loro questa parabola: 4 «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5 Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7 Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. 8 Oppure, quale donna, se ha dieci monete, e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.10 Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». 11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22 Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28 Egli si indignò e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31 Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».
Commento
 
Premessa
Le tre parabole sono tanto note da non richiedere una spiegazione letterale o un commento omiletico.
Io mi propongo di mettere in ordine alcuni concetti e di mettere a punto qualche nota esegetica soltanto perché so di parlare a persone desiderose di apprendere in maniera alquanto approfondita e in vista di una crescita spirituale.
Bisogna interrogare il testo e sviscerare alcuni significati che non si possono affidare alla semplice lettura perché richiedono un’adeguata spiegazione (sapete che io per prima mi affido a chi sa molto più di me).
 
Le tre parabole della misericordia costituiscono un capitolo importante dell’intera opera lucana, tanto da costituire il vangelo nel vangelo. In esso ricorrono i temi tipici di Luca: la predilezione per i poveri e per i peccatori, la gioia della salvezza, il perdono.
Al centro della sezione del viaggio verso Gerusalemme Luca inserisce alcuni gruppi letterari provenienti, i primi due dalla fonte Q (dal tedesco quelle che si suppone sia stata utilizzata nella composizione dei  sinottici) e il terzo da altro materiale preesistente.
Formatosi alla scuola dell’AT, Gesù conosceva le antiche parabole e chissà quante volte le avrà sentite raccontare. L’evangelista unisce le tre parabole che troviamo nella pericope odierna, senza dubbio per la loro affinità, e vi premette un’introduzione redazionale in modo che costituiscano un tutto unitario.
Lo svolgimento dei fatti narrati è scandito in tre tempi, espressi con tre verbi: perdere, cercare ritrovare. Ed è questo il cammino che deve fare chi vuole trovare la via della propria liberazione spirituale.
= Note esplicative
Nella prima parabola è in primo piano l’immagine della pecora, che nell’AT ha una forte carica metaforica: il popolo è evocato dall’immagine del gregge guidato dal pastore, e questi simboleggia Dio. Nella nuova era, che già i primi cristiani vedevano inaugurata col Cristo, si dà a queste immagini un significato nuovo, cristologico. Ed è Luca che, dando forma letteraria alla rilettura degli antichi testi biblici, attribuisce a Gesù il significato di pastore della comunità; e questa è vista come rappresentativa del nuovo popolo di Dio, entro il quale è chiamato ad entrare l’umanità (ricordiamo che Luca non si allontana mai dalla visione universalistica = tutti, anche i pagani, sono chiamati alla  salvezza).
= Nella prima parabola il rapporto tra peccatori e giusti è di 1 a 99! L’uno per cento dell’umanità sarebbe peccatore; il restante 99 sarebbe fatto di giusti che non hanno bisogno di conversione… In verità quel 99 per cento ha un valore simbolico. Nella tradizione giudaica richiama gli angeli (si pensi ai 9 cori degli angeli). Quell’unica pecora perduta è l’umanità, rappresentata dall’uomo, Adamo, decaduto dalla primitiva innocenza. Ma il Dio del’AT ha lasciato i cori degli angeli a cantare la sua gloria, ed ha, prima promesso e poi mandato il Cristo, il Messia, a cercare l’umanità smarrita; si è messo la pecora sulle spalle e l’ha riportato alla casa del Padre.
= Nella seconda parabola c’è lo stesso senso della prima, attraverso l’immagine di una donna, una padrona di casa, che ha dieci monete (la parola dracma indica un tipo di moneta antica) e il rapporto tra salvati e dispersi è di 10 ad 1.
Come il pastore, come la donna, Dio non aspetta che l'essere umano dimostri il suo pentimento con digiuni e penitenze. Chi è desideroso di salvezza è invitato a capire e a imitare l'amore disinteressato di Gesù, che ha pagato per tutti; e deve imparare a vivere la fratellanza anche nelle piccole cose (la dracma era la moneta più piccola): il cuore deve convertirsi attraverso la condivisione, poiché a Dio non si giunge da soli. La dracma ritrovata fa vedere quanto è bello far partecipi gli altri della propria gioia nel ritrovamento dopo aver perduto.   
= La terza parabola dà ampliamento al tema delle prime due.
La richiesta del figlio, contestualizzata nella Palestina del tempo, è un fatto di per sé non eccezionale. Il figlio cadetto, per desiderio di indipendenza e/o per bisogno, era solito andarsene di casa. Ma qui il giovane uscito di casa si degrada ai massimi livelli. Consumato il gruzzolo a sua disposizione, si raccomanda ad un pagano custode di porci, animali immondi per antonomasia, cosicché è maledetto secondo la Legge. Con un tale comportamento egli perde davanti a suo padre ogni diritto.
Arrivato al fondo dell'indigenza, il prodigo rientra in sé. Il motivo che lo spinge a scrollarsi di dosso tanto degrado non è molto nobile: egli è mosso dalla fame e confronta la sua condizione con quella dei salariati di suo padre. Ma ritorna. E qui l'attenzione è rivolta a quello che compie il padre. Lo leggiamo in uno dei versetti più commoventi della Bibbia. Il padre vede il figlio da lontano perché lo aspettava sempre in cuor suo: Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Aver compassione (letteralmente “essere sconvolto fino alle viscere”) esprime il sentimento di Jahvè verso i poveri e di Gesù nei confronti dei bisognosi. Il padre si mette a correre: un comportamento per niente consono alla sua età e alla sua dignità; si getta al collo del figlio, impedendogli di umiliarsi e di gettarsi ai suoi piedi e lo bacia in segno di perdono (cfr 2 Sam 14,33) e di comunione, senza tener conto dello stato di impurità del figlio (certamente doveva sapere che egli veniva da un paese di pagani). Il comportamento è davvero sorprendente, se teniamo conto di un tempo in cui l’autorità del padre era indiscussa e l’effusione dei sentimenti era insolita.
Il racconto di Luca va al di là del semplice racconto. Ha lo scopo di sottolineare come la conversione, nel giudaismo sinonimo di penitenza, comportava digiuni ed elemosine, mentre per Gesù è essenzialmente motivo di quella gioia che scaturisce dall'incontro con un Dio che perdona.
Entra in scena un terzo personaggio, il figlio maggiore. L'ira dell'uomo fedele è una reazione logica: già l'Antico Testamento presenta la collera dei giusti provocata dal successo dei cattivi (Sal 37,7). Ma ora la situazione è cambiata: il perduto è tornato e il padre accoglie il peccatore: Luca vuol fare entrare i cristiani in questa nuova logica.
In tono di rimprovero e senza rispetto, il primogenito elenca i suoi meriti: la fedeltà (non ha mai trasgredito un comando), il servizio costante (il verbo doulein contiene l'idea di un lavorare da schiavo). Il genere di perfezione vissuta dal figlio maggiore gli impedisce di entrare nella logica del padre basata sull'amore gratuito. Lo scandalo che provoca l'amore per il figlio prodigo porta alla luce la gelosia e il rapporto inautentico che il figlio maggiore aveva nei confronti del proprio padre. Il padre gli ricorda che a livello giuridico egli è l'erede legittimo, ha già in mano la proprietà; ma vi sono anche altri legami, l'unità famigliare, l'amore fraterno... L'immagine della comunione permanente col padre che non si scioglie col peccato, dimostra che l'essenziale per il convertito è credere nella sicurezza di poter rientrare in qualsiasi caso nella comunione con il Padre. Protagonista della salvezza universale è il Padre. La prepara e la realizza in Gesù.
= La parabola del figliol prodigo è di un’attualità impressionante.
Queste pagine di vangelo sono la memoria della comunità lucana, di quello che ha udito, visto e sperimentato. Ma sono anche pagine profetiche. Preannunziano il metodo che la chiesa dovrà avere per guidare i credenti e gli aspiranti-credenti a trovare la fiducia nell’amore del Padre per tutti dopo ogni possibile caduta
Nella società contemporanea è eclissata la figura del padre. Molti psicologi e psicoanalisti attribuiscono a questa eclissi la causa di tante paure, angosce, depressioni, mancanza di coscienza di essere figli, insofferenza di essere bisognosi o dipendenti da qualcuno più forte…
L’eliminazione del padre ha giustificato l’eliminazione di Dio a tal punto ch il nostro mondo, orfano di Dio, si rifugia in un devozionalismo decadente.
= L’insegnamento di queste parabole
L'insegnamento consiste nel riconoscere il primato dell’amore di Dio, che è sempre più grande delle nostre debolezze.
La conversione e l’iniziativa del ritorno sono opera di Dio: all’uomo spetta solo di accogliere la Sua proposta di amore. Egli è il pastore che va in cerca della pecora smarrita e la salva. E’ la donna che mette a soqquadro la casa per ritrovare la dracma perduta. E’ il padre che si fa protagonista del ritorno del figlio senza che un inutile senso di rifiuto dopo la caduta lo coprano di vergogna: il figlio perduto è il figlio che il Padre abbraccia e bacia; il figlio per il cui ritrovamento si fa festa, in modo che la Sua gioia sia partecipata a tutti.
Non facciamo del cristianesimo la religione che conteggia osservanze e peccati.
Impariamo a vivere la fede nella gioia di sentire Dio vicino; nella sicurezza di amare e di essere amati da Lui.   

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