IV DOMENICA di QUARESIMA anno A
1Sam 16,
1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv9, 1-41
INTRODUZIONE
La prima lettura presenta l’unzione regale di David da parte di
Samuele: il gesto e le parole del profeta che consacrano il Messia rinviano
alle parole e ai gesti di Gesù, “luce del mondo”.
La seconda lettura mette in risalto che l’illuminazione battesimale
impegna a una vita di conversione: Se un
tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore: camminate come figli della
luce”.
Il
Vangelo imposta il racconto del
cieco nato in riferimento al battesimo cristiano. Gli elementi più interessanti
sono.
a)
l’umanità di Gesù, nel suo passare tra la gente ad occhi ‘aperti’ -passando, vide-
b)
l’efficacia simbolica della guarigione che rende capaci di vedere spiritualmente.
ANALISI del brano di Giovanni
1 [In quel tempo, Gesù] passando, vide un uomo
cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì,
chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. 3
Rispose Gesù: Né lui ha peccato né
i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4
Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è
giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io
sono nel mondo, sono la luce del mondo. 6 Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli
occhi del cieco 7 e gli
disse: Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe - che significa ‘inviato’-.
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Vengono presentati i
protagonisti: Gesù e l'uomo cieco. Del primo si dice che stava passando; il verbo ha
un senso teologico, indica che egli è sempre in cammino per incontrare ogni
persona, a differenza del cieco che attendeva aiuto senza chiederlo.
Nel v.3 Gesù risponde a
coloro i quali ritenevano la sua cecità causata da colpa, sua o dei genitori, che
la situazione di quest'uomo ha un senso nel piano divino: rendere manifeste le opere di Dio.
Nel v.4 si aggiunge: Bisogna che
noi compiamo le opere di colui che mi
ha mandato: con l’uso della prima
persona plurale si puntualizza che tali opere le compie Gesù, ma debbono
farsene partecipi anche i discepoli finché
è giorno, cioè nella vita terrena;
quando poi viene la notte, cioè la fine della vita
temporale, nessuno potrà agire.
Nel versetto 5 Gesù afferma
di essere luce
del mondo: forma classica che
Giovanni adopera altre volte in concomitanza con l’io sono.
Nei ww.6-7 sono descritti i
gesti che Gesù compie nell’operare il miracolo. Si tratta di gesti simbolici,
che richiamano la creazione. Il nome della piscina Sìloe significa canale
inviante o acqua inviata, titolo cristologico adoperato costantemente dall’evangelista
per caratterizzare la missione di Cristo. La conclusione è laconica: Quegli andò, si lavò e
tornò che ci vedeva; frase che evidenzia
la disponibilità del guarito, contribuendo all’ottenimento della guarigione; e
che, suona come ammonimento implicito, volto ai discepoli perché siano
altrettanto disponibili.
8 Allora i vicini e quelli che lo avevano
visto prima, perché era un mendicante, dicevano: “Non è lui quello che stava
seduto a chiedere l’elemosina?”. 9 Alcuni dicevano: “E’ lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli
assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”.10 Allora gli domandarono: “In che modo ti sono
stati aperti gli occhi?”.11 Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha
spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi
sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: “Dov’è costui?”. Rispose: “Non
lo so”.
La guarigione innesca una
serie di polemiche che occupano la parte centrale e più lunga della pericope;
si tratta di un gruppo di versetti divisi in tre scene precedute da una
introduzione, quali sono i vv. 8-12 qui riportati, in cui si identificano l'identità
del destinatario della guarigione e la modalità del segno della guarigione
stessa.
All’insistenza per una verifica -in che modo- e -Dov’è costui-, il
cieco nato risponde con un semplice Non lo
so. Risposta che va al di là delle
insinuazioni degli interroganti: ricevuto il dono divino, non vuole argomentare
(forse vorrebbe dire soltanto un tacito grazie).
13 Condussero dai farisei quello che era stato
cieco: 14 Era un sabato,
il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15
Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. 16 Allora alcuni dei farisei dicevano:
«Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece
dicevano: “Come può un peccatore compiere segni di questo genere?”. E c’era
dissenso tra loro. 17 Allora
dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha
aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”.
I vv.13-14 precisano che quel
giorno era un sabato (analogamente alla guarigione del paralitico).
Poiché il vangelo di Giovanni
riflette la situazione della sua comunità, la quale era in contrasto con la
Sinagoga, è possibile vedere nell’interpretazione legalista dei farisei
anche quella della comunità cristiana
primitiva.
Nel v.17 l’evangelista ironizza,
quasi a dire alla sua comunità: se i dotti farisei non sanno, mentre
costringono un povero cieco a dire chi è per lui Gesù, ottenendo da lui la più
semplice delle risposte possibile: “È un profeta!”, anche loro
dovrebbero non rispondere con i ragionamenti agli interrogativi della fede;
quando si cerca la verità di Dio, bisogna trovare la risposta giusta nel cuore
umano, dove hanno sede i doni divini, i quali possono essere elargiti a chi è
disponibile ad essere guarito dalla cecità spirituale.
18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse
stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori
di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: “È questo il vostro
figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20 I genitori di lui risposero: “Sappiamo che
questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi
abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età,
parlerà lui di sé”. 22 Questo
dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei
avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo,
venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: “Ha l’età: chiedetelo a lui!”.
I giudei, non essendo
disposti a credere al prodigio operato da Gesù e non trovando nel miracolato
appoggio alla loro incredulità, tentano di sostenere che egli non era nato
cieco. Dal v. 18 non si parla più di farisei, ma di giudei, ossia di tutto il
gruppo legato al potere religioso e politico che si oppose a Gesù.
L'interrogatorio dei genitori
mostra la loro paura: essi non si espongono e rimandano alla responsabilità del
figlio la decisione sul miracolo avvenuto. C'è qui un rimando alla difficile
scelta che ciascuno è chiamato a fare se vuole essere discepolo di Gesù.
I vv. 22-23 probabilmente
furono inseriti inseriti nel vangelo di Giovanni da un redattore ai fini di
proiettare sul passato quanto viveva la sua comunità, che era stata espulsa
dalla sinagoga alla fine del I secolo dopo Cristo. Non si può non notare la
sovrapposizione dei due piani storici, quello del racconto della vita di Gesù e
quello della chiesa di Giovanni; in quest’ultima, verso la fine del I secolo, c’era
aperta ostilità tra comunità giudaica e cristiana (è risaputo che la rottura
ufficiale fu sancita al concilio ebraico di Jamnia tra 85 e il 90 d.C., quando Gamaliele
fece condannare i seguaci di Cristo).
24 Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era
stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un
peccatore”. 25 Quello
rispose: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo”. 26 Allora gli
chiesero: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. 27 Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi
discepoli?”. 28 Lo
insultarono e dissero: “Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato
Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”. 30 Rispose loro quell’uomo: “Proprio questo
stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31
Sappiamo che Dio non ascolta i
peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32
Da che mondo è mondo, non si è mai
sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe
potuto far nulla”. 34 Gli
replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono
fuori.
Andato a vuoto il tentativo
precedente, ecco un’ulteriore fase dell'interrogatorio: colui che era cieco
viene di nuovo sottoposto ad una serie di domande che sono un invito ad
esprimersi secondo verità.
Questi, nella sua risposta
(vv. 30-33) viene indicato come colui che ha abbandonato non solo le tenebre
fisiche, ma anche quelle della mente e dello spirito, e perciò riconosce che
Gesù viene da Dio facendo un riferimento ai testi profetici (se tutto l’episodio
fosse avvenuto storicamente così come è presentato, il cieco guarito avrebbe
dovuto essere un esperto in conoscenza biblica, tanti sono i riferimenti,
soprattutto ad Isaia, e ciò sarebbe in contraddizione con la sua ingenuità).
35 Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori;
quando lo trovò, gli disse: Tu, credi nel Figlio dell’uomo?. 36
Egli rispose: “E chi è, Signore,
perché io creda in lui?”. 37 Gli disse Gesù: Lo hai visto: è colui che parla con te. 38
Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si
prostrò dinanzi a lui.
La sezione conclusiva pone
l'uomo risanato di nuovo di fronte a Gesù, il quale, come annota l'evangelista,
saputo che l'avevano cacciato fuori, va a cercarlo. Gesù ancora una volta va
incontro a quest'uomo per fargli un dono più grande di quello della vista del
corpo: il dono della piena rivelazione di se stesso.
Gesù si rivela come il Figlio
dell'uomo, ossia come l’inviato dal
Padre a radunare gli esseri umani e ad elevarli alla partecipazione della vita
di Dio.
Nel v. 37 sono riuniti due
elementi tipici del quarto vangelo: la parola e la visione. Le parole che l’evangelista
pone in bocca a Gesù, sono commoventi: Lo hai visto: è colui che parla con te. L'uomo risanato risponde con una piena adesione di
fede espressa con le parole e con un gesto carico di significato, l‘adorazione (il
verbo greco usato è proskunéo), che in
Giovanni ha sempre un forte senso teologico: indica l'adorazione dovuta a Dio (ma,
usando questo termine, l’evangelista intende parlare di Gesù come colui che rivela
Dio).
39 Gesù
allora disse: E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché
coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi. 40
Alcuni dei farisei che erano con lui
udirono queste parole e gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. 41 Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non
avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane.
Alla piena adesione di fede
dell'uomo risanato si oppone la cecità dei giudei. Il giudizio che si voleva
operare su Gesù si ritorce contro di essi, intenzionalmente rimasti nelle
tenebre, nonostante il dono di luce offerto da Gesù con questo segno.
Altra nota: il termine krìma, utilizzato qui per ‘rendere
giudizio’, ha valore sia positivo che negativo (a differenza di krìsis che lo stesso Giovanni usa sempre
in senso negativo).
Il v. 41 sottolinea come la
presunzione di vedere, l'autosufficienza di chi pensa di avere da sé
l'illuminazione, in definitiva la mancanza di fede autentica, esclude
dall'azione liberatrice di Gesù, il solo che toglie il peccato (come si esprime
Giovanni in 3,36).
La mia proposta
Preghiamo col salmo
22:
Il Signore è il mio pastore: non manco
di nulla. / Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. /
Rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. /
Anche se vado per una valle oscura, / non temo alcun male, perché tu sei con
me. / Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. / Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli
occhi dei miei nemici. / Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca. / Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti
i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi
giorni.
1 commento:
Meraviglioso. Gesù è andato a cercare il cieco nato dopo che lo avevano cacciato dalla comunità. Lo riconferma e lo sostiene. Difatti Gesù gli dice quello che "hai visto" al passato, ma era la prima volta che il miracolato lo vedeva. Ma aver visto la reazione negativa della gente, del potere religioso alla notizia della guarigione equivale a vedere Gesù. L'ex cieco lo comprende e al secondo miracolo di Gesù (avere visto e conoscere il suo passato recente, dopo la guarigione), gli crede. Un doppio miracolo. Il cieco nato ha visto Gesù aprendo gli occhi, noi quando li chiuderemo. Cfr. ebook di Ravecca Massimo: Tre Uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.
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