LA
FESTA DEL CORPUS DOMINI
Gv 6, 51-58
In
quel tempo, Gesù disse alla folla: 51 Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. 52 Allora
i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come può costui darci la sua carne da mangiare?. 53 Gesù disse
loro: In verità, in verità io vi dico: se
non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non
avete in voi la vita. 54 Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
57 Come il Padre, che ha la vita, ha
mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
58 Questo è il pane disceso dal
cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo
pane vivrà in eterno.
Commento
PREMESSA
La festività del
Corpus Domini fu istituita da Urbano IV - bolla 8 settembre 1264 - e dichiarata
obbligatoria per tutta la chiesa da Clemente V (1331).
Andando più
lontano, troviamo le prime tracce di una dottrina della trasmutazione degli
elementi della Cena del Signore, che affiorano timidamente in Giustino Martire,
un filosofo greco di natali pagani vissuto nel 100-165; manca però il
riferimento ad una fonte evangelica.
È
interessante considerare l’aspetto della pietà popolare nel medioevo per poter
comprendere come lentamente si sia arrivati all’affermazione fissata nel dogma
nel quale si afferma: Quando il prete pronuncia le parole della
consacrazione della messa, si compie sull’altare un miracolo: il pane ed
il vino mantengono il
loro aspetto, le loro qualità esteriori, colore e gusto, ma la loro sostanza
cambia nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo.
Il fatto che
questa festa venga istituita a distanza di dodici secoli dalla Cena pasquale di
Gesù con i Suoi, sta a dimostrare come la sua creazione e formazione sia dovuta
ad un processo trasformativo venutosi a formare lentamente nei secoli.
IL BRANO DELLA PERICOPE ODIERNA
- Il brano
del vangelo di oggi è tratto dal IV vangelo al capitolo sesto, che è dedicato
al racconto della moltiplicazione dei pani.
La pericope è
breve ma molto densa, come emerge dalle cinque parole che in essa ricorrono a
più riprese: mangiare (8 volte), bere-bevanda (4 volte), carne (6 volte),
sangue (4 volte), vita-vivere (9 volte).
- Riflettendo
sulla dichiarazione di Gesù: Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che
io darò è la mia carne per la vita del mondo, gli
ascoltatori si trovano davanti, non a qualcosa di straordinario, ma all’umile
realtà del pane che ognuno mangia quotidianamente per sostentarsi e che molti
mendicano.
Questo pane (chiamato dai sinottici corpo) è qui indicato col termine carne:
in senso biblico non è la sostanza fisica del corpo umano, ma è la totalità
dell’essere, l’intera persona umana.
- La ripetizione dell’affermazione di
Gesù, mangiare
la carne, vuole
richiamare l’immagine dell’agnello pasquale nella notte del’Esodo, quando Mosè
comandò agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro
la forza di iniziare il viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue
sugli stipiti delle porte in modo da essere difesi dall’azione dell’angelo
della morte. Ebbene, in analogia, Gesù si presenta come carne, alimento che dà
la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue,
anche se non libera dalla morte terrena, libera dalla morte definitiva. Gli
esegeti notano che il verbo mangiare
traduce male il verbo greco trogo, che
significa (perfino dal suono della parola)
masticare. Quindi, secondo loro, Gesù un linguaggio realistico e duro …
(affronteremo la tematica nella maniera più semplice possibile).
DAL CORPO DI GESU’ ALL’EUCARISTIA
- La chiesa
trae dalle parole evangeliche il motivo fondante dell’eucaristia (dal greco eukharistía
= rendimento di grazie, sec. XVI).
- L’affermazione
di Gesù sopra citata può riuscire enigmatica, tanto più che è rafforzata da
altre simili, in un crescendo di perentorietà: la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
- Usando
questo linguaggio, Gesù vuol rivelare che mangiare il pane eucaristico e bere
al calice della benedizione è ricevere la realtà misteriosa, realizzata in Lui,
di un’umanità trasfigurata nella resurrezione e dal soffio (alito) divino
dello Spirito Santo.
- L’esperienza
della presenza di Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucaristia e la spiritualità
che queste convinzioni hanno generato in tanti credenti, sono state, lungo la
storia, fonte di forza interiore e di generosità oltre che che una convinzione
basata sul mistero. E bisogna sottolineare che il mistero non si
qualifica per via di un credo a cui aderire per ubbidienza, bensì come luce
che illumina interiormente attraverso la preghiera.
DALL’EUCARISTIA ALLA MESSA
A partire dalla
manifestazione di Gesù nel momento in cui parla ai suoi della propria
identificazione nel pane e nel vino, l’eucaristia ha subito tali cambiamenti,
che risulta semplicemente irriconoscibile. Infatti la cena che ricrea ed innamora (Giovanni della Croce), è divenuta una
cerimonia religiosa, che si connette ben poco alla vita concreta. Infatti si è
passati dalla cena fraterna dei primi cristiani, consumata insieme ogni
‘giorno del Signore’ per rafforzare la propria fede e il proprio amore nel
ricordo della cena pasquale assieme a Gesù, ad un rituale sacro. Nel
sec. VIII il rito si è quasi separato dai fedeli, in quanto celebrato in latino
(proprio quando la gente aveva già iniziato a parlare le lingue moderne), e da un
prete posto di spalle al popolo.
Per di più sull’eucaristia
ha prevalso il miracolo della trasformazione del pane e del vino nel Corpo
di Cristo.
IL CIBO NELLA BIBBIA, IN TUTTE LE
CULTURE, NELLA VITA DI GESU’ –
- Zibaldone
di citazioni da far leggere a chi vede, nel nutrimento sacro, un semplice residuo di credenze primordiali -
- Nel
suo Breviario tedesco Brecht ironizzava: Per chi sta in alto discorrere di mangiare è
cosa bassa. Si capisce: loro hanno già mangiato!.
- Anche a
livello alto si è consapevoli che il cavaliere nero dell’Apocalisse, il quale
regge una bilancia per misurare le derrate alimentari, continua a correre per
tante regioni del nostro pianeta ove, purtroppo, spesso convivono coloro che
hanno più cibo che appetito e coloro che hanno più appetito che cibo.
- È noto che
la famosa frase assonante, Der Mensch ist was er isst, l’uomo è ciò che mangia, del filosofo
ottocentesco Feuerbach, è considerata come un emblema del materialismo.
In realtà potrebbe essere assunta con un’altra interpretazione: il cibo in
tutte le culture è anche simbolo di comunione nella gioia: si pensi alle
parabole nuziali di Gesù che comprendono un banchetto.
Guardando
lontano, basterebbe leggere nel capitolo 18 della Genesi, la deliziosa scenetta
narrativa di Abramo che accoglie i tre ospiti ignoti.
Anche il mangiare il pane del lutto corrisponde
ad una nota locuzione biblica; e i pasti funebri sono tutt’oggi praticati in
molte nazioni.
- Aveva
ragione il magistrato francese Anthelme Brillat-Savarin quando osservava,
nella sua celebre Fisiologia del gusto (1825), che gli animali si nutrono, l’uomo mangia,
l’uomo di spirito pranza.
- Se ci
avviassimo sulla strada della simbologia religiosa del cibo, dovremmo allestire
un intero orizzonte metaforico: c’è il banchetto pasquale esodico, quello
liturgico dei sacrifici di comunione
nel tempio con le carni immolate; c’è il banchetto messianico ed escatologico,
segno di pienezza e di gioia; c’è quello sapienziale di stampo etico (cap. 9
dei Proverbi), per non parlare della morale raffigurata proprio in apertura
alla Bibbia con l’immagine di un frutto
buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile: quello dell’albero della conoscenza del bene e del male
(Gen 3,6).
- I pranzi
hanno un rilievo curioso all’interno della storia di Gesù. Egli, infatti,
accetta spesso di sedere a mensa, senza badare molto alle persone che lo
invitano: una volta è un fariseo ad averlo come ospite, altre volte è un
pubblicano come Zaccheo o Matteo. Anzi, a un certo momento si mormorerà di lui:
Costui riceve i peccatori e mangia con
loro (Lc 15,2).
Inoltre Gesù
ama usare il simbolo del banchetto, soprattutto nuziale, per parlare del Regno
di Dio: si pensi alla parabola degli invitati a nozze (Mt 22) o a quella delle
vergini stolte e prudenti (Mt 25). Si arriverà persino a dire che egli è un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei
peccatori, in contrasto con l’ascetico Battista che non mangia pane e non beve vino (Lc 7). Nella tradizione
cristiana le due prime opere di misericordia corporale sono proprio il dar da mangiare agli affamati e dar da bere
agli assetati.
- Ci sono due
scene emblematiche al riguardo nella Bibbia. La prima è quella in cui Dio si
premura di procurare – come un padre di famiglia – il cibo e l’acqua al suo
popolo in marcia nel deserto (l’acqua che scaturisce dalla rupe, la manna e le
quaglie). L’altra scena è quella di Gesù che imbandisce pane e pesci per la
folla che lo sta seguendo, moltiplicando quel poco cibo che era a loro
disposizione.
- Un autore
spirituale, il gesuita Charles Pierre, dichiarava: Il pane conserva quasi una maestà divina. Mangiarlo nell’ozio è da
parassita; guadagnarlo laboriosamente è un dovere; rifiutarsi di dividerlo è da
crudeli.
- ancora nella
Bibbia col pane si rimanda al cibo in senso generale, tant’è vero che mangiare il pane è un’espressione che
significa semplicemente cibarsi.
- Nel Vicino
Oriente non si può dare il pane agli animali; se si inciampa in un pane caduto
per terra, lo si raccoglie e pulisce, e ancor oggi gli arabi non tagliano il
pane col coltello per non 'ucciderlo', considerandolo quasi una creatura
vivente. Il pane dei poveri era di orzo, essendo il frumento raro e pregiato. È
noto, però, che il pane più comune era quello azzimo, cioè una specie di
sfoglia non lievitata, di facile preparazione nel deserto e senza forno
(bastava una lastra riscaldata di pietra o di metallo).
- Il vero
impegno religioso – ammoniva Isaia (25,7) – consiste nel dividere il pane con l’affamato; cosa
che dovrebbe essere vera anche per noi cristiani.
Il digiuno
non è una dieta o un gesto masochistico, bensì un atto penitenziale di distacco
dal benessere per trasformarlo in carità per i miseri. Esemplari sono ancora le
parole di Isaia: È questo il digiuno che
io (il Signore) voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del
giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo. Non consiste forse
(il vero digiuno) nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa
i miseri, i senzatetto, nel vestire uno che vedi nudo? (58, 6-7).
- Gesù ha
dato un rilievo spirituale ulteriore al pane: l’eucaristia nel linguaggio neotestamentario
era definita come la frazione del pane
(Atti 2,42) perché con quel gesto si segnalava la comunione di tutti i fedeli
con Cristo e tra loro.
- Nel rito
tipicamente cristiano in cui il pane diventa il corpo di Cristo che si dona e
comunica ai credenti, si ha un’altra presenza materiale trasfigurata: nel segno
efficace del sangue di Cristo, ossia il vino. Questa bevanda aveva per
la Bibbia anche un valore immediato e realistico, essendo espressione della
festa e dell’allegria. Il Salmo 104, lo canta come ciò che allieta il cuore dell’uomo. L’era messianica
è dipinta sotto immagini enologiche: Verranno
giorni in cui dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù dalle colline; Preparerà il Signore degli eserciti un
banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati (Am
9,14 e Is 25, 6). Al riguardo evochiamo due passi molto brillanti. Il Siracide,
sapiente del II secolo a.C., scrive: Non
fare forte uso del vino perché ha mandato molti in rovina… Il vino è come la
vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non
ha vino? Esso, infatti, fu creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore
e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura. Amarezza dell’anima è
il vino bevuto in quantità, con eccitazione e per sfida. L’ubriachezza accresce
l’ira dello stupido a sua rovina…» (31, 25-30). Nei Proverbi, invece, si ha
un ritratto vivace dell’ubriaco: Non
guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende piano
piano; finirà col morderti come un serpente. I tuoi occhi vedranno cose strane
e la tua mente dirà cose sconnesse. Ti parrà di giacere in alto mare o di
dormire in cima all’albero maestro… (Pr 23, 29-35).
Una conclusione
La religione
cristiana non deve essere sostanziata di vaghe emozioni interiori che fanno
decollare dalla realtà verso cieli mitici e misticheggianti. È una fede legata
ai corpi, alla storia, all’esistenza.
Nel versante
opposto una società sbrigativa e superficiale che ingurgita cibi a caso in
un fast food, che ignora lo spreco alimentare, che si
infastidisce quando si evoca lo spettro della fame nel mondo, che si oppone
all’ospitalità, ha perso non solo la dimensione simbolica del cibo ma anche la
spiritualità che in quel segno è celata. Ritornare alla civiltà e alla
simbologia del cibo avrebbe un valore culturale e spirituale.
Forse non
esagerava lo scrittore inglese Charles Lamb, vissuto tra il Sette e
l’Ottocento, quando nei suoi Saggi di Elia scriveva: Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo
affettando di non sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più
importanti.
= Incontrare Cristo attraverso il
memoriale dell'Eucaristia, dovrebbe essere motivo per assaporare la sua presenza dentro di noi.
=
Qualche
pensiero personale
= Ricordo,
quando, ben piccola, ignoravo tutto ciò che mi proponevano le maestre di
catechismo e la famiglia. Invece amavo l’atmosfera raccolta durante la Messa e,
nel momento della consacrazione, ponevo le mani davanti agli occhi per confidarmi
con Gesù. Lui non mi diceva nulla, ma a me bastava sentirLo accanto. Mettevo a
tacere ogni pensiero e desiderio, non chiedevo nulla, e Lui mi rispondeva
sempre col silenzio: come stavamo bene insieme!
= Le
vicissitudini delle varie fasi di vita, mi hanno distolto alquanto dal gusto
della vita interiore.
Facendo
un grande salto, accenno all’oggi: epoca del virtuale. Che differenza
tra la evanescenza del virtuale e lo spessore della realtà! Voglio monitorarmi per restare con i piedi a
terra.
= Un
altro salto verso la condizione sistemica della vecchiaia, con la ricchezza dei
tesori cumulati e la perdita abissale di efficienza…
Ho
riflettuto che oggi il mio vero cibo, la mia eucaristia, pur nell’impossibilità
di viverla assieme agli altri a Messa, può essere vero rendimento di grazia. Come vorrei gridarlo a tutti!
Ma debbo
prendere dal granaio del passato, per non divenire noiosa a me stessa e agli
altri; e soprattutto debbo ricordarmi sempre che il dono di Dio va lavorato incessantemente perché diventi fruttuoso.
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