mercoledì 11 gennaio 2012

Del buon uso dell'ateismo (da UOMINI IN CAMMINO)

Giulio Giorello, SENZA DIO. Del buon uso dell’ateismo, Longanesi, Milano 2010
Un inno alla libertà: questo è per me, in estrema sintesi, il libro di Giorello. Al di là delle difficoltà che offre a chi vi si avventura (linguaggio filosofico, citazioni che erano familiari nei lontani anni del liceo, sintassi aggrovigliata...) un messaggio risuona forte e chiaro: chi sceglie di credere sia rispettoso di chi non crede; non a parole, ma praticando una vera convivialità tra corpi pensanti cose diverse in modi diversi.
Continua il cammino del nostro “gruppo-ricerca”: un capitolo alla volta, a volte mezzo, sempre seguito da discussioni appassionate. E’ la vita di ciascuno e ciascuna che si impasta con ciò che andiamo leggendo e approfondendo... e più si cammina più ci viene voglia di camminare.
Anche nel capitolo 5, l’ultimo, è stato un avanzare faticoso: ogni tanto ci guardavamo con occhi scoraggiati... per fortuna l’esperienza accumulata lungo i capitoli precedenti ci ha insegnato la formula magica: andiamo avanti, avanzando capiremo. Ed è stato così. Abbiamo attraversato il deserto medievale in cui si esercitavano i filosofi alla Anselmo di Aosta: in un mondo di illetterati i pochi “intellettuali” (preti e signori, guarda caso) competevano tra loro dimostrando, con logica ineccepibile, che Dio è “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore”. E Cartesio concludeva che in quel “tesoro” che è l’idea di Dio nella nostra mente scopriamo non solo che “Dio ha tutte le perfezioni”, ma pure che “l’esistenza è una di esse”. Fino all’incredibile interrogativo di Pascal, che dovrebbe ammutolire gli agnostici miscredenti: “Perché una vergine non potrebbe partorire? Una gallina non fa le uova senza il gallo?” (p. 183). Evidentemente Pascal sapeva bene che per far nascere un pulcino bisogna che l’uovo venga fecondato con il contributo del gallo. Quindi nessuna “vergine” potrà mai partorire: il suo corpo si limita a produrre uova, ovuli... come le galline.
Quando la filosofia si applica al soprannaturale diventa teologia. Già, la teologia... Anch’essa è una scienza, attività del pensiero umano intorno al trascendente. Ma qui la questione si complica, perchè il presupposto fondamentale della teologia è la “divina rivelazione”, materia squisitamente non scientifica, indimostrabile, non misurabile. E storicamente soggetta all’autorità dispotica di una gerarchia fascista, che si autoperpetua dominando le coscienze, imponendo obblighi e divieti in nome di assunti dogmatici. Insomma: se lo è la scienza, a maggior ragione lo deve essere la teologia. Che cosa? Luogo di convivialità di ogni pensiero, di tutte le differenze... il luogo più alieno all’autorità che si possa concepire. Solo così ci sembra che ricupererebbe la sua dimensione autenticamente scientifica. Come la filosofia, al cui mondo dovrebbe umilmente e consapevolmente appartenere.
Per fortuna chi non è gerarchicamente sottoposto a quella autorità sta conducendo la propria ricerca teologico-filosofica in totale libertà, soggetta solo alle regole della ricerca stessa. Sono donne e uomini che, come nelle Comunità di Base e nei gruppi di autocoscienza, femminili e maschili, possono gridare alto e forte che “il patriarcato è morto” e scelgono di sottrarre il proprio consenso alle gerarchie, a chi vuole controllare coscienze e ricerca, a chi vuol mantenere in vita magistero e maestri...
Il bivio è tra una “scienza aperta”, tutta dedita a indagare la materialità dell’immanente, e una “teologia chiusa” nel fortino dogmatico di una dottrina sulla trascendenza, sul divino... che costringe alla disoccupazione e alla fame i propri dipendenti che cercano di scalfirne il muro, non potendoli più mandare al rogo. La liberazione viene da fuori, come spesso accade: dalle donne, dagli atei come Giorello, dalle comunità di base, dalle teologie della liberazione, da tutti e tutte coloro per cui il patriarcato delle gerarchie e del dogmatismo è davvero morto; a loro va la nostra riconoscenza e il nostro riconoscimento. Sono loro che nutrono, soprattutto, la nostra voglia e il nostro piacere di ricercare, alimentando lo strumento della cooperazione e dello scambio. La laicità ci appare sempre più come la cifra decisiva della ricerca, anche nel campo cosiddetto teologico. Aria nuova per la scienza e per il mondo!
Beppe
della cominità di base di Pinerolo

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